Fortnite, Buco Nero e Capitolo 2: é stato davvero un evento rivoluzionario?

Il buco nero di Fortnite e l'arrivo del capitolo 2 ha catalizzato l'attenzione mediatica, ma si tratta davvero di una rivoluzione?

Fortnite, Buco Nero e Capitolo 2: é stato davvero un evento rivoluzionario?
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  • "In questi anni digitali c'è qualcosa che abbiamo perduto: il senso della fine. Non finisce più nulla. Non finisce il flusso delle notizie sul web, non finiscono gli aggiornamenti sui social, non finiscono le serie tv. È scomparsa la fine delle storie, insomma". Scrive così Riccardo Luna, su Repubblica, quando parla del fenomeno del Buco Nero di Fortnite. Un grande evento mediatico che ha dato a tutti l'idea di illusoria di una conclusione spettacolare, di un percorso che si chiude, correndo verso il traguardo ultimo a cui tende ogni cosa e ogni opera dell'uomo: il vuoto.
    Sensazione illusoria, appunto, perché Fortnite non è finito di certo così, con un'esplosione cosmica pronta a divorare server di gioco, profili social e progressi dei giocatori. Fortnite, anzi, continua come se nulla fosse, con un "Capitolo 2" che porta un carico di novità tutto sommato prevedibile e atteso.

    Il coinvolgimento ai massimi livelli

    C'è stato però un momento in cui, ad esplodere, non sono stati soltanto i panorami del Borgo Bislacco e delle Lande Letali, bensì tutti i social network, traboccanti di post su quanto sia potente l'impatto del titolo Epic, un prodotto che ha cambiato per sempre la storia del gaming.

    A me sembra, personalmente, che la situazione sia scappata un po' di mano, e che in troppi abbiano fatto il gioco dei reparti marketing: ovvero quello di confondere un'ottima trovata di comunicazione con una valutazione sulle qualità ludiche di questa "ripartenza". Trovo perlomeno stravagante che in altri casi, quando la comunicazione si fa accattivante e innovativa (e penso ad esempio a Death Stranding) la reazione del pubblico sia diametralmente opposta; quasi di sospetto, come se il marketing ispirato e martellante fosse un modo per nascondere qualche magagna nella sostanza del prodotto.

    A dirla tutta penso che qualcosa da nascondere ce l'avesse proprio Fortnite, perché in fondo questo Capitolo 2 è un sistema di avvicendamento dei contenuti che si innesta su quello stagionale senza sconvolgere troppo le cose. Introduce un meccanismo di progressione che definirei ruolistico (unica trovata che i team di sviluppo sembrano avere, ultimamente, per tenere avvinti i giocatori), e qualche aggiunta che non è certo paragonabile alle novità di un sequel. Mi faceva sorridere chi pensava davvero al lancio di Fortnite 2: Epic Games non può permettersi di fare un taglio netto con il passato, dimenticandosi che in questi anni, grazie ai suoi battle pass ed alle microtransazioni, gli utenti hanno accumulato un piccolo tesoretto di skin e altre chincaglierie estetiche, a cui spesso tengono più del gioco stesso. La continuità è croce e delizia di ogni game as a service, il suo punto di forza e il suo fardello più grande. Epic è stata brava a far percepire l'idea di una ripartenza integrale (ripartenza che, a livello creativo, sarebbe stata forse importantissima), ma appunto si è trattato solo di percezione.

    Il motivo per cui tutti sono stati così indulgenti, per quel che mi riguarda, è uno solo: i numeri. Ormai diventati il nuovo unico metro di giudizio dell'efficacia di un prodotto. Sette milioni di utenti che guardano l'evento? Agli occhi di chi, da lontano, guarda i sette milioni che guardano, significa che tutto va per il verso giusto. I numeri sovrascrivono ogni giudizio di merito, la possibilità che si possa avanzare qualche critica: il gioco funziona, le opinioni dissonanti non valgono quanto quella di una massa enorme, per alcuni addirittura imponderabile.

    Trovo comunque ironico che a spendere fiumi di parole sul gioco siano state soprattutto persone rimaste fino a pochi giorni fa distanti da quel mondo; probabilmente fra i tanti c'è pure chi non ha mai aperto il client e non si è mai paracadutato sull'isola. Anche a loro La Fine di Fortnite è arrivata in nome dei numeri registrati su Twitch.

    E forse non sanno che si tratta, di fatto, della naturale prosecuzione di una strategia avviata molte stagioni fa. Gli squarci nel cielo, il cubo viola, l'eruzione del vulcano e i monoliti: molte season sono finite con eventi a loro modo "apocalittici", e se Fortnite ha davvero scritto una pagina importante della narrazione continuativa dei game as a service e dell'evoluzione del loro mondo (cosa di cui sono fermamente convinto!), non lo ha fatto certo ieri, bensì diversi mesi fa. Quello che voglio dire è che i motoscafi del Capitolo 2 non sono strutturalmente diversi dagli aerei della settima stagione, anche se per qualche motivo in tanti hanno sentito parlare del Buco Nero invece che del meteorite che ha colpito Magazzino Muffito nella stagione 4. Fra l'altro, chi ha scritto stimolato soprattutto da un'occasione considerata "esotica", ha dimenticato di citare tutti quegli utenti preoccupati delle sorti di Skin e V-Bucks, che hanno letteralmente assillato Epic con richieste anche molto aggressive: dimostrando di rappresentare, appunto, sia una grande ricchezza per il gioco che un freno evidentissimo alle suo possibilità di cambiare veramente nella sostanza.

    Ma al di là di queste considerazioni, ribadisco ancora una volta, prima di chiudere: la forza dei numeri è una forza quantitativa, non qualitativa. Chi dice che Fortnite ha cambiato il modo di generare mitologie nei giochi a supporto continuo dovrebbe quantomeno spiegare perché. Da decenni giochiamo a MMO che hanno fatto e fanno lo stesso. I Jedi di Star Wars: Galaxies, i Raid di World of Warcraft, i set di regole più arditi nei server non ufficiali di Ultima Online, le storie di Neverwinter Nights, persino la cavernetta del loot di Destiny.

    Senza contare Final Fantasy XIV e la sua rinascita, ad oggi oggi forse il prodotto che in maniera più brillante ha gestito l'evoluzione di un mondo virtuale. Non ci metto Minecraft perché l'impulso generativo in quel caso viene dal pubblico stesso, ma alcune mappe e total conversion del titolo Mojang hanno avuto un impatto sostanzialmente paragonabile sulla community.
    Lo so che ci vuole un po' di freddezza a dire una cosa del genere, ma per i giocatori che hanno vissuto i titoli appena citati il concetto di mondo in evoluzione è lo stesso di Fortnite. Identico, non cambia di una virgola: c'è un universo condiviso che muta, ed una community che ne tramanda i ricordi. Forse, tra qualche anno, ci sarà un "Fortnite Classic", ma ecco: World of Warcraft c'è arrivato molto prima. Quello che cambia (al di là del fatto che Fortnite l'abbia fatto con un titolo esclusivamente competitivo), sono proprio le quantità: Fortnite ha un numero di giocatori incredibilmente più vasto di tutti gli altri titoli messi assieme. E un numero di spettatori altrettanto clamoroso, ma in quel caso diamo semmai il merito a Twitch e YouTube di aver cambiato il concetto di spettatorialità nel mondo videoludico.

    E allora ripeto; va bene chiamarlo con il suo nome: fenomeno generazionale, avvenimento culturale, portento economico. Fortnite è un prodotto che ha saputo assecondare le esigenze di una generazione ed è stato capace di parlare il suo linguaggio, di conformarsi al suo stile, di abbracciarne i valori. È un grande merito, nessuno glielo toglierà mai, ed è la chiave del suo successo. Bisognerebbe però stare molto attenti, di contro, a parlare di rivoluzioni.

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