Game Gear: la console che incarna la follia degli anni 90

A seguito dell'annuncio della sua versione Mini, ripercorriamo la storia della console portatile di SEGA: il Game Gear.

Game Gear: la console che incarna la follia degli anni 90
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Il recente annuncio del Game Gear Micro di Sega ha creato un certo scompiglio, un po' perché il mondo si aspettava tutt'altro da Sega, un po' perché l'oggetto è quasi provocatorio, nella sua assurdità. Uno schermo poco più grande di una microSD, un d-pad lillipuziano e quattro edizioni di colori diversi, ognuna con quattro giochi diversi, con una distribuzione pensata probabilmente da Ash dei Pokémon. Andando oltre le valutazioni di una simile operazione, è bello ricordare il Game Gear. Il motivo? Perché è una console ricca di significato, che incarna la follia, le contraddizioni e i desideri degli anni '90.

Sega vs Nintendo

È anche un simbolo della differenza di filosofia tra Sega e Nintendo, che ai tempi combattevano ad armi più o meno pari per l'egemonia del mercato videoludico mondiale. Il Game Boy uscì nel 1989, frutto del genio e dell'intuizione di Gunpei Yokoi. Il motto del geniale inventore al servizio di Nintendo era fare "lateral thinking with withered technology", ossia "pensiero laterale con tecnologie obsolete".

Dopo aver inventato i Game & Watch (dove tra l'altro ha concepito il moderno d-pad), aveva creato il Game Boy, con uno schermo a dir poco primitivo. Una matrice di punti in grado di riprodurre quattro sfumature nero, difficilmente visibile senza l'ausilio di una luce diretta. Una limitazione non da poco, ma che permise al Game Boy di uscire con un prezzo aggressivo e di avere un costo contenuto in termini di batterie. Con quattro pile AA, il primo modello del Game Boy durava circa 36 ore (per approfondire, recuperate il nostro speciale sui trent'anni del Game Boy).

La porsche del gaming portatile

Sega faceva invece quello che Nintendo non faceva. Non a caso, il motto era proprio "Sega does what Nintendon't". Il Game Gear, uscito nel 1990 in diretta concorrenza con il portatile di Kyoto, era più potente, più aggressivo, più colorato. Aveva un look più moderno e meno "giocattoloso", ma soprattutto offriva uno schermo a colori retroilluminato, abbinato a una potenza di calcolo paragonabile a quella del Sega Master System (con il quale, del resto, condivideva buona parte dell'hardware).

Il tutto aveva un prezzo non alla portata di ogni tasca, sia per il costo più alto dell'hardware in sé, sia per il consumo scellerato di batterie. Sega sosteneva che con 6 pile AA il Game Gear potesse durare per 6 ore di gioco, ma già ai tempi era noto che con i prodotti più intensi si poteva scendere anche sotto le tre ore. Insomma, il Game Gear si presentava come la Porsche del gaming portatile, e consumava di conseguenza.

Uno sguardo al futuro

Ai tempi io avevo otto anni ed ero nel centro perfetto del target della comunicazione di Sega. Il Game Gear era il futuro, soprattutto per me che ero cresciuto a pane e Master System, e la pubblicità sui canali italiani non dava tregua. C'era un Gerry Calà con lo sguardo allucinato che raccontava quanto il Game Gear fosse una libidine, mentre Walter Zenga sfoggiava uno degli accrocchi più buffi della storia degli accessori: il TV Tuner, che trasformava il tuo Game Gear in una TV che si vedeva malissimo e che consumava come un Booster truccato.

A vederlo oggi sembra assurdo, ma ai tempi il TV Tuner era il simbolo della potenza, della differenza. Ormai siamo abituati a vedere filmati e cutscene quasi fotorealistiche, ma ai tempi il videogioco aveva ancora una grandissima voglia di futuro. I pixel che oggi ci fanno nostalgia sembravano una limitazione, un male necessario del passato. Vedere la TV su una console portatile aveva un che di fantascientifico, e Sega marciava fieramente su quel concetto.

Il parco titoli e alcuni gravi errori

Sul fronte dei giochi, la storia è più complessa, e la dice lunga su che avversario formidabile fosse la Nintendo dei tempi. Il Game Boy, complice l'uscita anticipata e il prezzo inferiore, aveva una base installata più alta, e chi voleva sviluppare per le piattaforme della grande N, ottenendo la licenza ufficiale, non poteva distribuire lo stesso gioco su piattaforme rivali, con un'esclusiva automatica di due anni. Gli hardware erano anche molto diversi, quindi gli sviluppatori di terze parti si trovarono davanti a una scelta di campo che spesso e volentieri favorì il Game Boy.

Su Game Gear uscirono circa 300 giochi, molti dei quali erano conversioni di titoli per Sega Master System. Non aiutò nemmeno la lineup di lancio, estremamente limitata in Giappone (solo tre titoli: Columns, in bundle con la console, Super Monaco GP e Pengo) e ridotta anche in America e in Europa, dove tra l'altro la concorrenza del Game Boy era ancora più spietata, anche perché il portatile Nintendo aveva già un catalogo molto più ricco.
Pur dinanzi a tutti questi problemi, dovuti a una progettazione con una filosofia forse troppo ambiziosa e a una strategia di mercato meno matura di quella di Nintendo, il Game Gear ha avuto la sua dose di capolavori. GG Shinobi, una versione eccellente della hit a base di ninja di Sega, due Sonic di tutto rispetto, una conversione clamorosa di quel capolavoro assoluto di Wonder Boy III: The Dragon's Trap, ma anche GDR strepitosi come Shining Force. A volte il Game Gear, nonostante i suoi limiti tecnici che sapevano sempre un po' di "vorrei ma non posso" (considerate che eravamo nel pieno dell'era a 16 bit), stupiva con versioni a 8 bit dei giochi del momento, come Streets of Rage e Gunstar Heroes. In quest'ottica, la selezione di prodotti fatta per la riedizione Game Gear Micro dimostra un'ottima conoscenza del catalogo.

I problemi del Game Gear, purtroppo, non si limitavano al suo design. Anche la progettazione, a livello di componenti, aveva commesso gravi errori. La scheda madre montava dei condensatori che iniziarono a dare problemi già negli anni ‘90, in particolare sul fronte audio. Oggi, a trent'anni di distanza, è quasi impossibile che i vecchi Game Gear funzionino ancora. Potrebbe sembravi una cattiva notizia, ma è anche un'occasione.

Basta fare un salto su Ebay per vedere che si trovano decine di console "non funzionanti" a meno di venti euro. Acquistando pochi euro di condensatori nuovi, è possibile ridare vita a un Game Gear con meno di mezz'ora di lavoro. Se avete un saldatore o conoscete qualcuno che ne possiede uno, potrebbe essere un ottimo modo per imparare a usarlo. Un dettaglio buffo, da veri retrogamer: lo stagno usato per le saldature originali del Game Gear, quando sciolto, rilascia un odore terribile. È forse l'odore di una console war dimenticata?

Il Game Gear, insieme ai suoi compagni di battaglia Atari Lynx e PC Engine GT, sarà per sempre un pezzo rilevante della storia dei videogiochi, al netto dei suoi difetti e delle sue contraddizioni: recuperarne i classici è un esercizio di retrogaming consigliatissimo.