Game Happens 2017: uno sguardo ai giochi più interessanti dell'evento di Genova

La seconda parte del reportage su Game Happens racconta i giochi più particolari tra quelli esposti nello showcase dell'evento genovese.

Game Happens 2017: uno sguardo ai giochi più interessanti dell'evento di Genova
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Game Happens è un festival internazionale che si svolge con cadenza annuale nella suggestiva location di Villa Durazzo Bombrini a Genova, nel quartiere Cornigliano, e dà voce all'anima più libera e sperimentale del mondo videoludico. Nei due giorni dell'evento la villa ospita, accanto alla conferenza della quale abbiamo parlato nel nostro precedente articolo , uno showcase molto ricco e molto vario che permette ai visitatori (ricordiamo che, a differenza delle conferenze, l'accesso all'area showcase è libero e gratuito) di provare una selezione di lavori di autori italiani e internazionali.
L'elenco completo dei giochi esposti si può trovare qui: progetti più sperimentali convivono serenamente accanto ad opere più classicamente ludiche, dando vita a un insieme variegato e interessante fatto di spensieratezza ma anche di tematiche forti e complesse, a confermare il ruolo ormai consolidato del videogioco come mezzo comunicativo ed espressivo a 360°, non più limitato al "divertimento a tutti i costi". In questo articolo abbiamo scelto di parlarvi di quelli che secondo noi sono i giochi che rendono caratteristico lo showcase di Game Happens  e che difficilmente trovano spazio nelle "normali" fiere di settore. Restano esclusi quindi i giochi più "classici", tra i quali vogliamo comunque segnalarvi lavori meritevoli come Redout , gioco di corse vincitore del premio Drago D'Oro italiano, Muddledash , party game a tema poliposo, Blind Drive , racing game mobile basato su indizi sonori, e Atomine,  twin stick shooter dallo stile grafico essenziale e accattivante.

Ai confini del videogioco: non giochi, installazioni, performances

Questo reportage è dedicato quindi a opere che si trovano al confine tra il gioco e qualcos'altro, che può essere performance, saggio critico, installazione multimediale, viaggio emozionale o esperienza narrativa. Opere che mettono da parte l'obiettivo ludico, in alcuni casi annullandolo completamente, in altri mettendolo in secondo piano rispetto a un'intenzione comunicativa, alla creazione di senso. Opere che eccedono la dimensione digitale per espandersi in quella fisica, che giocano coi sensi e col corpo del giocatore. Opere diversissime tra loro, che hanno in comune la voglia di collocarsi ai margini del medium ed esplorarne le possibilità creative.

Non giochi in realtà virtuale

La VR si presta molto bene per creare esperienze immersive al di là dell'obiettivo ludico, calando gli spettatori in ambienti virtuali dove la fantasia non è vincolata dai limiti della fisica. Traversing the sectors di Silvia Ruzanka , artista multimediale, è un'installazione immersiva in realtà virtuale, un paesaggio visivo e sonoro liberamente esplorabile dall'utente grazie ai controller e la visore dell'HTC Vive: basta premere un tasto per avanzare lentamente all'interno di un mondo in cui convivono elementi naturali e artificiali. L'opera nasce da alcune registrazioni del suono di vecchi hard disk ormai obsoleti, che ha dato vita nell'immaginario di Ruzanka a un piccolo mondo low poly, maculato dal dithering della grafica dei primi computer. Un mondo abbandonato, dall'atmosfera quieta e sospesa: un monumento all'obsolescenza.

Tutt'altro registro per The Ogre Coaster, di The virtual lab, che combinando visore per realtà virtuale e sensori di movimento, ricrea l'esperienza delle "case degli orrori" dei luna park, con tanto di carrellino in realtà virtuale. I movimenti della sedia meccanica sono davvero ben calibrati e restituiscono la sensazione di presenza in modo molto convincente, mentre la grafica fantasy riesce a dare un buon senso di immersività senza il problema dell'eccesso di realismo. Il giocatore veste i panni di un principe catturato dagli orchi che, imprigionato nel suo carrellino, percorre la strada che lo conduce al castello, attraversando terre popolate da creature malvagie: orchi, ragni giganti, scheletri non morti e perfino un drago, il tutto accompagnati dalla voce narrante del nostro carceriere orchesco che descrive ciò che vediamo con un'ironia che ricorda la voce narrante di The Stanley Parable, rendendo l'esperienza gradevole non solo per i più piccini.
Concludiamo parlando di A Short History of the Gaze , un saggio in realtà virtuale che porta l'impegno politico di Molleindustria alla conquista della realtà virtuale e che parla del rapporto stretto tra lo sguardo, l'azione del guardare, e la violenza. Partendo dall'era precambriana per arrivare ai giorni nostri, il giocatore viene trasportato tra le epoche e le situazioni e influisce sulle scene virtuali semplicemente scegliendo di guardare o di non farlo.

Incursioni ludiche nel mondo fisico

Chi ha detto che la dimensione ludica debba limitarsi ai confini del digitale? Nessuno in verità, e infatti ci sono diversi esempi di come la dimensione virtuale e quella reale si possano integrare con più o meno successo. Restano comunque fenomeni marginali, anche quando si tratta di operazioni di successo mondiale (come Pokemon Go) o di tecnologie che vorrebbero diventare massificate ma vengono spesso accolte da pubblico e sviluppatori con una discreta diffidenza, come Kinect. Soprattutto è raro trovarli alle fiere di settore, anche perché si tratta spesso di operazioni che sconfinano nell'installazione o nella performance e sono difficilmente (o per nulla) commercializzabili. Lo showcase di Game Happens ha ospitato alcuni giochi/installazione e giochi/performance che chiedono ai giocatori di agire nel mondo fisico.
Jamais Vu, di Brianna Shuttleworth, è un board game performativo: consiste in una sequenza di tre giochi da tavolo che andrebbero giocati in sequenza: il primo competitivo, il secondo cooperativo, il terzo che può essere giocato in entrambi i modi. La peculiarità di questa operazione consiste nel metronomo di sottofondo che scandisce, coi suoi battiti, il ritmo di gioco: un ritmo lento, 20bpm, al quale i giocatori dovrebbero cercare il più possibile di adattarsi.

È un giocare come atto rituale, come pratica di meditazione. Save the World, di Julia Noomen, è un ibrido tra uno urban game e una interactive fiction. Un narratore misterioso chiede ai giocatori di scongiurare una minaccia aliena compiendo nel mondo reale azioni giocose, colorando e decorando gli spazi circostanti a Villa Durazzo Bombrini. Il racconto del narratore comincia ben presto a sembrare strano e il giocatore viene lasciato a domandarsi quanto di quel racconto corrisponda a verità o sia frutto di una fervida, e non del tutto sana, immaginazione. Lumiere Noire, di Funambule Games , è un'installazione ludica dal sapore infantile che, grazie all'uso di una telecamera, integra la dimensione virtuale e quella fisica. È un gioco di costruzioni che chiede al giocatore di costruire un castello impilando dei grossi cubi colorati. Il castello si costruisce simultaneamente, o quasi, sullo schermo; per terminare la partita basta distruggerlo, col piacere ingenuo di un bambino, e a seconda dei cubi usati sullo schermo comparirà un'animazione che racconta una microstoria diversa a seconda del castello costruito. The Story of the Revolutionary Watermelon that wanted to live free as a bird and learned how to escape , è stato creato da Alessandro Arcidiacono e Simone Tranchina per la Watermelon Jam . È un chiaro omaggio parodistico a Inside di Playdead, ma al posto del ragazzino qui troviamo un cocomero in fuga. Si gioca sculacciando un controller fatto ad hoc - utilizzando Arduino e un vero cocomero.

Normali videogiochi o artefatti artistici?

Ci sono alcuni videogiochi che pur appartenendo in modo chiaro a un genere del quale conservano le meccaniche, si allontanano dall'obiettivo ludico o lo stravolgono completamente per fare spazio a qualcos'altro. È il caso di Domus, di Giovanni Rubino , un installazione in cui i partecipanti, collettivamente, amministrano un piccolo quartiere, comprando, vendendo, affittando e ristrutturando edifici. Le meccaniche tipiche del gioco gestionale vengono svuotate dal loro obiettivo ludico sottraendo completamente al giocatore il controllo sul bilancio economico delle sue azioni.

Alla fine delle due giornate di showcase il quartiere porta le tracce degli interventi "alla cieca" di tutti i giocatori. Sia Best Luck, di Jae Hyun Yoo , che Close, di Tobias Zarges & Moritz Eberl , partono da meccaniche e situazioni tipiche del genere adventure e creano narrazioni ambientali molto potenti senza (o quasi) l'ausilio della parola. Best Luck racconta di un sogno ricorrente e del rapporto con una ragazza silenziosa, che insistentemente indica la strada. L'atmosfera è onirica, la narrazione sospesa, gli enigmi sono ambigui e misteriosi. Close è la storia di una volpe che ha una missione, e di una bambina col cappotto rosa che la segue nella neve e può decidere di aiutarla o di girovagare sola in una foresta innevata. Close gioca sul rapporto tra vicinanza e allontanamento e mette il giocatore non nei panni del protagonista della storia, la volpe, ma in quelli della bambina, che può essere allo stesso tempo assistente o osservatrice. Illumine, di Dejima , è un roguelike che si ispira alle origini del genere, recuperando la suggestione dei personaggi come caratteri ASCII, che mette il giocatore all'interno di un mondo dalle regole misteriose che si rivelano di partita in partita e che palesano una riflessione sulla vita, la morte e la reincarnazione.

Il fascino intramontabile della parola scritta??

Non è un mistero che a Game Happens ci sia una particolare attenzione per la narrazione, oltre che per la sperimentazione. La selezione di giochi esposti è particolarmente ricca di giochi nei quali la parola ha un ruolo fondamentale. Parola che non è più necessariamente descrittiva, non si limita a sostituire la mancanza di altri media, ma può essere libera, poetica ed evocativa, valorizzare, quindi, la propria specificità come linguaggio.Ms. Lojka or: in despair to will to be oneself, di Jordan Magnuson è un cosiddetto hypertext game. Realizzato con l'editor Twine , mostra appieno il livello di raffinatezza che si può raggiungere con un tool così semplice. Ms. Loika riesce a creare un'atmosfera di tensione e inquietudine grazie al tappeto sonoro e alle splendide illustrazioni dalla pennellata evidente e espressionista. Utilizzando i clichè dell'horror psicologico costruisce una storia di inquietudine e alienazione, raccontando il difficile rapporto con la parte più profonda e oscura della mente. Un registro molto diverso caratterizza invece An Afternoon Rippling, di Mars Lizard , ibrido tra avventura grafica e text game. I colori sono vivaci, le illustrazioni quasi bambinesche, i personaggi sono caratterizzati con leggerezza e un pizzico di follia. In An Afternoon Rippling dovremo cercare un meccanico per riparare la nostra auto rimasta in panne in mezzo al deserto, e in questa ricerca ci fermeremo a chiacchierare con le persone, con la spontaneità e l'apertura possibili solo nei film e nei romanzi "on the road".L'amore viene esplorato nelle sue declinazioni più profonde, non scontate nè edulcorate, da Thing-in-itself, di Party for Introverts e Don't Make Love di Maggese .

Thing-in-itself è un punta e clicca che parte dal concetto Kantiano di cosa in sè e costruisce un'avventura basata sulla percezione, in particolare sul modo in cui noi stessi filtriamo il mondo che vediamo sulla base delle nostre esperienze e del nostro stato emotivo. Racconta la storia d'amore di Ted e Molly, ne segue l'evoluzione, racconta dolorosamente dell'impossibilità di capire qualcuno fino in fondo.
Don't Make Love è interactive fiction che parla di una coppia di mantidi religiose che affronta la difficile scelta di cedere o meno all'istinto sessuale, sapendo che farlo porterà quasi inevitabilmente alla morte del maschio.  Don't make love è un dialogo: il giocatore scrive la sua risposta, il programma la interpreta e sulla base di questa fa avanzare la narrazione verso uno dei possibili finali.
Don't Make love richiede la collaborazione del giocatore: giocare per "romperlo" è molto facile, ma se si sta al gioco può diventare un'esperienza catartica, grazie alla libertà di scrivere tutto ciò che desideriamo e di non limitare le nostre reazioni a un numero limitato di scelte predefinite. Una storia d'amore è alla base anche di Bury Me, My Love, di The Pixel Hunt, gioco mobile che racconta la fuga di di Nour dalla Siria, e il suo viaggio verso l'Europa, attraverso le chat tra lei e il marito Majd, rimasto in patria a prendersi cura della madre e del nonno. È un racconto di cui colpiscono due aspetti diametralmente opposti: la drammaticità della situazione e la normalità della conversazione tra i due, come a ricordarci che i migranti non sono "tragedie umane" o "ospiti indesiderati", ma sono semplicemente persone.Code 7, di Goodwolf Studio , è un'avventura testuale che mette il giocatore davanti all'interfaccia di un computer e nei panni di un hacker, Alex, alle prese con l'esplorazione di una base spaziale abbandonata. I dialoghi a scelta multipla si alternano all'esplorazione del terminale, il cui utilizzo è necessario per la soluzione di tutti gli enigmi.
All'atmosfera sci-fi anni ‘90 di Code 7 si contrappone l'estetica anni ‘20 di Princesa Mafalda, visual novel realizzata da studenti della scuola di cinema Luchino Visconti di Milano che racconta la storia del naufragio del piroscafo italiano Principessa Mafalda attraverso gli occhi di tre dei protagonisti. L'atmosfera dell'epoca si respira grazie allo stile grafico, che contiene innumerevoli rimandi alle diverse correnti artistiche dell'epoca, alla colonna sonora, composta da canzonette originali del periodo, e al registro linguistico straniante che scimmiotta da un lato il linguaggio dei cinegiornali, dall'altro il lessico futurista di stampo Marinettiano.