Ghostwire Tokyo tra demoni e yokai, folklore giapponese e leggende urbane

Il nuovo titolo di Tango Gameworks cela una profonda connessione con il mondo del folklore, della mitologia e delle leggende urbane giapponesi.

Ghostwire Tokyo tra demoni e yokai, folklore giapponese e leggende urbane
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Disponibile per
  • Pc
  • PS5
  • Xbox Series X
  • L'immaginario dell'intrattenimento contemporaneo sta attraversando una fase di riscoperta del folk-horror, una particolare trattazione del genere che si fonda sulla rilettura di tradizioni e credenze del passato per esaltarne l'inquietante alone di mistero che le ammanta. Si pensi a film come The VVitch, Kill List, Midsommar o The Wailing: grandi successi di critica e pubblico che sono stati apprezzati proprio per la loro capacità di rileggere dinamiche sociali e narrative popolari in chiave orrorifica ed inquietante.

    Non è un caso, quindi, che Tango Gameworks abbia presentato Ghostwire: Tokyo proprio al culmine di questa "nuova" tendenza della narrativa; non lo è proprio in virtù del fatto che la tradizione folkloristica giapponese basa gran parte del proprio immaginario su antiche leggende riguardanti demoni e spiriti di varia natura. La cultura pop, dopotutto, ha pescato a piene mani dal folklore del sol levante per rielaborarlo in varie forme: si pensi per esempio a Pokémon e Yokai Watch che hanno preso ispirazione dalla sterminata fauna che popola miti e leggende della cultura nipponica per trasformarli in mostriciattoli simpatici e divertenti, o agli infiniti prestiti operati negli anni da manga e anime.

    Ciò che è importante tenere a mente, infatti, è che le tradizioni non sono fatte per rimanere scolpite nella pietra, ma esse cambiano di continuo trovando ogni volta il modo di adattarsi ai tempi che corrono. Se si guarda alla presentazione estetica e concettuale di Ghostwire: Tokyo, infatti, il messaggio che passa è esattamente questo: siamo alle prese con un Giappone degli anni 2020 in cui si stanno verificando strani fenomeni spiritici molto simili a quelli descritti negli emakimono del XVI secolo. Quasi tutti gli abitanti della capitale sono scomparsi nel nulla, e le strade sono state prese d'assalto da quelli che sembrano e sono a tutti gli effetti Yokai della tradizione rivisitati in chiave moderna.

    La suggestione del gioco, almeno in questo periodo antecedente la pubblicazione, sta tutta lì, nel modo in cui rielabora le sue fonti incrociandole con le leggende urbane contemporanee (se ne parlò anche nell'anteprima di Ghostwire: Tokyo). Per comprendere appieno il fascino di quanto presentato da Tango Gameworks finora, però, è necessario dare uno sguardo più da vicino alle ispirazioni di Ghostwire: Tokyo e al modo in cui si fondono con il gameplay stesso.

    La parata notturna dei cento demoni

    A differenza dei loro omologhi della tradizione cristiana, i demoni e gli spiriti del folklore giapponese non sono per forza creature malvagie. Al contrario, essi hanno nature differenti e in alcuni casi sono benevoli, e sono stati descritti in un'infinità di libri e raccolte durante i secoli. Quando si parla di folklore, però, non si parla necessariamente di tradizioni lontane nel tempo.

    Esiste un folklore "moderno" a cui fanno da sfondo le grandi città metropolitane del secolo corrente e che si esprime attraverso le cosiddette leggende urbane. In entrambi i casi si tratta di racconti e dicerie scaturiti dal confronto degli umani con l'ignoto, dalle ansie nate in seguito al progressivo inurbamento e da tutti quei fenomeni (naturali e sociali) che non siamo perfettamente in grado di comprendere.

    Come già detto, l'incipit di Ghostwire: Tokyo racconta di una città svuotata dagli esseri umani e completamente in mano ai demoni, che girano indisturbati per le strade in quella che sembra una notte eterna. Questo potrebbe essere il primo dei tanti riferimenti culturali presi in prestito, dal momento che la situazione ricorda da vicino la Hyakki Yagyo, o Parata Notturna dei Cento Demoni descritta nelle leggende.

    Si tratta di una credenza che prevede che durante una notte d'estate tutti gli spiriti e gli yokai si riversino in strada, e che essi uccidano senza pietà qualunque umano vi assista senza essere protetto da un sutra. La somiglianza tra le due situazioni rappresentata è lampante, ma i richiami al folklore nipponico e, in particolare, alle usanze dello shintoismo non finiscono qui: la Tokyo di Tango Gameworks è costellata di torii (le porte rosse poste all'ingresso dei santuari shinto) che sembrano separare il mondo terreno da quello degli spiriti, e Akito, il protagonista del gioco, può utilizzare talismani e amuleti per difendersi dai "visitatori". Il setting principale sembra essere questo, ma a dire il vero ciò che rende così affascinante l'opera sono il monster design e il modo in cui il gameplay sembri essere costruito interamente attorno ai rituali tradizionali.

    Mitologia, Leggende urbane e creepypasta

    Si prendano ad esempio i mostri più iconici di quelli visti finora di Ghostwire: Tokyo, ovvero le creature senza volto vestite in abiti formali che si aggirano per la città: la semplicità del loro design non va sottovalutata, essa nasconde infatti una complessa stratificazione di riferimenti e significati che sembrano avere

    anche un riscontro pratico nella loro implementazione all'interno del gioco. Si tratta infatti della perfetta commistione di tre elementi provenienti da culture differenti. In primis, la loro figura ricorda da vicino quella dei Noppera-bo, Yokai dalle fattezze umane ma dal volto vuoto, che si dice amino cammuffarsi come gli amici più stretti della loro vittima e spaventarla una volta mostrato il loro volto privo di espressione. Il loro abbigliamento, però, fa riferimento a quella che è forse la leggenda internettiana più famosa di sempre - quella dello Slender Man - comparso in rete come protagonista di un numero enorme di creepypasta provenienti perlopiù da occidente. Lo Slender Man è uno spirito maligno descritto come un essere umano altissimo e senza volto che si mostra sempre in giacca e cravatta e che segue incessantemente le sue vittime (generalmente bambini e adolescenti) per poi rapirle. Se rapportato al contesto di Tokyo, però, l'abbigliamento di queste creature sembra fare riferimento agli innumerevoli impiegati che popolano la città, tutti vestiti uguali e quindi particolarmente indistinguibili tra loro, dettaglio accentuato proprio dalla mancanza di un volto definito che aiuti a riconoscerli e dal loro incedere erratico.

    Nei vari trailer pubblicati finora compare un'altra creatura particolarmente interessante. Si tratta di una donna dai capelli neri vestita con un lungo impermeabile che si aggira per le strade di Shibuya con in mano un grosso paio di forbici. Anche in questo caso il team guidato da Shinji Mikami è riuscito ad operare una sorta di rilettura moderna di una leggenda molto antica. La creatura è infatti un chiaro rimando alla figura della Kuchisake Onna, una

    bellissima donna sposata con un samurai che dopo averla sorpresa in compagnia di un amante la sfregiò in volto con la sua katana, incidendole il viso con un taglio da un orecchio all'altro. Si dice che la Kuchisake Onna sia ossessionata dalla propria bellezza deturpata, e che da allora il suo spirito rancoroso vaghi per il paese alla ricerca di uomini da attirare a sé per poi terrorizzarli mostrando il proprio volto sfregiato e accanirsi su di essi con violenza. Non uno yokai quindi, ma un Onryo - uno spirito maligno in cerca di vendetta per un torto subito in vita - che è sopravvissuto grazie alla tradizione orale fino alla modernità. La figura della Kuchisake Onna si è adattata all'evoluzione della società giapponese, al punto che all'inizio degli anni ‘80 si scatenò una vera e propria isteria di massa quando diversi giornali riportarono che, per le strade di Gifu, si aggirasse una giovane donna con il volto coperto da una mascherina chirurgica che avvicinava i passanti (soprattutto i bambini) per chiedergli se la trovassero attraente.

    Nel caso la vittima avesse risposto affermativamente, la donna avrebbe quindi scoperto il volto squarciato da parte a parte e, se il suo interlocutore si fosse spaventato, si sarebbe avventata su di lui con un oggetto affilato per sfregiarlo.

    In Ghostwire Tokyo la Kuchisake Onna possiede i tratti distintivi delle sue rappresentazioni più comuni: il volto coperto, un fisico attraente e un'arma da taglio. Il suo abbigliamento si è però aggiornato per rimanere al passo coi tempi, in modo da renderla perfettamente credibile come possibile abitante della città, e le grosse forbici che tiene strette in mano sono sia un riferimento alla leggenda da cui è ispirata sia un possibile omaggio a Clock Tower, che è un vero e proprio caposaldo della storia dei videogiochi horror. Anche in questo caso, la direzione intrapresa è stata quella di creare un'affascinante commistione tra folklore, leggende urbane e il contesto socioculturale del Giappone contemporaneo.

    Gameplay folkloristico

    Finora si è parlato solo ed esclusivamente di estetica e del design delle creature, ma quanto traspare dai trailer pubblicati da Bethesda nell'ultimo periodo è che i riferimenti culturali di Ghostwire: Tokyo non si limitino ad impattare sul gioco solo per quanto concerne la sua presentazione visiva.

    Al contrario, le meccaniche di gameplay si fondano su quegli stessi riferimenti. I Noppera-bo si cui abbiamo parlato poco fa sono descritti come spiriti dispettosi ma non malefici, e non a caso i visitatori ispirati ad essi sono spaventosi ma tendenzialmente poco aggressivi (perlomeno a giudicare dai filmati di gioco disponibili ad oggi), al contrario della Kuchisake Onna.

    Seguendo lo stesso percorso, quindi, diventa lampante come certe scelte siano motivate proprio dal bisogno di andare a recuperare certe dinamiche comportamentali o di "affinità elementale" degli yokai e degli spiriti inseriti nel gioco. L'impostazione in prima persona mette al centro della scena le mani del protagonista, che si muovono articolandosi secondo le posizioni del Kuji Kiri,

    una pratica del buddhismo che associa alla gestualità un potere specifico legato alle forze della natura. Non è un caso che la principale arma a distanza di Akito sia un arco, in quanto archi e frecce sono spesso custoditi all'interno dei santuari come strumenti in grado di purificare il male e scacciare spiriti maligni e maledizioni. Oltre a questo, si sono intravisti dettagli molto interessanti come il fatto che ovunque stia piovendo è possibile interagire con i Teruteru-Bozu, tradizionali bambole di carta appese dai bambini alle finestre per scacciare la pioggia (e ucciderne uno in Ghostwire: Tokyo sembra proprio far cessare la pioggia nell'area circostante), oppure il fatto che per utilizzare il rampino e volare sui tetti di Shibuya serva interagire con i Tengu, creature leggendarie tradizionalmente legate all'elemento del vento e, quindi, dell'aria e del volo.

    Altri esempi sono le Harionago, spiriti femminili che usano i propri lunghi capelli come armi per uccidere le proprie vittime, o la strana scatola fluttuante e in cui è contenuto lo spirito di KK, che ricorda molto da vicino le Kotoribako, scatole maledette protette da meccanismi complicatissimi in grado di squarciare gli organi interni delle vittime inconsapevoli, anch'esse comparse inizialmente su alcuni siti internet giapponesi dedicati all'occultismo.

    Demoni e teatro

    Un'ultima riflessione, stavolta di carattere puramente narrativo e speculativo, può essere fatta osservando il design della misteriosa persona contrapposta ad Akito, che sembra essere l'artefice dello sconfinamento del mondo degli spiriti in quello degli umani. L'uomo è stato mostrato con il volto coperto da una maschera Hannya, una figura che ha trovato spesso spazio nell'iconografia dei tatuaggi, soprattutto quelli legati in origine alla mafia giapponese (Si pensi, per esempio, all'Hannya che decora la schiena di Goro Majima in Yakuza).

    L'Hannya, di per sé, non è uno yokai o uno yurei, bensì è una maschera tipica del teatro No, dove viene indossata dagli attori che interpretano donne "possedute" dall'ira e dalla gelosia che si trasformano, dopo la morte, in spiriti vendicativi.

    Il villain di Ghostwire: Tokyo non sembra essere una donna, ma le ipotesi più credibili circa le sue intenzioni sono fondamentalmente due. L'uso della maschera Hannya potrebbe essere un evidente riferimento al fatto che si tratti una persona contrariata, magari tradita da qualcosa o qualcuno, in cerca di vendetta per un torto subìto.

    Allo stesso tempo, però, l'uso della maschera potrebbe essere legato ad un'altra convinzione legata alla sua funzione teatrale: il teatro, in Giappone, si è sempre mescolato con la spiritualità, ed era convinzione diffusa che l'utilizzo delle maschere aiutasse gli attori a trascendere la propria umanità per avvicinarsi al divino e ai suoi poteri. Questo potrebbe significare che la nemesi di Ghostwire: Tokyo sia sostanzialmente una pedina nelle mani di uno spirito vendicativo potentissimo che lo controlla grazie alla maschera, esattamente come l'unione di KK e Akito si manifesta al mondo tramite un'ombra che va a coprire parte del volto di quest'ultimo.

    Per scoprire la verità servirà aspettare ancora qualche giorno. Ghostwire: Tokyo è in uscita su PS5 e PC il 25 marzo (data anticipata al 22 per chiunque abbia acquistato la versione digitale deluxe del gioco). Gran parte dell'attesa è legata proprio alla scoperta dei misteri della nuova IP di Tango Gameworks e di come le influenze folkloristiche, sociali e culturali siano legate a doppio filo con la sua struttura, la sua narrativa e la sua estetica: componenti che al momento non sembrano avere omologhi nel panorama contemporaneo.

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