Gobbo Goes Adventure e Funny Pizza Land: la carriera segreta di Stefan Roman Hosch

Nascosti nei meandri delle produzioni davvero indipendenti, e riportati alla luce grazie alla piattaforma di digital delivery Itch, i lavori di Stefan Roman Hosch sono piccole gemme sperimentali da riscoprire.

Gobbo Goes Adventure e Funny Pizza Land: la carriera segreta di Stefan Roman Hosch
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  • Il mondo dei videogiochi, al di sotto della superficie, al di sotto della parte emersa della produzione, quella che fa molto rumore e muove grandi numeri, è un brulicare di piccole realtà, di nicchie costituite da produzioni minuscole e talvolta microscopiche, amatoriali, "casalinghe". Sono tutti quei titoli che hanno una circolazione ridotta, talvolta nemmeno una vera e propria distribuzione commerciale, ma che costituiscono, a ben vedere, il grosso (numericamente parlando e non solo...) della produzione videoludica. È un discorso, questo, che potrebbe essere allargato a tutti i campi della creatività e della "produttività" umana.
    Tenere traccia di questo (enorme!) modo sommerso è un compito difficile, un percorso che spesso incappa in vicoli ciechi e punti morti. Un tragitto che talvolta finisce con un nulla di fatto. Capita che il materiale a cui si vorrebbe accedere sia nascosto chissà dove, in luoghi poco accessibili del mondo reale, così come del mondo "virtuale" e della rete. Eppure lo sforzo è necessario, ed è importante estenderlo anche al presente, costellato da centinaia di titoli messi a disposizione di un potenziale pubblico ogni giorno. Una certa idea di storia e di archeologia del medium videoludico è necessaria tanto per il passato quanto per il presente: le opere continuano a sparire, oggi come allora, basti pensare a tutte le produzioni che non escono dalle mura di casa o che, per un motivo o per un altro, vengono ritirate definitivamente (vedi alla voce Flappy Bird!).
    C'è una figura che ci permette di collegare agevolmente il passato e il presente di questo regno underground dei videogiochi, un artista tedesco attivo come sviluppatore indipendente dal 2002, i cui lavori sono interessanti sotto diversi punti di vista (da quello storico a quello prettamente ludico). Si tratta del poliedrico Stefan Roman Hosch, che abbiamo intervistato in occasione di questo approfondimento.
    Procediamo dunque a una panoramica sulla produzione dell'autore, intervallandola a veloci botta-e-risposta.

    PEZZI DI PIZZA PAZZA!

    Intervista all'autore

    Prima di tutto, le presentazioni: chi è Stefan Roman Hosch? Quando hai deciso di diventare uno sviluppatore di videogiochi, e per quale motivo?
    Ho deciso di sviluppare il mio primo gioco nel 2002. Ma le mie radici sono più classiche, dal momento che ho iniziato la mia carriera come pittore. Un giorno (alla fine degli anni Novanta) mi sono comprato il primo PC per realizzare qualcosa in movimento, qualcosa di animato. I software 3D di allora mi permettevano di renderizzare le mie animazioni e i miei cortometraggi, ma non di programmare un gioco intero. Ho dunque acquistato una licenza di un kit di sviluppo, per poter far diventare le mie opere interattive. Tutto il mio lavoro è arte (elettronica) e non intrattenimento. Questa idea è sempre stata importante per me.

    Roman (questo il "nome d'arte" utilizzato dallo sviluppatore) esordisce nel mondo videoludico nel 2002, con Funny Pizza Land, prodotto per anni quasi introvabile (o non-trovato!), che all'incirca dal 2011 comincia a riapparire sul canale YouTube ufficiale dell'autore, con brevi trailer e qualche video di gameplay. È pero recentissima l'apparizione del gioco su Itch, la straordinaria piattaforma di digital delivery indipendente, che ospita migliaia di titoli con una formula e una struttura mai troppo lodate.
    Roman, insomma, si riscopre produttivo, tanto da dare vita ad altri videogiochi, che al momento ci limitiamo ad elencare, ma su cui avremo modo di tornare: si tratta di Clochard e Hot Feet (2013), ma soprattutto di Gobbo goes adventure (2015) e Park Cleaner mockup (2016). Non bisogna poi dimenticare altre due produzioni del 2004, di cui sono al momento disponibili soltanto video e screenshot. Stiamo parlando di Breakfast With Prince Bonifaz e Hit the Rat.
    Per cominciare, Funny Pizza Land è un titolo curioso per diverse questioni, non ultima il suo motore di gioco, ovvero 3D Game Studio nella versione A5, un tool (sviluppato dalla tedesca Conitec Datensysteme) che ha dato vita a molte produzioni indipendenti dei primi anni 2000, oggi solitamente di difficile reperibilità. Tra gli altri citiamo l'FPS Angst, che profuma di anni '90, ma anche diversi titoli per l'infanzia, oltre a una serie di "simulatori 3D", tra cui 3-D Hunting Shark, e a Reverse the Abnormal II.

    Funny Pizza Land è un'avventura grafica in terza persona molto sui generis in cui il mouse è utilizzato solo per la gestione dei menu, mentre tutto il resto è affidato all'accoppiata WASD e frecce direzionali. Il protagonista del gioco, tale Pedro, proprietario squattrinato di una pizzeria che porta il suo nome, decide di far soldi dando la caccia al famigerato e "remunerativo" GlobalMediaMonster, uno strano essere con il capo a forma di TV e con un'invitante taglia sullo schermo... Meglio, sulla testa. Per far ciò il giocatore è chiamato a controllare il buffo Pedro facendolo girare su se stesso, per poi decidere verso quale strada indirizzarlo, esattamente come accadeva in Grim Fandango e nei meno conosciuti City of the Lost Children ed El Dorado.
    Tra le particolarità di questa piccola produzione non bisogna dimenticare la gestione della telecamera virtuale, che permette di analizzare meglio lo spazio circostante e anche di notare dettagli altrimenti non visibili. Sin dall'inizio si nota la presenza di ambienti che sembrano dei modellini di città e spazi surreali, pensati appositamente per essere ruotati ed esplorati in lungo e in largo. Si inizia con una visuale di lato, e ben presto si scopre (grazie alla fondamentali istruzioni di gioco) che girando la visuale è possibile notare una grande porta all'orizzonte. L'avventura inizia così, su un piccolo ponte, in un sentiero circondato dagli alberi. Non ci sono parole, se non in qualche scena di intermezzo sottotitolata in inglese e non doppiata. In fondo, il vero enigma che accompagna il giocatore dall'inizio alla fine dell'avventura non è uno dei puzzle ambientali presenti, ma la struttura stessa del titolo.

    Parlando di Funny Pizza Land, quali strumenti hai utilizzato per svilupparlo? Quando lo hai realizzato, e come mai hai deciso di ri-pubblicarlo di recente? Esiste anche una vecchia versione retail del gioco?
    Ho distribuito Funny Pizza Land per la prima volta nel 2002, e il gioco è stato promosso sulla pagina web ufficiale della Conitec (l'azienda che ha realizzato il motore di gioco) per circa un anno. Il kit che ho utilizzato è il 3D Game Studio, e sì, esisteva una versione retail del gioco su CD-ROM (scaricare 200 MB con un modem 56k sarebbe stato impossibile nel 2002!). Comunque, ho ri-distribuito Funny Pizza Land nel 2015 come una sorta di esperienza retro, e questo perché per me un gioco non deve per forza girare con gli shader più recenti, la fisica, in 4k, eccetera...

    Hai smesso di sviluppare nuovi giochi, tra il 2004 e il 2013, o ci sono progetti che poi hai deciso di non pubblicare?
    In effetti ho fatto un passo indietro come sviluppatore indipendente dopo qualche progetto più piccolo. Ci sono alcuni concept e mockup non completati sul mio hard disk, ma nella maggior parte dei casi ho finito e pubblicato i miei lavori.

    Come funziona il gioco? E il sistema di controllo? Come si legge la strana mappa a disposizione di Pedro? Come si aprono quelle porte? Dare le risposte in questa sede significherebbe rovinare l'esperienza a potenziali giocatori, perché in realtà in Funny Pizza Land si esplora un mondo più "semplice" di quanto potrebbe apparire. Eppure tutto rimane oscuro, non direttamente esplicitato: non ci sono indicazioni, gli indizi trapelano a fatica, e la vera sfida è comprendere "come si gioca".
    Il tutto condito da uno stile grafico votato all'ibridazione: pensato dichiaratamente come un "quadro esplorabile", FPL pare un felicissimo incontro tra Bosch, l'impressionismo, l'espressionismo e un particolare gusto per il grottesco. Bosch per i colori e per i personaggi incredibili che popolano terre d'assurdo; l'impressionismo per la texture che ricopre il volto di Pedro (una sorta di pennellata tridimensionale che ne rende labili i confini, continuamente sottoposti a deformazioni dalle strane espressioni del protagonista); l'espressionismo per i volti dagli occhi scavati e gli scenari più bui.

    L'introvabile versione bidimensionale

    In definitiva Funny Pizza Land è un "quadro per un'esposizione" esplorabile a 360 gradi, un'opera visiva dentro alla quale perdersi, accompagnati da una colonna sonora essenziale e fortemente posizionale, legata com'è ai diversi ambienti e allo spostamento stesso nel mondo di gioco. Dispiace soltanto che, come avremo modo di approfondire meglio nell'intervista, sia ormai irreperibile il prototipo che ha dato vita a questo titolo, ovvero Funny Pizza Land 2D, sviluppato dall'autore in collaborazione con Michael Büchele e oggi praticamente "disperso".

    IL GOBBO DI NOTRE PARK

    Su Twitter ti descrivi come un "artista e sviluppatore indipendente di nuovi giochi vecchi". Che cosa può insegnare il retrogaming ai giocatori e agli sviluppatori di oggi, e perché è così importante per te?
    Le idee erano diverse negli anni '80 e '90. Tu compravi (o copiavi!) un gioco e avevi tutto "l'oggetto" nelle tue mani. Era un epoca senza aggiornamenti, patch, DRM, versioni pre-alpha, senza Facebook o internet. I giochi allora non avevano bug, o quasi. Erano qualcosa di completo. L'altra questione è che specialmente nei videogiochi a 8-bit trovavi tutte le meccaniche di base che sono i fondamentali di ogni altro gioco. L'era a 16-bit, poi, è stata l'età d'oro nella storia del videogioco: per la prima volta era possibile disegnare qualcosa (e non solo ottenere blocchi e pixel).

    La storia del videogioco è piena di titoli che non sono ben conosciuti e che talvolta rischiano di scomparire. Abbiamo bisogno di una qualche forma di studio, di preservazione di questi lavori, e dell'arte e della cultura "underground" in generale?
    È una buona domanda, ma non penso che andrà così. Oggi come oggi i giochi li prendi da internet. Quelli che fanno le regole là fuori (con browser, app store) e che fanno funzionare sistemi come Google, Microsoft e altri, non hanno interesse a muoversi in questa direzione. E cosa possono farci gli indipendenti e le piccole organizzazioni pieni di passione? Il padre che tra trent'anni risponderà alla domanda del figlio "Che cosa si faceva nel 2016?", dirà: "Beh, c'erano Minecraft, Steam...". È difficile credere che possa esserci un futuro per le menti creative ed indipendenti.

    Il succitato Gobbo goes adventure è, per usare le parole dello sviluppatore, il seguito spirituale di Funny Pizza Land, da cui differisce per una sorta di visuale isometrica che non può essere manovrata e per un nuovo sistema di controllo. Anche visivamente i due giochi sono diversi, basti notare che in Gobbo vi sono molti più elementi grafici bidimensionali (presenti comunque anche nel mondo 3D di FPL), caratteristica che rende questo nuovo gioco una sorta di fumetto non-verbale, dal momento che tutti i personaggi si esprimono solo con vignette senza testo.
    Questa volta ci troviamo davanti a una vera e propria avventura punta-e-clicca, in cui risolvere cinque diversi episodi auto-conclusivi e in cui il finale generale rimane sospeso, "aperto".
    Le particolarità non tardano a farsi notare: Gobbo, ex-giullare protagonista del gioco, non ha a disposizione un inventario, e quindi tutti gli oggetti devono essere trovati, utilizzati ed eventualmente mescolati all'interno degli scenari. Ciò può avvenire grazie alla presenza di una mano (il puntatore del mouse) che rende il titolo una sorta di puzzle game contemporaneamente in terza e in prima persona. La mano serve sia a guidare il personaggio lungo i livelli, sia a toccare tutti gli oggetti interattivi a disposizione, che vanno scoperti in una sorta di hidden-object game in movimento, poiché non ci sono suggerimenti che indicano cosa può essere toccato con mano e cosa no. L'aspetto sorprendente è che, se è vero che la "mano (in)visibile" può attraversare qualsiasi muro, altrettanto non si può dire degli oggetti che trasporta. Questi ultimi sono sottoposti ai vincoli fisici del mondo circostante: un rigagnolo trascinerà tutto alla fine del proprio corso, una folata di vento porterà con sé tutto ciò che incontra sul proprio cammino, una ringhiera o un muro impediranno il trasporto dello strumento. Questa geniale intuizione di base dà vita a un puzzle game basato anche su un sistema di nastri trasportatori, per far raggiungere a determinati oggetti luoghi altrimenti inaccessibili.

    Il punto in comune tra questi due lavori e quello di cui ci occupiamo per ultimo, ovvero Park Cleaner Mockup, pare proprio essere questa sperimentazione sui punti di vista. PCM si presenta come un platform votato all'azione in cui esplorare un grande ambiente alla ricerca di particolari chiavi utili a sbloccare la via d'uscita dal "labirinto". Labirinto perché, in realtà, il gioco è costituito da un'unica grande mappa da esplorare e di cui è possibile avere una visione più chiara grazie a uno zoom-out (reso possibile da alcuni telescopi sparsi in giro).
    A tutto ciò si aggiunge poi un set consistente di armi (ognuna con le proprie specificità, dalla possibilità di attraversare i muri a quella di far rimbalzare proiettili esplosivi a destra e a manca) e, soprattutto, l'abilità principale del protagonista, che consiste nella trasformazione in statua, da utilizzare per la risoluzione di alcuni enigmi ambientali e per diventare immune agli attacchi,

    Hai iniziato a fare videogiochi nel 2002, quindi... Sai dirci cosa è cambiato nella scena indipendente in questi anni?
    Tutti possono fare giochi oggi, gli strumenti sono maturi e semplici da imparare. È un fenomeno di massa, dappertutto ci sono sviluppatori indie, e i numeri stanno crescendo. Videogiochi e arte sono ancora due cose differenti, ma forse un giorno le cose cambieranno.

    Quali sono le forme di arte visiva e i giochi che ispirano il tuo lavoro?
    L'arte classica, le ambientazioni storiche, i giochi europei del passato e gli home computer.

    un po' come il Mario Tanooki di Super Mario Bros. 3 e la Pantera Rosa del dimenticato Pinkadelic Pursuit.
    Insomma, Stefan Roman Hosch è uno sviluppatore che non ha mai smesso di sperimentare, e che permette di conoscere più da vicino un mondo fatto di giochi dimenticati e di opere da recuperare. Un mondo che per fortuna talvolta riaffiora, come in questo caso, permettendoci di incontrare una piccola realtà che sembrava destinata a rimanere una leggenda urbana, una fantomatica presenza nella storia dei videogiochi che si è invece resa giocabile riemergendo dagli archivi del passato.

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