God of War: Alla scoperta delle Valchirie nella mitologia nordica

Riscopriamo le origini delle Valchirie all'interno della mitologia norrena, così da comprendere come è stata rielaborata la loro figura in God of War.

God of War: Alla scoperta delle Valchirie nella mitologia nordica
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  • Mentre remiamo tra le placide acque del Lago dei Nove, osservando colossali statue di dèi norreni, ammirando intimoriti le squame del Serpente di Midgard, e smembrando draugr, troll e redivive, ci rendiamo sempre più conto di come il nuovo God of War rappresenti, a modo suo, un vero e proprio compendio interattivo della mitologia nordica. Nei mondi digitali che si estendono dalle radici di Yggdrasil è possibile riscoprire un crogiolo di leggende appartenuto alle tradizioni scandinave, che Santa Monica, con grande intelligenza e creatività, ha rielaborato a suo piacimento. E tra le figure più iconiche delle terre del Nord non potevano ovviamente mancare le Valchirie, divinità indissolubilmente legate all'onore battagliero dei vichinghi, traghettatrici degli eroi nel Valhalla. In God of War, avremo l'opportunità di incontrarle solo tramite scontri del tutto opzionali, in duelli tesi e feroci che metteranno a dura prova le nostre doti guerresche. Per comprendere appieno quante libertà artistiche Cory Barlog ha deciso di assumersi nella reinterpretazione delle Valchirie, proviamo a "cavalcare" tra le maglie del mito, così da riscoprire le origini di queste bellissime ed ammalianti creature.

    Giudici, guerriere, dee, amanti

    Nella Voluspa, celeberrimo poema dell'Edda poetica, una veggente descrive ad Odino l'apparizione trionfale delle Valchirie: "Vide, lei, le Valchirie/venire da lontano/pronte a cavalcare/verso il popolo dei Goti".

    Benché la loro iconografia, sin dagli albori della mitologia, abbia più volte cambiato aspetto, il ruolo che ricoprono nelle leggende resta pressoché immutato. Come suggerisce il significato del nome, d'altronde, queste dee sono "coloro che scelgono i caduti". Alla loro volontà spetta quindi decidere quale anima, dopo la dipartita in battaglia, debba essere condotta nel Valhalla (o Valholl): qui gli spiriti si tramutano in "einherjar", guerrieri che si addestrano costantemente allo scopo di prepararsi al Ragnarok e servire nelle schiere di Odino. Tra i defunti, solo metà dei prescelti viene selezionata dalle Valchirie, mentre i restanti finiscono nel Sessrúmnir, una sala "ampia e bella" situata nel Fólkvangr, la "residenza in cielo" dalla dea Freyia. Ecco che le Valchirie ci vengono presentate, nella variante "classica" del mito, come le guerriere al servizio del padre degli dèi. Se non sono impegnate ad allenare i soldati dell'esercito divino, le fanciulle allietano i commensali portando loro dell'idromele. Infatti, gli einherjar, tra un duello e l'altro, "quando viene il momento della colazione del mattino [...] cavalcano di nuovo alla Valholl e siedono a bere". L'atto stesso del servire i guerrieri è una prerogativa della cultura norrena, che fa dell'ospitalità un valore sacro e profondamente onorevole. Il fatto che le dee versassero dell'idromele ai soldati, pertanto, non è considerabile come un gesto di sottomissione, bensì di nobiltà ed orgoglio. Sempre secondo la raffigurazione più tradizionale, le Valchirie sono solite apparire in groppa a ferocissimi lupi, con i quali vengono identificate. Tuttavia, seguendo altre diramazioni del mito, alcune fonti inquadrano queste donne come figlie di Odino, vergini dai capelli biondi e dal mantello piumato, capaci di assumere le sembianze di splendidi cigni. È curioso constatare come la tradizione ci porti ad avere due differenti interpretazioni delle Valchirie: da una parte condottiere associate alla morte, simboleggiate da lupi e corvi (che banchettano e traggono nutrimento dal sangue dei vinti), dall'altra fanciulle dalla bellezza candida e pura, spesso amanti di grandi eroi.

    Nonostante le differenze, permane un elemento che accomuna entrambe queste rappresentazioni: ci riferiamo alla missione delle Valchirie, chiamate a giudicare il valore degli uomini. Anche quando si innamorano di semplici mortali, il loro compito consiste nell'affiancarsi a condottieri dotati di grande abilità e coraggio. Ma l'amore per queste dee può anche condurre un essere umano tra le braccia della pazzia: è il caso, ad esempio, del fabbro Völundr, il quale, dopo aver sorpreso la Valchiria Alvitr intenta a fare un bagno in un lago (un po' come avviene per le Ninfe nella cultura greca), si invaghisce perdutamente di lei e la prende in moglie. Dopo nove anni, però, Alvitr si trasforma in cigno, e vola via nelle sue dimore divine: a questo punto, Völundr, a metà tra la disperazione e la follia, inizia a forgiare ogni giorno un anello d'oro rosso (per un totale di settecento esemplari) nell'attesa che la sposa faccia ritorno al suo focolare. Il fatto che il fabbro si dedichi alla creazione di un anello non è certo una casualità: tale oggetto è infatti una costante dell'universo norreno, ricorrendo in più occasioni lungo le trame del mito, simbolo ora del dominio assoluto, ora della sessualità femminile.

    Nel poema epico Il Canto dei Nibelunghi, l'eroe Sigfrido ruba alla regina d'Islanda Brunilde il suo anello e la sua cintura, dopo averla posseduta, di notte, con l'inganno: in tal modo, i due gioielli diventano emblema della deflorazione. Diverso, di contro, il discorso per quanto concerne la tetralogia dei drammi musicali di Wagner, L'anello del Nibelungo: qui, secondo il grande compositore tedesco, l'oggetto si tramuta nello stendardo del potere supremo, posseduto dal crudele nano Alberich che, rinunciando all'amore, spera di poter conquistare il mondo con l'influsso dell'anello. Colonna portante del capolavoro wagneriano è proprio il legame sentimentale che unisce i già citati Sigfrido e Brunilde, la quale - nella visione dell'autore - sveste i panni di regina per indossare quelli di una Valchiria, figlia prediletta di Odino. Nell'opera di Wagner, insomma, la mitologia nordica (tra anelli, valchirie, guerrieri, dèi ed amori proibiti) viene riassunta e rivisitata secondo un'ottica romantica, epica e disperata.

    La Cavalcata delle Valchirie: La romantica visione di Wagner

    Richard Wagner non segue pedissequamente le leggende: un po' come Santa Monica, si limita a prendere ispirazione dal mito per rimodellarlo secondo la sua strepitosa fantasia creativa. Nella tetralogia L'Anello del Nibelungo, il compositore recupera l'idea delle Valchirie come amanti degli eroi, e rielabora la figura di Brunilde, la più importante tra le figlie di Wotan (il nome germanico di Odino). La dea disobbedisce agli ordini paterni, e sceglie di salvare la vita al fratellastro Siegmund (frutto dell'unione tra Wotan e una mortale), il cui amore incestuoso verso la gemella Sieglinde avrebbe portato alla nascita di Sigfrido.
    Nel tentativo di aiutare Siegmund, la Valchiria commette dunque una duplice negligenza, rifiutando un comando di Wotan e non traghettando un condottiero nel Valhalla: il fratello perirà lo stesso, come ha decretato il destino, ma Brunilde proteggerà Sieglinde, permettendole di partorire Sigfrido.

    Durante il famosissimo brano "La Cavalcata delle Valchirie", ci vengono presentate tutte le figlie di Wotan: il loro arrivo sul palco, a cavallo, portando in sella il corpo di un caduto, riprende la grandiosa avanzata descritta nella Voluspa. Nessuna delle altre divinità, però, osa schierarsi contro il padre: Brunilde resta quindi la sola vittima della collera del genitore, che - in preda alla rabbia ed alla tristezza - condanna la figlia ad un lungo sonno, avvolta da un invalicabile muro di fuoco. Solo un "intrepido, liberissimo eroe" potrà ridestarla.
    Si tratta ovviamente di Sigfrido, che, essendo nipote di Wotan e di Brunilde, è connesso alla Valchiria da uno strettissimo legame di parentela: la loro passione, che travalica le distanze tra il divino e l'umano, nasce dunque sotto una cattiva stella, e si spegnerà- dopo inganni e tradimenti - tra le fiamme della morte e del dolore, durante Il Crepuscolo degli dèi, ultimo canto di Wagner. La Brunilde del maestro tedesco incarna in sé quindi tutte le caratteristiche delle Valchirie nella tradizione norrena: è giudice del destino altrui, è una guerriera indomita, è una dea compassionevole ed è l'amante di un essere umano. Diviene poi prigioniera di spoglie mortali, di catene che solo un eroe degno di tal nome potrà spezzare. Ritorna qui il tema del "valore" tipico del condottiero vichingo. E - a suo modo - Kratos rientra a pieno titolo, come vedremo, nel novero di questi gloriosi, forti, invincibili guerrieri.

    Le Valchirie di God of War

    Forgiato dal fuoco di mille battaglie, sopravvissuto ad una incredibile sequela di tragici eventi, il Fantasma di Sparta può dirsi, senza ombra di dubbio, un combattente straordinario, in grado di competere ad armi pari anche con i più forti eroi norreni.

    Ed è per tale motivo che spetta al nostro protagonista salvare le Valchirie di God of War dal loro castigo. Nell'immaginario di Santa Monica, queste creature sono state intrappolate da Odino - per ragioni inizialmente sconosciute - in una forma mortale: una prigione che le sta pian piano conducendo alla pazzia. Nel corso del suo pellegrinare, Kratos si imbatterà nella versione "corrotta" di tali dee, e - dopo averle violentemente sconfitte - infrangerà i loro vincoli terreni, permettendogli di ritrovare la libertà perduta. Come insegna la tradizione, le Valchirie più importanti sono nove, esattamente lo stesso numero che lo Spartano dovrà abbattere prima di scoprire il motivo che ha spinto Odino a punirle così crudelmente. Il modo in cui Cory Barlog ed il suo team hanno ricreato le Valchirie è decisamente affascinante: ci appaiono come potentissime guerriere alate, che combattono e si muovono con uno stile rapace (come i corvi) e bestiale (come i lupi), aggressive ma nobili, selvagge ma eleganti. I designer di Santa Monica hanno dunque pescato a piene mani dalle leggende tradizionali e dalle raffigurazioni successive, dando vita ad una visione innovativa e classica allo stesso tempo. Al pari delle dee wagneriane, anche le Valchirie di God of War sono punite da Wotan/Odino, ed aspettano che un eroe (metà dio e metà uomo - come Sigfrido) le "risvegli", dando prova di grande fermezza d'animo. Come abbiamo più volte ribadito, il destino delle Valchirie è infatti perennemente unito a doppio filo a quello degli uomini "valorosi", meritevoli di sedere nelle sale del Valhalla: non è certo un caso, in sostanza, se la quest secondaria che ci impone di sconfiggere queste divinità si intitoli proprio "Dimostra il tuo valore".

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