Speciale Grand Theft Auto IV - Seconda visita a Londra

Cronaca della presentazione londinese

Speciale Grand Theft Auto IV - Seconda visita a Londra
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Xbox 360
  • PS3
  • Pc
  • Racconti di viaggio

    Il volo Londra - Milano non ci coccola di certo. L’aereo trema, vibra sferzato da mitragliate di vento e precipita da un vuoto d’aria all’altro. E’ un festival della turbolenza. Ma a noi poco importa. La testa è da un’altra parte. Rapita. Tanto che se il tizio in doppiopetto seduto al nostro fianco sfondasse il finestrino a craniate, difficilmente ne saluteremmo la simpatica impresa con più di uno sbadiglio di circostanza.
    Liberty City, pensiero fisso. Il ricordo è ancora fresco, abbacinante e vivido come un pugno in pieno viso. Il tempio della disillusione è tornato, in tutto il suo deviato splendore. Eppure c’è qualcosa di diverso, di più tagliente, più ficcante rispetto agli altri esponenti di questa saga milionaria. La credibilità, in primo luogo. Una verosimiglianza che si sviluppa su più livelli -come vedremo-, per la cui definizione l’appeal grafico apporta sì un contributo importante, quantunque non soverchiante nel computo della nuova ricetta seguita da Rockstar North.
    E ancora. I contenuti veicolati dalla sceneggiatura, che prosegue lo smantellamento sardonico della realtà picconandola con riletture dissacranti. La goliardia eccessiva e d’un pezzo abbondante sopra le righe troneggia dunque con la prevedibile freschezza; meno profetizzabile era invece il suo intrecciarsi col passato e presente di personaggi che sebbene imbuchino ancora una volta la via della stereotipia, fuoriescono in una caratterizzazione invero inusuale per la serie.
    E poi le novità, tante, studiate, tutte dirette alla rifinitura di un gameplay capace di reinventarsi ad ogni iterazione, vero miraggio dei didascalici epigoni dei publisher concorrenti.
    GTA IV fa veramente male, ma non nel senso periodicamente addotto dalle nostrane associazioni di genitori. Fa male perché non si limita a prendere posto sullo scintillante convoglio dell’alta definizione, bensì vi salta sopra con irruenza, ne libera i vagoni e prosegue da solo.
    Cinturatevi nella carrozza numero IV. Il treno ripartirà solo il 29 Aprile, fatevene una ragione.

    Non mi somiglia per niente

    Come preannunciato, la coerenza visiva attiva canali differenti per manifestarsi compiutamente. Il livello più superficiale è chiaramente la cosmesi, ma di questo avremo modo di disquisire. Ciò che preme ora è ribadire che, sì, la città è fantastica e, sì, è proprio New York.
    Il punto è capire di che tipo di New York stiamo parlando, con quale taglio è stata fotografata, plasmata, ricostruita. E’ la NY di Woody Allen? Di Spyke Lee? Di Scorsese? O semplicemente quella di Rockstar North?
    A monte vi è la mancata rincorsa al fotorealismo con i suoi impersonali filamenti.
    A valle la proposta di una sorta di realismo interno che rende -per la prima volta in prodotto di tale dimensioni- pulsante tutto ciò che vi soggiorna all’interno. Liberty City è viva e non indegna del paragone con le ambientazioni cinematografiche sopra menzionate. Perché è lei la vera star di GTA IV. Con le sue dinamiche interne, mai così proteiformi ed eterodosse. Per la sua mastodontica e plausibile rete viabile, che ne trapassa ogni anfratto, rendendola totalmente percorribile. E per le sue strutture architettoniche, posizionate non per fare numero, bensì per stupire, magnificando ogni viaggio, ogni passeggiata ci si voglia concedere all’interno di questa megalopoli virtuale.
    Liberty City è dunque maturata, scostandosi dallo scolastico ruolo di teatrino anonimo, ricoperto fin dagli esordi. Non avrà l’estensione di San Andreas, ma lo surclassa -in accordo con quanto dichiarato dai PR di Take 2- in varietà situazionale. Una città, se vogliamo, ancora più ricca di regole, di ritmi, di procedure da seguire. E pronta a schiacciarti sotto le sue suole di catrame, cemento e malavita, soprattutto se sei un immigrato dell’Europa dell’est col vizietto dell’intraprendenza. L’epoca delle solitarie scalate di potere è finita da un pezzo.

    Nico Bellic

    Un’altra schifo di mattina, tanto per cambiare. A dirla tutta, da quando aveva messo piede su questa discarica di cemento chiamata America non è che di mattine buone ne avesse viste poi molte, Niko Bellic. Forse giusto un paio, ma era troppo sbronzo per apprezzarle, e quindi non computabili nella classifica dei risvegli che puoi anche non scaricare nella turca più vicina.
    Comunque fosse, ormai era in ballo e se non voleva che le sue chiappe immigrate finissero cementate in qualche grattacielo della mafia, era meglio schiodarle dal letto. E in fretta.
    Perché pur bello e confortevole, un palazzo con te come souvenir non è mai un bell’affare. Su questo non ci piove.

    Brucie l’aspettava dentro quelle quattro mura unte e bucherellate che si ostinava chiamare officina. La ricerca del dannato campanello aveva dato esito negativo, sicché Niko pensò bene di farsi annunciare suonando, con il tacco della scarpa, quello conservato nella patta di un giovane meccanico, infilato sotto uno di quei cassoni a quattro ruote che negli anni ’70 spopolavano in tv, ma che ora gli appariva solo come un ferro troppo vecchio per essere rubato persino da uno come lui. Il raglio di disperazione modello sirena sguainato dal ragazzo riecheggiò per qualche doloroso istante. Niko sapeva sempre come farsi ascoltare. Era una dote naturale.
    I muscoli di Brucie puzzavano di steroidi lontano un miglio. Tuttavia era la sua testa, o quello che vi annaspava dentro, che stuzzicava il prurito di Niko: un cane rabbioso col cervello alla rovescia e i bicipiti pieni di bozze non sai mai in quale stramaledetto casino ti può ficcare, e questo era un fatto.
    Però era immanicato, e Niko in qualche modo doveva pur sbarcare il lunario. E soprattutto, senza amici non vai da nessuna parte, se non dritto sparato nella tomba: regola numero uno di LC. Amen. I sogni pitturati sui muri delle sue fantasie da quella vipera sdentata di suo cugino Roman erano ormai acqua passata, scoloriti dalla pioggia acida di Liberty City. E questo era un altro fatto. Se vuoi una cosa, in questo covo di avvoltoi, allunga quel braccio ossuto, e prenditela. E sei solo un pidocchioso immigrato è più che pacifico che ti toccherà raschiare nel più fetido dei barili sporchi.
    Brucie aveva un conto in sospeso con un certo Rivas. Quello sciroccato mostrava un certo fastidio a prendere alla lettera le sue disposizioni. Problemi di lingua, sapete com’è. Aveva bisogno d’un paio di ripetizioni. Niko era l’uomo giusto.
    Ora doveva solo riuscire a trovarlo.

    III >>> IV

    Ogni cosa, in un progetto di così generose proporzioni, ha un suo peso specifico.
    Le novità introdotte in GTA IV pesano come macigni poiché rinverdiscono, più che aggiornano, dei dettami strutturali alla cui base vigeva un immobilismo quasi preoccupante.
    Di fatto, Rockstar North ha sempre operato in termini quantitativi (GTA: San Andreas), un modus operandi che di certo ha avuto indirette -ancorché innegabili- ripercussioni sul fronte qualitativo, ma le novità “vere” hanno di rado fatto capolino. La saturazione del mercato, inoltre, non ha certo aiutato a mantenere giovani talune idee, che al vaglio del tempo non hanno celato la propria ridondanza.
    Nell’hands off di Londra, abbiamo constatato le funzionalità di alcune migliorie di cui già avevamo benedetto l’introduzione la scorsa estate (il nuovo sistema di allerta della polizia, per esempio), insieme ad altre che davvero scrollano di dosso al titolo Take 2 il peso degli anni.
    Scordatevi la passività che permeava gli alter ego dei precedenti capitoli. Niko Bellic -e noi con lui- gode di una maggior capacità decisionale, che chiaramente travalica la mera scelta dell’ordine di successione delle missioni. Attraverso il cellulare e il computer presente nelle pattuglie della polizia, è dunque possibile connettersi alle reti di comunicazioni di massa, per reperire informazioni, indirizzi o più semplicemente per fare quattro chiacchiere con gli NPC di nostra conoscenza.
    La conclusione del paragrafo precedente risiede tutta nell’esemplificazione mostrataci dai tester di Rockstar North, che conducono Niko in strada alla ricerca di un’auto della polizia, senza risultati (mai un poliziotto quando ti serve). Fatto ciò, traslano alla fase due. Cellulare in mano, chiamano il 911, millantando un inesistente crimine commesso nella zona. Pochi istanti dopo l’arrivo della pattuglia, il protagonista ne aveva già preso il possesso con la consueta cortesia e controllato l’indirizzo di Rivas, ricavandolo dal database del LCPD.
    Ogni innovazione, comunque, rifugge dalla più becera strumentalizzazione, risultando figlia di uno studio approfondito. L’uso del telefonino, ad esempio, viaggia di concerto con il nuovo sistema delle amicizie, che ricoprirà un ruolo primario nell’economia del prodotto.
    Sbrogliare determinate situazioni o togliere dagli impicci qualcuno non sarà più sufficiente per procacciarci degli affari a tempo indeterminato. Nel giro, ci sono un sacco di addetti ai cosiddetti lavoretti. O di freelance affamati come Niko Bellic. Il nostro dovrà quindi intessere dei legami duraturi se vorrà sopravvivere nella giungla metropolitana. Ed il passo iniziale per coltivare un’amicizia solida non può che essere il telefono. Far sentire la propria presenza. Il proprio interesse. Solo così si evita di essere dimenticati.
    Gli sviluppatori, come da tradizione, sono stati piuttosto omertosi al riguardo, sussurrando solo come dal gioco di favori Niko possa solo guadagnarne, in termini di visibilità, ma anche di armi, di veicoli speciali, di missioni secondarie particolarmente lucrose.
    Difficile comunque che la mente non corra verso possibili bivi della sceneggiatura, con consequenziali finali alternativi. Semplici ipotesi, per ora; è già comunque lampante il grado di rigiocabilità insito in una composizione del genere.
    Come ricordato poc’anzi, il sistema che determina la nostra visibilità agli occhi delle autorità ha subito una riscrittura importante, con conseguente minimizzazione degli elementi iconici dell’HUD: un limpido retaggio della volontà di svecchiare una concezione -basata sulle storiche stelline- che odorava di anacronistico ed irreale. Sia chiaro: la nuova metodologia fondata sui cerchi (la cui ampiezza si correla proporzionalmente alla gravità dei crimini perpetrati) che determinano, oscurando in sovrimpressione porzioni di mappa, la zona calda in cui si concentra l’investigazione e dalla quale bisogna necessariamente svincolarsi, non si pone certo come diadema del realismo. Eppure funziona a meraviglia, risultando assolutamente conforme al contesto in cui trova espressione.
    E poi, le chicche. Di massima ininfluenti ai fini del gameplay, eppure così abili nello sgrezzare ulteriormente uno scheletro di gioco già ben delineato.
    Il GPS, per esempio, con cui tracciare la propria rotta calcolandone le eventuali scorciatoie. Lo sfruttamento multimediale del cellulare, che funge oltretutto da lettore musicale, per gustarsi la propria colonna sonora anche tra le palpitazioni di una sparatoria sanguinosa. O la possibilità, qualora si sia inclini al gozzoviglio, di ubriacarsi nei pub e locali notturni sparpagliati per la città.
    Assistere agli effetti dell’alcool sul corpo del nostro alter ego (e dei suoi compari) è, sulle prime, assolutamente esilarante, veicolati come sono dagli effetti di blur e distorsione uniti ai movimenti scriteriati della visuale. In seguito ci accorge però che lo stato di ebbrezza ha dei risvolti totalmente negativi sia sulle nostre facoltà motorie (si ruzzola di continuo per terra, spalando i marciapiedi con la faccia) che sulla resistenza e salute in generale.
    Guidare una vettura poi, in questo stato, è assolutamente improponibile, dato che l’intensificarsi del blur fa rientrare l’esperienza nei canoni puri della psichedelica.
    Per quanto pertinente, un inserimento del genere porterà sicuramente delle conseguenze, sotto il profilo espositivo-mediatico. Per chi è addentro nel settore nonché per gli appassionati è facile intravederne il carattere ironico, ed il monito rigoroso di cui si fa vettore.
    Possiamo solo sperare che la demagogia odierna non lo strumentalizzi eccessivamente.

    Combat Evolved

    Ad esseri franchi, i conflitti a fuoco di GTA hanno sempre mostrato il fianco a più di una critica.
    E la primissima build di GTA IV, quantunque già profilasse i prodromi del cambiamento, ricalcava le medesime orme.
    Ora possiamo tranquillamente asserire che quei difetti erano imputabili allo stadio primordiale del codice. Le parole chiavi sono copertura e IA. Traendo ispirazione da quella perla che è GoW, in GTA IV è di fondamentale importanza viaggiare bassi, accovacciati, sfruttando ogni possibile punto di copertura. Una cassa, un muro, una recinzione, un cumulo di travi, un veicolo.
    Mentre si è al riparo, la telecamera alle nostre spalle si alza leggermente, così da fornirci lo spettro di visuale più ampio. Sempre da GoW è stata mutuata la possibilità di scivolare, senza soluzione di continuità, fra due coperture parallele, così come trova posto il fuoco alla cieca, con Niko ben rintanato ed il solo braccio sporto per brevi raffiche di soppressione.
    V’è chiaramente un sistema di lock on che facilita il posizionamento del mirino sugli obiettivi, tuttavia dimenticate le ingerenze del passato e rallegratevi della maggior libertà concessaci, soprattutto per ciò che concerne il puntamento.
    L’intelligenza artificiale degli avversari ci ha letteralmente stupito: sfruttando le medesime dinamiche, gli NPC corrono, si coprono ed interagiscono con l’ambiente con cognizione di causa (scegliendo i punti di copertura più vantaggiosi od allontanandosi a gambe levate se notano delle granate), cambiando addirittura tattica nel corso dei conflitti stessi.
    Spettacolare.

    IV Arte


    Graficamente, è quanto di più vicino ad un prodigio tecnico vi possa essere. Non esistono davvero termini comparativi per questo felice connubio fra gigantismo e particolarismo.
    Basti pensare all’estensione dell’orizzonte visivo. Al volume del traffico. Alla perfezione architettonica. Tutto è modellato in maniera sbalorditiva e aggraziato oltretutto da uno studio delle fonti luminose prezioso che non lesina in spettacolarità.
    Ma il vero tripudio comincia quando si abbandona l’occhio critico per ammirarne la visione d’insieme, nella fluidità dei 30fps garantiti dal motore Rage. Liberty City sembra vera ed è comunque troppo affascinante per non volerla esplorare in lungo e in largo. Da Time Square nell’ora di punta (con decine e decine di NPC accalcanti le strade, ognuno con una propria -elementare- routine comportamentale e i suoi ingorghi paurosi ai semafori -fino a 16/18 vetture in un unico punto!-), ai bassifondi, dalla zona residenziale al New Jersey. Per tacere delle opportunità offerte dalle acque circostanti (fantastica la riproduzione dei liquidi, ancor di più se frastagliati dal riverbero dei neon della città, o del sole morente), che regalano scorci davvero suggestivi oltre ad un modo diverso di fruire di Liberty City.
    E poi, i veicoli. Auto, moto, barche. Tanti. Tantissimi. Ma soprattutto una vera gioia per gli occhi nella loro definizione (anche degli interni).
    La fisica che soggiace al progetto è sicuramente ben implementata, sebbene probabilmente sia l’anello più debole della catena realizzativa. Alcune collisioni sono sicuramente rivedibili (in special modo tra le barche, che sembrano pesare tutte allo stesso modo), altre invece sono solo frutto di piccoli bug, da sterminare prima di Aprile.
    Le texture sono sicuramente di ottima qualità (eccelsa nelle cut scene), con un discreto utilizzo del normal mapping a condire una pietanza già succulente.
    Del passaggio alle macchine HD ha sicuramente beneficiato anche il set delle animazioni, più che mai realistiche (si veda, per esempio, l’estrema naturalità della corsa di Niko) in grado di trasformare i personaggi in veri e propri attori. Ma qui entrano in campo anche le animazioni facciali. Difficile non parlare di svolta, anche alla luce di un capolavoro recitativo come Mass Effect. Perché raramente s’è potuto ammirare una tale espressività, una capacità di trasmettere emozioni propria solo dei mestieranti dell’arte attoriale. Certo, il doppiaggio sublime aiuta, al pari dei dialoghi incalzanti, tuttavia la mimica, la gestualità e la naturalezza dei movimenti del viso lasciano semplicemente a bocca aperta, settando di fatto un nuovo standard.

    Grand Theft Auto 4 Se si escludono alcuni particolari estetici meno che secondari (gli spruzzi dell’acqua, la riproduzione delle fiamme non trascendentale), e si chiudono gli occhi su altri derivanti da scelte di design (perché quando si è ubriachi le nostre facoltà fisiche regrediscono e quando siamo feriti no?), GTA IV rimane il prodotto da porre in cima alla propria classifica dei most wanted per questo 2008. Di fatto, parlare di gioco pare quasi riduttivo. E’ più un’esperienza, un viaggio, o più semplicemente, una tappa imprescindibile per ogni videoplayer che si rispetti. Nelle due orette trascorse nella sede londinese di Take 2, EveryEye non ha nemmeno scalfito la scorza esterna del titolo marchiato Rockstar North. Ne siamo consapevoli. Eppure, siamo ebbri di soddisfazione. Proprio perché c’è ancora molto, moltissimo da scoprire ancora. A cominciare dalla trama, per infine approdare ai contenuti esclusivi della versione Xbox 360, che è poi quella mostrataci. Il 29 Aprile sarà un gran giorno per essere videogiocatori.

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