Speciale Hardcore, Casual e Social Game

Due conferenze della GDC per scoprire il futuro del videogioco

Speciale Hardcore, Casual e Social Game
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La Game Developers Conference (GDC) è una sorta di club esclusivo dedicato espressamente agli addetti ai lavori che, tra un pranzo e una conferenza, allacciano rapporti e (forse) future collaborazioni. Per Everyeye, questa tre giorni è una ghiotta occasione per smascherare tutto ciò che si cela dietro il pianeta videogioco, con presentazioni dedicate a game design, business & management, arti visive e tecnologie legate al settore. La GDC si è tenuta in concomitanza con la GamesCom, e la redazione ha quindi deciso di ritardare la pubblicazione per dare il giusto spazio a questi pezzi d’approfondimento, che trattano questioni globali sull’industria del videogioco, sulle modalità di produzione e fruizione del nostro medium. In questo primo articolo vi riportiamo il resoconto di due conferenze che affrontano diversi temi: il rapporto tra casual e hardcore games, l'incredibile successo dei social games e il futuro dei videogiochi in rete e non.

La differenza tra casual e hardcore

Il primo relatore risponde al nome di Matt Firor (Zenimax) e porta in sala conferenze una relazione intitolata “Casual is the new hardcore”. Innanzitutto si tenta di definire meglio due concetti molto usati nell'ambito videoludico, ma che raramente trovano definizioni soddisfacenti. Firor prende come tipico esempio di casual game “Farmville”, il famoso social game giocabile su Facebook, dove il giocatore si trasforma in contadino e deve condurre un'attività agricola. Come mai è un casual game? Perché è basato sul divertimento immediato, il giocatore non si sente 'costretto' ad avanzare di livello mentre la grafica è stilizzata e fumettosa. E l'hardcore game? L'esempio riportato è quello di un first person shooter come Halo, che presenta una grafica realistica e uno stile più 'dark', mentre il giocatore sente la necessità di dominare gli altri (con relativa soddifazione). Il problema sorge quando le differenze tra il bianco e il nero si fanno meno nette, evolvendo in una serie di grigi. Esemplare è il caso di “Farmville Perfect”, un servizio di potenziamento ('power levelling service') che permette all'utente di ricevere una 'super fattoria' al modico prezzo di 97 dollari. Anche nel gioco più semplice, insomma, subentra una sorta di pressione sociale che spinge l’utente a trasformare in hardcore ciò che inizialmente era disteso e rilassato. Si può dire lo stesso di persone che prendono giochi fatti apposta per ammazzare il tempo (“Tetris”, anche questo disponibile su Facebook, o il più banale “Solitario” su Windows) e spendono molte ore alla ricerca del miglior record possibile. Qual è la conclusione? Non esistono giochi hardcore e casual, ma giocatori hardcore e casual. E sono proprio i giochi che permettono a queste due tipologie di giocatori di convivere (ad esempio World of Warcraft) che ottengono i più grandi successi.

Social games, mobile games, console games: quale futuro?

Il nome di Heiko Hubertz probabilmente dice poco ai nostri lettori italiani, ma nel mondo dei videogiochi su Internet è quello che si definisce un 'pezzo grosso': il suo sito, bigpoint.com, è un portale gaming che gestisce una comunità di oltre 120 milioni di utenti. La sua relazione ha un titolo chilometrico: “The keys to international success with online games: culturalization, targeted games and understanding local players”. In pratica, una conferenza rivolta a tutte le persone che vogliono conquistare il mercato dei giochi in rete.
Innanzitutto, Hubertz profila un futuro particolarmente ricco per chi deciderà di investire negli online games. Nel 2009 l'industria videoludica ha fatturato 46.5 miliardi di dollari nel mondo; nel 2013, secondo le previsioni, la cifra lieviterà a circa 65 miliardi di dollari, ma di questi 24.8 miliardi verranno generati dal solo mercato dei giochi su Internet. A ciò si deve sommare la potenza di Facebook in qualità di collante sociale (che conta più di 500 milioni di utenti) e le altisonanti differenze di costo tra lo sviluppo di un gioco dedicato alle console e uno dedicato a Internet: se il primo richiede un budget milionario, il secondo molte volte necessita di meno di 10.000 dollari. Ma può questo mercato rappresentare da solo il futuro dell'industria? Il problema è che molto spesso un gioco di successo non ha vita lunga: tornando al social game “Farmville”, il rischio è che ben presto esso possa perdere utenti a causa dell'invecchiamento del sistema e delle strutture di gioco. Inoltre proprio Facebook, grazie al suo sistema di crediti, si ritaglia una fetta del 30% su ogni acquisto, quindi eventuali guadagni legati alle microtransazioni (oggetti speciali, nuove aree di gioco da sbloccare) vengono tagliati dal sistema. Hubertz illustra inoltre la regola del 10: su un numero X di visite quotidiane, solo un decimo degli utenti si registrerà al sito e al gioco gratuito. Su dieci utenti registrati, solo uno si dimostrerà particolarmente attivo. Su dieci utenti attivi, solo uno pagherà qualcosa e tra questi solo una minoranza si rivelerà essere una persona che non bada a spese per vestire e fornire il proprio alter ego digitale. “Queste non sono semplici cifre ma rilevamenti basati sulla mia esperienza di gestore BigPoint, e vi posso assicurare che rispecchiano la realtà” annuncia con fare sicuro subito dopo. In un caso pratico, il calcolo è subito fatto. Se pubblichiamo un gioco che richiede una tassa di dieci dollari per poter mettere le mani sulla versione 'pro' e l'investimento è stato di 100.000 dollari, avremo bisogno di almeno 10 milioni di visite mensili per ammortizzare le spese.
E se fossero i mobile games a farla da padrone? In effetti in Occidente quasi tutti posseggono un cellulare e il 38% dei possessori di iPhone o iPad dichiara di non sentire affatto la mancanza di una console portatile. Sfortunatamente, anche in questo caso, bisogna fare i conti con l'incredibile espansione del mercato Apple dedicato alle applicazioni, e col fatto che sia necessario essere nelle top 25 per potersi garantire un buon numero di visite e guadagnare qualcosa dalle proprie creazioni. Un problema, quando ogni giorno vengono sfornate decine di giochi.
Quale la chiave di volta per il futuro, quindi? Il cross platform. Hubitz vede nel gioco multipiattaforma totale (quindi con interazione simultanea di PC, iPhone e consoles ad esempio) una miniera d'oro che potrà garantire ampio successo a tutti gli investitori, se coniugato a dovere con le esigenze dei casual gamer.

GamesCom 2010 Interrogarsi sul futuro del videogioco è un obbligo per noi giornalisti, ma dovrebbe esserlo anche per i giocatori. A differenza di pochi anni fa, la rete si è rivelata essere non solo luogo di gioco multiplayer ma anche fonte di contenuti, livelli e giochi veri e propri per diverse piattaforme (grazie soprattutto ai canali appositamente dedicati: si pensi a Xbox Live, Playstation Network o all'App Store). Qualcuno prevede l'addio del supporto digitale (DVD, Blue Ray e quant'altro) a favore di un sistema di gioco completamente dipendente dalla rete; altri, come Hubertz, vanno oltre e si immaginano un universo collettivo senza più ostacoli o esclusive, dove una singola piattaforma potrà collegarci con qualunque altro sistema di intrattenimento digitale. Quasi un'utopia, ma anche qualche decina di anni fa Internet pareva esserlo...