Hideo Kojima e Jordan Peele: ispirazioni, alieni e metodi creativi

Il padre di Death Stranding ha conversato con l'autore di Nope di ispirazioni, alieni e dei metodi creativi che si nascondono dietro a un'opera di culto.

Hideo Kojima e Jordan Peele: ispirazioni, alieni e metodi creativi
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Quando un creativo si propone al grande pubblico attraverso un'opera fortemente autoriale appare evidente come nel nucleo fondamentale della creazione risieda un'ispirazione personale, originata da un'idea ben precisa che viene in seguito arricchita e ricamata. Nel mondo dei videogiochi sono pochi i game director che su questo aspetto possono rivaleggiare con Hideo Kojima, padre di titoli seminali per il medium come Death Stranding e la saga di Metal Gear Solid (per i più curiosi sarà interessante leggere dei contenuti rimossi da Metal Gear Solid), mentre il cinema vive fin dai suoi albori di registi e sceneggiatori che mettono in gioco tutto per la genesi di un film.

Negli ultimi anni la Settima Arte viene scossa a cadenza regolare da un autore capace di portare sugli schermi le difficoltà sociali degli Stati Uniti, cucendo intorno a esse storie estremamente spettacolari e piegando spesso al proprio volere i canoni del genere horror: Jordan Peele è tornato proprio nel 2022 con Nope (qui la recensione di Nope), ed è stato invitato da Kojima come ospite speciale del suo podcast Brain Structure. La conversazione tra i due ha spaziato sui temi dell'ispirazione, analizzando anche le fredde abitudini comunicative delle nuove generazioni, mentre gli autori si sono scoperti grandi estimatori dei reciproci lavori.

L'assurdità del reale

Il director giapponese aveva già ampiamente dimostrato il suo entusiasmo per le opere di Peele, partendo da quel fulmine a ciel sereno che è stato Scappa - Get Out per arrivare all'atterraggio spaziale di Nope, al quale è infatti dedicato l'intero secondo episodio di Brain Structure. L'invito a partecipare al podcast è parso quindi come la naturale evoluzione di un discorso affrontato in precedenza in maniera unilaterale da Kojima, che fin dai primi minuti ha espresso la sua fascinazione per i mondi "paralleli" creati dal regista.

Secondo l'autore videoludico, infatti, i film prodotti nell'ultimo periodo storico sono troppo simili tra di loro, sia in termini di trama che di ritmo: da Netflix ad Amazon, passando per gli inossidabili blockbuster hollywoodiani, molte pellicole non rimangono impresse allo spettatore ma puntano soltanto a divertirlo, mentre l'obbiettivo di una vera opera d'arte dovrebbe essere quello di ispirare altre persone. Kojima apprezza Peele proprio perché il suo modo di fare cinema è coraggioso, unisce l'arte all'intrattenimento e propone numerosi spunti di riflessione al suo pubblico attraverso film che sono ogni volta molto diversi tra di loro.

Il regista ha accolto con profondo orgoglio le parole al miele proferite dall'autore giapponese, ammettendo che per lui Kojima è sempre stato una fonte d'ispirazione non soltanto per come riesce a calare il cinema in un contesto videoludico, ma anche per la sua capacità di inserire l'assurdo nelle storie rendendolo utile alla trama e alle meccaniche di gioco, un fattore imprescindibile per ogni sua opera e del quale molti non capiscono l'enorme grado di difficoltà che nasconde.

La maledizione della fortuna

Jordan Peele ha inoltre raccontato di aver giocato a Metal Gear Solid 2, ricordando come un personaggio in particolare gli sia rimasto particolarmente a cuore per la sua storia tragica e, per l'appunto, assurda storia: Fortune è uno dei membri più importanti dell'unità Dead Cell, il suo nome è dovuto all'incredibile buona sorte che la rende invulnerabile in battaglia, con i proiettili nemici che sembrano evitarla accuratamente lasciandola sempre indenne, ma dopo anni passati in guerra la soldatessa vuole soltanto morire e non riesce a farlo.

Kojima ha dunque raccontato la genesi di quel personaggio, condividendo con l'ospite e con gli ascoltatori l'intenzione di voler analizzare la casualità fino in fondo, perché la buona sorte che perseguita la combattente quando imbraccia un'arma è bilanciata dalla profonda sfortuna che la distrugge nella vita personale, e questo perché secondo il game director ogni persona possiede lo stesso livello di "fortuna generale".

Attraverso Fortune Kojima voleva rincuorare tutte quelle persone che si sentono abbandonate e tristi, magari perché il destino le ha fatte nascere in una famiglia povera, oppure sono malate, cercando di trasmettere l'idea che siamo tutti vittime del caso e che non ci sono prediletti o svantaggiati.

Peele ha condiviso pienamente il concetto espresso dall'autore di videogiochi, ricordando che la sua casa di produzione si chiama Monkeypaw proprio perché la fortuna non è mai così fantastica come sembra: il racconto breve di William Jacobs, dal quale è tratto il nome, è incentrato infatti su di una zampa di scimmia, un amuleto che permette al suo proprietario di esprimere tre desideri, ma questi si avverano sempre pagando un prezzo esorbitante e imprevedibile. Quando il protagonista del racconto chiede duecento sterline, per esempio, i soldi arrivano come compenso per la morte del figlio sul luogo di lavoro. Jordan Peele ha ammesso che questo concetto della "fortuna a due facce" gli è rimasto attaccato dal momento in cui è diventato un attore, il lavoro che sognava di fare da quando era piccolo, perché appena entrato nel mondo dell'intrattenimento si è reso conto che esso non era affatto scintillante come credeva.

Sguardo alle stelle

La disillusione che aleggia su Peele da quando è diventato un attore l'ha anche portato a dubitare dell'effettiva riuscita di un'esperienza come regista, ma gli apprezzamenti del pubblico e di altri creativi come Kojima l'hanno motivato a continuare e a migliorarsi. Il game director ha raccontato della sua profonda fascinazione nei confronti degli UFO, dimostrandosi inoltre un po' deluso dalle ultime generazioni di ragazzi che hanno costantemente lo sguardo puntato in basso sui loro cellulari, e ha particolarmente apprezzato Nope perché è convinto che, dopo aver visto il film di Peele, i giovani alzeranno gli occhi per ammirare lo spettacolo del cielo e perdersi nel misticismo dell'ignoto.

Il regista ha riferito che proprio il cielo è stato al centro del progetto fin dalle sue origini, perché nel 2020 (l'anno in cui ha cominciato a scrivere il film) si era documentato approfonditamente sui disastri naturali come gli uragani e voleva trasmettere il senso di "orrore reale" che riesce a dare un paesaggio, con la vastità del cielo in primis a fare da motore alla paura.

Questo concetto si è inoltre amalgamato al periodo storico appena trascorso, mentre scriveva l'autore era infatti chiuso in isolamento come il resto del mondo, e il suo unico contatto con l'esterno proveniva dallo smartphone, un oggetto indispensabile che veniva quasi venerato dalle persone, le quali guardavano le orribili ripercussioni del virus attraverso il piccolo schermo del cellulare.

Dall'unione di questi due elementi fondamentali è nato il film che ha catturato il cuore di Kojima e non solo (noi ci siamo chiesti se Nope fosse il miglior film di Jordan Peele), mentre il prosieguo della conversazione tra i due autori è rimandato alla prossima puntata del podcast, in uscita tra una settimana.

Mentalità simili

Il dialogo tra il regista e il game designer ha messo ancora una volta in evidenza quanto siano forti le somiglianze creative dietro due medium, quello cinematografico e quello videoludico, che si vengono incontro con sempre maggior convinzione, al netto delle differenze che li separano. Come se non bastassero gli ovvi esempi con i quali entriamo in contatto con frequenza anche nelle grandi produzioni, tra un God of War vissuto in piano sequenza e un Hardcore! che invece vuole imitare uno sparatutto in prima persona, questa chiacchierata ci ha permesso di avvicinare sul piano concettuale due artisti che raccontano tipologie di storie differenti, ma accomunate dallo stesso approccio "fuori dagli schemi

Jordan Peele ha riscontrato il favore del pubblico e della critica imbastendo trame sorrette da messaggi sociali dannatamente seri, ma lo ha fatto ammorbidendone i contorni con una cornice "pop" e divertita, sfruttando i mezzi di fantasia messi a disposizione dalla pellicola per renderli funzionali alle sue storie.

Allo stesso modo il director giapponese ci ha raccontato - attraverso gli archi narrativi di Solid Snake e Big Boss - l'orrore della guerra e la solitudine degli uomini onesti, mentre nell'ultima opera ha riportato con un videogioco la disconnessione delle persone e anche il terrore distopico della tecnologia: Kojima non analizza i temi importanti con pedanteria, né punta tutto sulla drammatizzazione di eventi molto tristi, ma ci guida attraverso le sue riflessioni con umorismo, senza mai dimenticare di intrattenere i giocatori e cercando di stupirli in qualsiasi modo.

Non è una sorpresa sentir parlare Kojima di amore per il cinema, d'altronde nella scheda del suo personaggio in Metal Gear Solid V c'è scritto che è composto per il 70% da film, ma è interessante apprendere del rispetto di Peele per l'autore di Death Stranding, a riprova di come le grandi storie si riconoscano dalla loro capacità di ispirare altre persone, indipendentemente dal mezzo con cui vengono raccontate.