I videogiochi fanno dannatamente bene al vostro cervello, lo dice la scienza

Una raccolta di studi scientifici dimostrano, sperimentalmente, come i videogiochi possano avere effetti molto benefici sul cervello...

I videogiochi fanno dannatamente bene al vostro cervello, lo dice la scienza
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Quante volte vi è capitato di subire, ad opera di un avventore casuale della vostra cerchia sociale, assalti dialettici diretti al vostro status di presenza fissa in una discreta quantità di mondi digitali? Quante volte avete trattenuto una picconata di fronte alle numerose declinazioni del vecchio adagio "tutti ‘sti giochini fanno diventare stupidi", o eventuali variazioni sul tema? Battute affrontate con un'espressione di pura rassegnazione sul volto, mentre il vostro cervello scorreva il calendario recitando un colorito anti-rosario. La recente inclusione del cosiddetto "Gaming Disorder" tra i disturbi mentali riconosciuti dall'OMS è tornato, ancora una volta, a riaprire il dibattito tra detrattori e fautori del videogioco, innescando discussioni intestine anche nei rispettivi schieramenti. Molte di queste diatribe contrappongono opinioni intelligenti, ma non mancano purtroppo uscite che, per qualità intellettuale, fanno gocciolare il cervello dal naso. Proprio per fissare un paio di indispensabili puntelli, da utilizzare come punti d'orientamento argomentativi, abbiamo deciso di spendere un paio (audace sottostima) di parole sugli effetti benefici dell'attività videoludica.
Perché sì, ragazzi, i videogiochi fanno bene, e abbiamo pure le prove.

I videogiochi e la magia della neuroplasticità

Partiamo da un presupposto tanto scontato, quanto fondamentale per il discorso a seguire: la totalità delle attività complesse che affrontiamo con regolarità influenza, a diversi livelli, la struttura e il funzionamento del nostro cervello. Questo perché la spugna grigia che riempe lo spazio tra le nostre orecchie è un organo straordinariamente adattivo, grazie agli effetti mirabolanti di una proprietà chiamata "neuroplasticità". Un termine che definisce un ampio insieme di processi in grado di alterare sensibilmente le caratteristiche cerebrali di un individuo, generalmente in risposta a diverse necessità operative.

Una premessa che delinea la base fondante di una quantità infinita di ricerche che interessano la sfera dell'evoluzione cognitiva, ovvero il tema centrale dell'odierna filippica. Considerando che, stando agli ultimi rilevamenti statistici, la community dei giocatori conta ormai più di due miliardi di utenti attivi, non è certo difficile capire perché le conseguenze socio-neuropsichiatriche dello smanettamento ludico ha suscitato l'interesse di un numero sempre crescente di autorevoli ricercatori. Studi prodotti anche per rispondere con alla tempesta di chiacchiere che, a cadenza regolare, intasano l'etere con allarmismi e speculazioni circa gli effetti negativi dell'attività videoludica. E con la scienza sperimentale, ragazzi, è difficile discutere. La scienza sperimentale mena forte.
La convalida di queste ricerche segue in genere due iter parzialmente complementari: studio correlazionale e studio sperimentale. Nel primo caso, i giocatori vengono sottoposti a test cognitivi i cui risultati vengono poi confrontati con quelli dei non giocatori. Si tratta si una valutazione che, da sola, non può essere considerata pienamente probante, dato che le eventuali disparità a favore dei giocatori potrebbero derivare da abilità pregresse, svincolate dall'attività videoludica. Lo studio sperimentale, invece, prevede che tutti i soggetti analizzati siano inizialmente non giocatori, e che solo una metà sia invitata a rispettare una "rigida" routine ludica, per un periodo di tempo utile a verificarne gli effetti.
Tipicamente questi studi dimostrano come l'attività di gioco sia in grado di generare sensibili miglioramenti per quanto riguarda le abilità cognitive e percettive dei "soggetti attivi".

Miglioramenti che, di contro, risultano del tutto assenti tra le file del gruppo di controllo. In una recente rassegna riassuntiva, il super team composto dagli esperti in neuroscienze Adam Eichenbaum, Daphne Bavelier, e C. Shawn Green, hanno raccolto e campionato tutti i risultati ottenuti con questi metodi d'analisi nell'ultimo decennio, arrivando a definire quelli che, in sostanza, sono i benefici neurologici garantiti dalla nostra comune passione. Tanto per cominciare, i videogiocatori sono in grado di ottimizzare, a diversi livelli, l'utilizzo delle proprie risorse mentali (percezione, attenzione, memoria) per risolvere problemi o prendere decisioni in tempi rapidi. Miglioramenti che riguardano l'efficienza operativa del cervello quando alle prese con diversi compiti da svolgere in contemporanea, anche quando queste incombenze rispondono a necessità difficilmente conciliabili.
Immaginate di trovarvi a volante di un bolide sportivo sulle assolate strade della Los Santos di GTA V. Un nugolo di banditi motorizzati si ostina a tempestare il vostro veicolo di confetti arroventati, mentre il traffico dell'ora di punta rischia di trasformarvi in un blocco poligonale di acciaio e frattaglie. Per quanto possa sembrarvi naturale, la capacità di centrare crani e gomme con il vostro fuoco di risposta, mantenendo al contempo una condotta stradale relativamente sicura, è il frutto di processi mentali di una certa complessità, che necessitano grande coordinazione funzionale. Allo stesso modo, schivare i fendenti di un colossale boss in Dark Souls, gestendo coralmente barra della vita, pericoli ambientali, consumabili e strategie d'attacco, rappresenta un vero e proprio miracolo sinaptico. Un prodigio che affonda le radici in un'accresciuta capacità di elaborare le informazioni visive, con una maggiore consapevolezza spaziale.
Stando agli studi, molti giocatori sono in grado di identificare rapidamente un singolo oggetto in un contesto densamente popolato di fonti di distrazione, e di seguirlo con lo sguardo anche in presenza di elementi visivamente molto simili. Avete mai provato a comporre un team monoclasse in Dragon's Crown? Ecco, il fatto che riusciate a riconoscere il vostro picchiatore nano in quell'oceano impetuoso di peluria maschia, pettorali guizzanti e mostruosità acquerellate è la diretta conseguenza delle dinamiche di cui sopra.

Sulle stesse note, lo sviluppo delle abilità videoludiche comporta anche una diminuzione funzionale dell'impulsività, anche in circostanze in cui la gran parte degli stimoli visivi richiede una risposta immediata. Si tratta in soldoni di quella capacità che vi permette di trattenere, sui campi di battaglia di Player Unknown's Battlegrounds, la bordata destinata al polmone sinistro del vostro compagno di squadra, appena emerso da dietro un angolo con un carico di padelle. Parliamo di un contesto ostile nel quale nove volte su dieci un proiettile è la risposta giusta, e le eccezioni vanno identificate nell'arco di un battito di cuore.
Tutto questo bendidio in termini di potenziamento neurologico non vi garantirà, purtroppo, la fenomenale capacità di trasformare in oro il tempo speso a leggere meme, ma questo non vuol dire che i benefici dell'attività videoludica non si estendano oltre i confini dello schermo. Diversi studi dimostrano infatti che i videogiochi possono offrire consistenti vantaggi anche sul versante lavorativo, specialmente in ambiti che richiedono attenzione prolungata, una buona coordinazione mano-occhio, un'ottima memoria operativa e processi decisionali accelerati.
Due ricerche condotte nel 2007 e nel 2009, ad opera di altrettanti stimati professionisti (James Rosser e Marcus Schlickum), rivelano ad esempio che la gran parte dei giovani chirurghi con un passato/presente da smanettoni incalliti mostrano abilità tendenzialmente superiori rispetto a quelle di colleghi - non giocatori - ben più esperti. Un distacco che si fa ancora più evidente nel campo della moderna chirurgia laparoscopica, che fa ampio uso di una complessa strumentazione tesa a ridurre al minimo l'invasività degli interventi.
Non proprio robetta, insomma.

Un gioco al giorno leva il medico di torno

Rimanendo in ambito clinico, i videogiochi si sono dimostrati un efficace strumento terapeutico per il trattamento di un'ampia gamma di disturbi, legati allo spettro delle abilità visive e cognitive. Uno studio effettuato nel 2010 dal dottor Roger Li, presso l'università di Berkeley, dimostra ad esempio che l'attività videoludica può rivelarsi un mezzo sorprendentemente efficace nel trattamento dell'ambliopia (occhio pigro). Molti dei pazienti coinvolti nella sperimentazione, e sottoposti a una terapia a base di action game ad alto tasso di dinamismo, hanno infatti ottenuto eccezionali benefici, arrivando a raggiungere un completo recupero delle funzionalità compromesse dalla malattia. Un pieno recupero che i membri del gruppo di controllo, impegnati in varie attività extra-ludiche, non hanno mai ottenuto nel termine previsto per l'esperimento.

Uno studio tutto italiano, portato avanti dall'esperto in psicobiologia Sandro Franceschini presso l'università di Padova, ha inoltre confermato che i videogiochi possono essere utilizzati efficacemente per il trattamento della dislessia. Dopo 12 ore alle prese con i minigiochi di Rayman Raving Rabbids, i bambini coinvolti nell'esperimento hanno mostrato miglioramenti ben più significativi rispetto a quelli registrati con i normali metodi di trattamento.
L'intrattenimento digitale può offrire un importante contributo anche nell'arginamento del declino mentale causato dall'invecchiamento. Una ricerca del 2011, promossa dalla psicologa portoghese Ana Carla Seabra Torres ed edita dall'Università di Porto, dimostra che la routine videoludica può contribuire al mantenimento di flessibilità cognitiva, livello d'attenzione, memoria operativa e ragionamento astratto, andando quindi a influire in maniera assolutamente positiva sulla qualità della vita degli anziani. Tornando all'età evolutiva, un recente studio elaborato dalla Columbia University di New York, in collaborazione con la Descartes University di Parigi, non solo ha ribadito gli effetti positivi del videogioco sul cervello dei bambini in crescita, ma ha dimostrato come l'attività in questione possa rappresentare un fattore di integrazione scolastica e di sviluppo per le abilità sociali.
Gli studiosi hanno verificato che i giovani giocatori sono generalmente dotati di migliori capacità di concentrazione, analisi e giudizio ragionato, cui spesso si accompagnano buona memoria, determinazione e adattabilità, nonché risposte più efficaci a sfide ed eventuali frustrazioni. Sul fronte delle interazioni sociali, l'eccezionale diffusione del videogioco tra i giovanissimi rappresenta un fattore di inclusione da non sottovalutare, e la ricerca dimostra come i giocatori in erba abbiano tendenzialmente meno problemi a stabilire relazioni con i propri compagni di scuola, o a partecipare ad attività di gruppo.

Tutte abilità che, in barba allo stereotipo del giocatore sociofobico rinchiuso ad eternum in qualche sottoscala sapido di frustrazione e doritos, possono tranquillamente condurre alla formazione di un individuo altamente funzionale ed equilibrato. Ora, ragazzi, vediamo di capirci bene.
Non è che se prendete un ragazzino di 8 anni e lo costringete a un regime di 16 ore di gioco quotidiane, quello poi festeggia l'avvento della pubertà inventando una macchina del tempo. Anche perché, se così fosse, il primo utilizzo del neo-assemblato marchingegno comporterebbe con tutta probabilità la vostra cancellazione dalla matrice della storia. In questo senso, le motivazioni che hanno portato l'OMS a includere la dipendenza da videogame tra le patologie riconosciute sono perfettamente ragionevoli. Si tratta di un discorso che vale per tutte quelle attività piacevoli che, in un modo o nell'altro, interagiscono con la chimica del nostro amato pensatoio, riassumibile con il caro, vecchio motto popolare "il troppo stroppia".
Parafrasando un noto passaggio dell'Etica Nicomachea di Aristotele, la giusta condotta è sempre quella dettata dalla moderazione, quindi è buona norma fare in modo che la passione videoludica non rivesta mai un ruolo preponderante, tirannico, nel bilancio della nostra quotidianità e in quella dei nostri eventuali eredi. Anche perché tutti i sopraccitati benefici neurologici hanno senso solo se inquadrati lontano da eccessi clinicamente rilevanti, ovviamente dannosi - e a diversi livelli - sia per il fisico che per la mente. Detto questo, la prossima volta che vi troverete a dover - dolorosamente - argomentare sul perché e il percome i videogiochi possono essere considerati senza problemi un'attività positiva e formante, rispondendo agli strali di ignoranza di qualche fervente nostalgico delle pitture rupestri, sentitevi pure liberi di sbattergli in faccia questo articolo. Intendo proprio in forma fisica, stampandolo e arrotolandolo attorno a un foratino.