I videogiochi più attesi del 2019 dalla redazione di Everyeye.it

I membri della squadra di Everyeye.it elencano i giochi del 2019 che attendono maggiormente su PS4, Xbox One, Switch e PC.

I videogiochi più attesi del 2019 dalla redazione di Everyeye.it
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L'inizio del nuovo anno porta con sé una valanga di aspettative. Il 2019 ha infatti l'arduo compito di riuscire a bissare il successo del suo predecessore, che in termini quantitativi e qualitativi è stato semplicemente mozzafiato. Se le promesse saranno mantenute, anche l'annata appena cominciata saprà esaltare ogni videogiocatore, considerata la mole straripante di uscite che ci attendono nei prossimi 12 mesi. Abbiamo già provveduto ad elencare tutti i giochi più attesi in arrivo per PS4, Xbox One, Nintendo Switch e PC: pertanto, diversamente dai "listoni" proposti in precedenza, quest'articolo intende raccontare ai nostri lettori i most wanted della redazione in modo più "personale". Ogni membro del team di Everyeye.it ha scelto il suo preferito, dopo essersi accuratamente confrontato con i colleghi: la selezione prevede una notevole varietà di titoli, tutti molto diversi tra di loro ed in grado di offrire una sostanziosa panoramica di ciò che il mercato videoludico ha in serbo per noi.

Francesco Fossetti - Resident Evil 2 (e la line-up Capcom)

In assenza di date precise e informazioni sostanziose sui titoli più chiacchierati della stagione che verrà (penso a Death Stranding, Cyberpunk 2077 e The Last of Us: Part 2), preferisco incanalare le mie smodate aspettative in direzione di un prodotto che ha già una sua evidente concretezza. Poco male, quindi, se il remake di Resident Evil 2 è sostanzialmente in dirittura d'arrivo e dovrò attendere meno di un mese per giocare al mio "most wanted": attualmente è proprio la versione riveduta, ammodernata e corretta del secondo Biohazard il prodotto che più titilla le mie voglie di videogiocatore.

Si tratta di un caso particolare, perché di solito le operazioni-nostalgia mi lasciano moderatamente freddo; neppure di fronte alle trilogie di Crash e Spyro, o all'annuncio di CTR Nitro Fueled, ho sentito particolare trasporto. Il caso di Resident Evil 2 è però diverso: il titolo Capcom non è né un remake né un reboot, bensì un'ardita "rifondazione" di quello che possiamo considerare un classico del nostro medium. L'approccio allo sviluppo è qualcosa di mai tentato prima: Capcom si è immaginata cosa sarebbe successo se l'idea che ha portato alla creazione di Resident Evil 2 fosse nata, cresciuta e sviluppata nell'attuale generazione di console, supportata dalla tecnologia odierna. Il risultato è un Survival Horror tesissimo e ansiogeno, classico nella concezione ma modernissimo nella forma. Un prodotto letteralmente "redivivo", che conferma lo "stato di grazia" della software house nipponica.

Proprio pensando a Capcom mi viene da considerare che tutto il mio 2019 sarà scandito dalle sue produzioni. Fra qualche mese arriverà infatti Devil May Cry 5, un altro prodotto che attendo con trepidazione, curioso di capire se la saga saprà rapire i fan di lungo e i nuovi giocatori dopo la parentesi "emo" di Ninja Theory (che spero abbia comunque lasciato un segno sul combat system). Se pensate che questa mia apologia di Capcom sia solo un modo per barare e citare più titoli, confermo la vostra teoria citando anche l'espansione di Monster Hunter World, aggiunta post-game che potrebbe cambiare la vita di un prodotto monumentale e riportarlo sotto le luci della ribalta (ovvero, dove merita di stare).

Al di là di tutto, Capcom è davvero l'unica grande software house nipponica che sta interpretando il mercato attuale con il giusto piglio, e buona parte delle mie aspettative guarda anche in direzione dei suoi progetti futuri. Del resto sono già tre anni che Capcom apre le danze nel migliore dei modi, e non credo che nel 2020 vorrà interrompere questa tradizione. All'E3 arriveranno sicuramente nuovi annunci: la speranza è quella di una nuova IP, ma ci faremmo andar bene anche un sequel di Dragon's Dogma.

Giuseppe Arace - Control

Ogni opera partorita dalla mente di Sam Lake monopolizza il mio hype e non lo lascia più fino al giorno della sua release. È vero: non tutto ciò che Remedy tocca si trasforma in oro, e dopo i fasti dei primi due Max Payne le successive proprietà intellettuali del team non sono mai riuscite a tenere pienamente il passo delle loro grandi promesse. Eppure, nonostante le loro palesi imperfezioni, Alan Wake e Quantum Break avevano (ed hanno) stile da vendere: giochi che si basano su un'idea cervellotica, originale ed a tratti geniale, e la portano avanti fino alla fine, pur con la consapevolezza dei propri limiti, senza farsi intimorire dal fallimento. Perché in fondo Sam Lake è un innovatore pieno di coraggio, uno di quei visionari che nel videogioco vede una forma di espressione artistica, il mezzo per raccontare una storia. Control, da quello che ho visto, potrebbe rappresentare la summa di tutta una carriera.

In questo nuovo action shooter si intravede pienamente la marca stilistica di Remedy: un gameplay frenetico ed esaltante, che sfrutta le capacità telecinetiche per dar vita a sparatorie tattiche e spettacolari allo stesso tempo; un racconto fantasioso e potenzialmente destabilizzante, che gioca con le dimensioni ed il paranormale; ed infine un contorno tecnico che riesce a mettere in scena ambientazioni inquietanti, contorte e surreali, dove realtà e immaginazione si mescolano e si bilanciano.

In Control sembra esserci la qualità dei migliori Max Payne e le aspirazioni ludico-concettuali di Alan Wake e di Quantum Break, con un struttura che pesca a piene mani dalla formula dei metroidvania. Personalmente, da amante della narrativa e delle sperimentazioni videoludiche, non potevo chiedere di meglio. Speriamo soltanto che questa volta Sam Lake abbia il pieno "controllo" delle sue ambizioni.

Alessandro Bruni - Death Stranding

Per quanto ne sappiamo al momento, Death Stranding potrebbe benissimo essere un elaborato simulatore di gite fuori porta. Una di quelle che, a prescindere dall'esatto avvicendamento degli eventi, finisce col diventare un incredibile racconto fatto di momenti di epicità visionaria, specialmente se filtrato attraverso un caleidoscopio di concessioni etiliche. Resta il fatto che l'immaginario messo insieme dal buon Hideo Kojima è un coacervo trascinante di guizzi immaginifici, supportato dall'ormai comprovata perizia creativa di uno degli ultimi "divi" dell'industria videoludica.

Complice l'attenta somministrazione di trailer fatti per riempire le teste dei fan di una poltiglia neurale insolitamente iperattiva, con il supporto di una messa in scena multisensoriale sempre ai massimi livelli, l'unica cosa che veramente sappiamo di Death Stranding è che vogliamo assolutamente metterci le mani sopra, anche solo per capire quando diamine è profonda la tana del bianconiglio sguinzagliato da Kojima.

Un "mistero misterioso" che, tra suggestioni multidimensionali e manifestazioni poligonali fatte di pura angoscia esistenziale, non vediamo l'ora di sbrogliare. Per quanto sia difficile collocare il titolo nei prossimi dodici mesi, non possiamo fare a meno di desiderare che l'opera prima di Kojima Productions arrivi realmente entro l'anno in cui, ben trent'anni or sono, il maestro Katsuhiro Otomo ambientava le vicende del suo Akira. E speriamo che, proprio come il capolavoro di Otomo, Death Stranding si confermi come una delle grandi pietre miliari del suo medium, anche per giustificare i mesi passati a ridefinire il concetto stesso di "autoerotismo cerebrale".

Tommaso "Todd" Montagnoli - In The Valley of Gods

Ve li ricordate i ragazzi di Campo Santo? Io sì, e anche molto bene, nonostante Firewatch non fosse un prodotto esattamente "a fuoco". Per me fu un po' una parabola fra sorpresa e senso d'incompletezza; fra uno stile grafico ricercato, lo stile acuto della letteratura post-moderna americana, e un setting inedito e magnifico.

Peccato per la narrativa troppo "attendista", ma si sa, con la prima opera qualche licenza è permessa. Con In the Valley of Gods, invece, voglio aspettarmi la loro definitiva maturazione autoriale; un nuovo viaggio fatto non soltanto di location esotiche e originali, ma anche di situazioni particolari e dubbi che mettano alla prova l'animo umano, perché con quello i ragazzi di Bellevue ci sanno fare piuttosto bene. L'epoca dei tombaroli del primo ‘900 mi stuzzica parecchio, il fatto che le protagoniste siano due ragazze pure, e poi gli enormi spazi aperti, alternati al buio statico delle tombe egizie sembrano materiale estremamente valido. Ancora una volta ho l'impressione che il vuoto sia l'elemento fondamentale, che il silenzio sia un muro attraverso il quale, come accade con un eco, si tratteggiano gli esseri umani.

Troppo poetico? Vedremo, ma intanto il trailer è musicato e montato alla perfezione, e riesce mostrare tanto senza dire sostanzialmente nulla, e questo mi piace ancora di più. Già amo l'attenzione per i dettagli, il riflesso sulla borsa di pelle della ragazza, gli ingranaggi dorati di quello che sembra un cinematografo stile Lumière, e tutta un'altra serie di sottigliezze che di solito non ricorda mai nessuno. Mi piace il sole in faccia e i falò sotto la luna nel deserto. Più ci penso e più mi rendo conto che so (e che sappiamo) davvero poco di questo titolo, eppure lo voglio tantissimo. E poi diciamocelo: nonostante tutto, non siete anche voi curiosi di vedere nuovamente il logo di Valve a tutto schermo?

Francesco Serino - Dreams

Seguo Media Molecule ancor prima che diventasse Media Molecule, ovvero da quando il core team era ancora una costola della Lionhead di Peter Molyneux. Ho perso la testa per Rag Doll Kung-Fu e passato centinaia di ore a creare livelli in Little Big Planet 2, come del resto mi è successo con quasi tutti quei "giochi" che ci concedono di riversare al loro interno un po' di noi stessi. Dreams ne è la versione elevata al cubo, un intreccio di strumenti che ci permetterà di dipingere sogni, assemblare incubi, allestire drammi lineari o percorsi ad ostacoli con annesso gameplay.

Una delle più riuscite tagline di Little Big Planet recitava pressapoco così: "Play, Create... Share!". Con Dreams siamo sempre lì, con la differenza che lo sharing è oramai parte integrante del nostro hobby e sappiamo tutti capirne potenzialità e le moltiplicazioni del divertimento di cui è capace. Questo cosa vuol dire? Che Little Big Planet nasceva anticipando i tempi, mentre Dreams si appresta a dominarli con dei tool creativi di altissima fascia e abbracciando totalmente la streaming generation in cui siamo volenti o nolenti tutti impelagati.

Ben presto potremo accendere PlayStation per dipingere angoli di città, plasmare in creta binaria un'isola sperduta su cui rinarrare classici o inventare nuovi giochi e nuove storie; oppure chiamare gli amici per un doppiaggio serrato su un progetto tanto coraggioso da spalancarci persino le porte di una professione... Dreams l'eSport della creatività? Sarebbe un sogno: e allora tutto torna.

Che poi, al di là del prodotto in sé, Dreams è importante anche per quello che rappresenta nel panorama videoludico moderno: un progetto che non deve vendere per dimostrarsi un successo perché lo è già solo per il semplice fatto che esista. Non devi comprarlo per ringraziarlo, basta vederlo e scartarlo in favore di un titolo a noi più affine. Sono la pluralità dell'offerta e la libertà di sperimentare la posta in gioco, a rendere per alcuni sognatori così centrale Dreams, nonostante un 2019 già fitto di appuntamenti. Qualunque cosa sarà il nuovo gioco Media Molecule, non potrò che aspettarlo in prima fila. Chi di voi mi fa compagnia?

Antonello "Kirito" Bello - Granblue Fantasy: Relink

Pressoché sconosciuta nell'emisfero occidentale, Cygames è un'azienda che negli ultimi tempi ha prepotentemente dimostrato di avere molto da dire. Non a caso, due suoi titoli ancora in via di sviluppo figurano già nella lista dei JRPG più seducenti e accattivanti fra quelli con cui potremo cimentarci - si spera - durante l'anno appena cominciato: Project Awakening e Granblue Fantasy: Relink. Mentre il primo è ancora avvolto da un denso alone di mistero, il secondo è stato recentemente ripresentato al pubblico, attraverso un evento dedicato al brand nipponico.

Ispirato all'omonimo browser game che, anche grazie alla patch in inglese, sta spopolando ormai in tutto il globo, Relink trascinerà gli amatissimi protagonisti del videogame (e dell'omonimo anime televisivo) in una nuova avventura attraverso le suggestive isole fluttuanti che caratterizzano il meraviglioso universo di Granblue Fantasy, al fine di svelare i segreti di un continente ancora inedito. Sebbene il titolo sarebbe dovuto approdare sulle nostre PlayStation 4 già nel corso del 2018, poco si sa ancora circa la trama del prodotto, che ha comunque saputo conquistare tutta la nostra attenzione coi suoi paesaggi mozzafiato e le frenetiche meccaniche di gameplay.

Sviluppato in collaborazione coi ragazzi di PlatinumGames, indiscussi maestri del genere action, nonché ideatori delle più stupefacenti boss fight dell'ultimo decennio, Granblue Fantasy: Relink vanta infatti un combat system indiavolato, che appunto favorisce la creazione di combo lunghe e chiassose, capaci di incatenare tanto gli assalti fisici, quanto le fragorose tecniche magiche, senza dimenticare infine le rovinose incursioni di gruppo.

Il tutto è infine condito con un suggestivo design in stile anime giapponese e degli scenari completamente interattivi, che siamo certi sapranno donare una sana dose di irregolarità e imprevedibilità alle nostre avventurose scampagnate. A ragion veduta, se il primo mese del 2019 sarà giustamente monopolizzato dal terzo episodio di Kingdom Hearts e dalla versione definitiva di Tales of Vesperia, che dopo un decennio dalla sua concezione non sarà più segregata nel solo territorio nipponico, Granblue Fantasy: Relink sarà senza dubbio il JRPG che più di ogni altro alimenterà i sogni e il chiacchiericcio degli appassionati del role-playing game.

Gabriele Laurino - The Last of Us Parte II

La seconda metà del 2013 vide tra le proprie uscite alcuni dei più cruciali colpi di coda della scorsa generazione: sbarcavano sul mercato titoli come GTA 5 e soprattutto The Last of Us. Venivo da una "rush" pazzesca della trilogia di Uncharted, recuperata solo in seconda battuta eppure rigiocata più volte, divorata, assimilata quasi per endovena. E poi venne The Last of Us: spartiacque narrativo, almeno per me, di una generazione intera.

Simbolo moderno e nuovo apripista della volontà di Sony di confezionare proposte singleplayer dalla scrittura sontuosa, capaci di portare in scena un racconto intimo e personale e asservirlo quasi totalmente all'esperienza videoludica. Di esponenti successivi, soprattutto in casa PS4, ne abbiamo avuti a bizzeffe, e nonostante il finale di questa generazione ci abbia regalato esperienze come God of War e Red Dead Redemption 2 sento che The Last of Us Part 2 è pronto a dire nuovamente la sua, brutale come la storia che ci ha raccontato: si sta facendo giustamente desiderare, dispensando materiale promozionale col contagocce, eppure capace di impressionare a ogni uscita con la forza dirompente di un uragano.

La rappresentazione sconvolgente di un immaginario crudele e spietato, una direzione artistica che contamina prepotentemente linguaggio filmico e videoludico, un'immersione totale tra gameplay e racconto in un amalgama così fluido da lasciare (almeno per ora) a bocca aperta. In una sola frase: voglia di stupire. E farlo attraverso una protagonista, Ellie, che riabbraccio ogni volta come una vecchia amica, eppure ritrovandola sempre diversa e più sorprendente che mai: capace di reggere sulle proprie spalle il peso di una generazione intera, pronta a camminare sulle sue gambe, matura abbastanza per rubare un bacio così vero e importante da averci lasciato senza fiato, smarriti in un dovuto e sacrale silenzio.

Daniele D'Orefice - Dying Light 2

Il 2018 è volato via, portando con sé - e lo dico con un pizzico di rammarico - una carrellata di giochi che ha poco da invidiare a quella del 2017. In tutto c'è un unico vincitore: il backlog. Sembra una nenia che ripeto ogni anno, e in parte lo è pure, ma la tragedia di non avere il tempo di dedicar spazio a tutto ciò che mi interessa diventa via via sempre più insopportabile. E allora gli unici propositi che mi prefiggo per il 2019 son quelli di recuperare una lista dei desideri che si espande anche per lustri addietro.

Dovendo scegliere uno dei giochi venturi, però, ho deciso di dar spazio ad il seguito di un prodotto che all'epoca m'aveva tanto sorpreso, anche senza conquistarmi del tutto. Con Dying Light Techland s'era staccata parzialmente dalla formula poco riuscita dei Dead Island, proponendo uno zombie game fresco, dinamico e pure con qualche spunto narrativo degno di nota. L'integrazione tra multigiocatore e singleplayer lasciava però molto a desiderare, e il maggior problema di Dying Light stava proprio nei suoi numerosi saliscendi qualitativi. Il secondo capitolo sembra volersi mettere alle spalle le debolezze strutturali e di quest design che minavano l'integrità del predecessore, anche se è ancora troppo presto per dirlo.

Nel biglietto da visita di Dying Light 2 c'è comunque un nome di rilievo, quello di Chris Avellone, e l'intenzione di costruire una realtà continuamente plasmata dalle scelte del giocatore, disposta persino a modificarsi sul piano estetico in base ad alcune decisioni chiave. Tutto il sistema di movimento sarà inoltre ricostruito dalle fondamenta, ma si affiderà sempre alla spettacolare dinamicità del parkour.

Alla spumeggiante serie di promesse sul piano ludico, m'aspetto venga affiancata una maggior maturità sul piano narrativo, che esplori nei particolari il mondo post epidemia, i suoi drammi, la resistenza degli sventurati, chi si lascia consumare dall'ira e dal terrore, chi sopravvive seguendo ideali di giustizia. Sarà un cliché, ma in un mondo popolato da orde di mangiacervelli, quella da temere davvero è proprio la natura umana.

Claudio Cugliandro: The Occupation

Se mi dessero la possibilità di andare avanti nel tempo e scegliere di giocare uno dei titoli che attendo di più per quest'anno, probabilmente opterei per The Occupation. Nato dalla penna e dalla mente dietro Ether One, The Occupation è un thriller investigativo in prima persona in cui indosseremo i panni di una giornalista intenta a scoprire le vere cause dietro un tragico evento avvenuto all'inizio dell'esperienza.

Le peculiarità dell'opera sembrano essere molte: innanzitutto, il tempo scorre in tempo reale, e di conseguenza non potremo concederci minuti infiniti per comprendere la soluzione. Inoltre, i personaggi coinvolti dalla vicenda, con cui dovremo interagire e che potremo interrogare, reagiranno alle nostre azioni in modi diversi e a seconda delle loro esigenze e, di conseguenza, ogni nostra scelta potrà aiutarci a risolvere l'indagine, o allontanarci ancora di più dalla soluzione del caso. "Tu sei il reporter, tu decidi la narrativa", recita lo slogan di lancio del gioco, previsto per il 5 febbraio su PC, PS4 e One. Non vedo l'oro di mettere alla prova questo promettente e intrigante sistema di scelte e conseguenze.

Carmine Capobianco - Medievil Remake

I canti dei bardi ti rimembrano come un eroe, Sir Daniel Fortesque. Le leggende narrano della tua strenua resistenza contro il malvagio mago Zarok. Il tuo coraggio sarà impresso nella dura roccia, per l'eternità. Ma la storia, com'è noto, la scribono i trionfanti, e noi siam ben edotti di quel che fu...vero, Sir Daniel? Sappiamo che la prima freccia scagliata nella pugna di Gallowmere t'ha preso nell'oculo e che sei caduto come un fico secco! Qual miserabile fine per un prode cavaliere come te.

Per tua bonasorte Zarok è tornato, risvegliando un'armata di morti e destandoti dal sempiterno sonno: un secolo dopo quella ridicola morte hai finalmente la possibilità di redimerti e cancellare ogni macchia! All'incirca al ventesimo genetliaco del primo, indimenticabile capitolo, Sony offre a tutti voi l'opportunità di mondare il mortal peccato di non aver mai giuocato a MediEvil, con un rifacimento che fa venire l'acquolina in bocca a tutti coloro che da marmocchi hanno pugnato la paura degli scheletri imbracciando spada, scudo e pad della Playstation. La mascella vi è accidentalmente caduta in terra? Le palle degli oculi son saltate fuori dalle proprietarie orbite? Ottimo: siete dunque pronti ad indossar lo vestimento giusto per il ritorno di Sir Daniel, atteso per l'Anno Domini 2019!

Gabriele Carollo - Streets of Rage 4

"Al cuor non si comanda". Da questa massima, degna dei cioccolatini che scarteremo a febbraio, nasce la mia scelta per il most wanted 2019. Per un ragazzo cresciuto negli anni '90, durante la fatidica guerra civile tra Nintendo e SEGA, il nome Streets of Rage può significare molte cose: l'emblema del periodo d'oro dei picchiaduro a scorrimento, oppure quel Mega Drive che, grazie a Sonic, viaggiava ad una velocità strabiliante per quei tempi.

Con il secondo capitolo di SOR venne raggiunto un livello che ancora oggi rappresenta uno dei capisaldi di un genere ormai desueto, quasi condannato all'oblio. L'annuncio di un quarto ed inedito episodio è stato quindi un fulmine a ciel sereno, ma non è solo la nostalgia a comandare gli umori di tanti appassionati ormai maturi: basterebbe il nome dei Lizardcube a suscitare una certa curiosità, soprattutto dopo il lavoro di restyling su quella perla mai dimenticata che risponde al nome di Wonder Boy III: The Dragon's Trap. Il ritorno della maledizione del Mecha Dragon è riuscito a catturare tutti, non solo grazie ad una struttura ludica che ha resistito all'incedere del tempo, ma anche ad uno stile grafico che rappresenta la vera firma distintiva dello studio francese.

È in questa rinnovata veste che giunge a noi, ad ora solo tramite un breve teaser, Streets of Rage 4. Inaspettato e brutale, quasi a volerci dire che nulla muore fino a quando c'è la passione, neanche un genere che comandava il mercato qualche decade fa. Ad ora sono davvero poche le informazioni in nostro possesso: è certo, ad esempio, il ritorno di Axel Stone (ora dotato di un'orgogliosa barba dorata) e Blaze Fielding, e di tutti quei nemici che negli anni '90 abbiamo imparato a pestare con metodo e perizia.

Escludendo il teaser che ci ha folgorato sulla sedia, nella nostra mano stretta in un pugno infuocato non abbiamo altre novità, neanche una data di uscita ufficiale. Ma la pazienza è la virtù dei forti (altra frase da cioccolatino), e per farsi strada attraverso un esercito di punk e teppisti avremo bisogno di tanta, abbondante e violenta forza, da scatenare nel colpo più potente a nostra disposizione.

Giuseppe Carrabba - Kingdom Hearts III

La "leggenda videoludica" per antonomasia, sopravvissuta a intere generazioni di console, è finalmente a un passo dal debutto. Ho un ricordo vivissimo di quando nel 2006 - non appena terminato Kingdom Hearts II - parlavo con i compagni di scuola di quel finale segreto che, ingenuamente, pensavo si riferisse al diretto successore. In realtà la sequenza annunciava Birth By Sleep, un prequel destinato a introdurre un immaginario tanto maestoso quanto dispersivo. Sono passati diversi anni da allora, i capelli folti sono ormai un ricordo sbiadito e finalmente la favola di Nomura sta per concludersi.

Sebbene Kingdom Hearts III abbia le carte in regola per chiudere degnamente la saga "Dark Seeker", non posso evitare di nutrire qualche lecita preoccupazione a riguardo. Attraverso i tanti mondi Disney - ovviamente contornati da quel mood "alla Final Fantasy" che ha fatto il successo del brand - la trama del gioco dovrà rispondere a molte domande, unendo i tasselli delle varie timeline in un mosaico credibile e coeso. Da appassionato di lunga data ben intuisco la gravosità del compito, che supera di gran lunga i destini di Sora, Pippo e Paperino. Dal punto di vista ludico e audiovisivo invece non posso che nutrire grandi aspettative: come già dimostrato da KH 0.2 A Fragmentary Passage, servirsi dell'Unreal Engine 4 per dar vita agli universi Disney è stata una scelta ben ponderata.

Grazie a una palette cromatica vibrante e a una solidità scenica senza precedenti, i mondi di Rapunzel, Frozen, Toy Story e Big Hero 6 sembrano avvicinarsi molto alle controparti cinematografiche, non mancando di stupire gli appassionati più esigenti. Sono proprio curioso di ascoltare la bontà dell'accompagnamento sonoro in ciascun livello, sperando di dimenticare al più presto "Face My Fears", un tema principale che proprio non si sposa con i miei gusti musicali.

La ciliegina di quest'immensa torta è di certo il sistema di combattimento, il quale ha saputo convincermi sin dal primo momento. Forte di tutte le buone idee utilizzate nei predecessori, l'azione è serrata e frenetica, offrendo un ventaglio di possibilità offensive che - in parte - muta anche al variare delle ambientazioni. Per i motivi di cui sopra, Kingdom Hearts III non avrebbe potuto che essere il mio titolo "most wanted": il 29 gennaio si sta avvicinando e io sono pronto a tornare bambino.

Carlo Cicalese - Satisfactory

Chi mi segue sulle pagine di Everyeye o sulla chat del canale Twitch del sito saprà ormai che ho due "dipendenze" videoludiche, quella da Survival e quella da Strategici/Manageriali. Non dovrebbe sorprendervi, quindi, se il mio Most Wanted per il 2019 è Satisfactory. Il nuovo titolo dei Coffee Stain Studios (sì, quelli di Sanctum e Goat Simulator) ha tutte le carte in regola per rapire cuori e, soprattutto, menti di chi, come me, cerca la meticolosità (o maniacalità?) nei propri videogiochi.

Immaginate la complessità ingegneristica e industriale di Factorio - ma senza le tubature per i liquidi - ed elevatela letteralmente alla terza dimensione: otterrete un manageriale che, per quanto visto dai gameplay registrati dai pochi, fortunatissimi tester della Alpha, vi permetterà di costruire fabbriche e catene di montaggio che si sviluppano in tutte le direzioni e in tutte le forme, dalle più comuni fino ai più fantasiosi "castelli".

Certo, la mancanza di qualsiasi premessa narrativa che non sia il completamento dei compiti assegnati rende titoli come Satisfactory e congeneri (aggiungiamo anche il filone dei "Simulator") poco appetibili a gran parte del pubblico, ma trovo che l'esaltazione di certe pulsioni razionali e irrazionali dell'uomo, come il bisogno di mettere in ordine le cose e la creazione di pattern mentali (caratteristiche fondamentali in titoli del genere), sia un obiettivo che cerca un tipo diverso di catarsi, più "estetica" che "spirituale".

Questo perché il medium videoludico, come tutte le forme artistiche o pseudo tali, è capace di divertire non solo facendo "vivere" emozioni messe in scena dagli sceneggiatori, ma anche tramite il solo "gameplay", in grado di stimolare le corde del giocatore bypassando l'aspetto emotivo.

Marco D'amico - A Plague Tale Innocence

Bombardato da reveal, hands off, gameplay, approfondimenti e contro gameplay, è cosa ardua riuscire a mantenere una genuina curiosità verso uno qualsiasi dei titoli che riempiranno la mia, già stracolma, libreria digitale. Eppure, tra le promesse di un anno ancora una volta mozzafiato, una in particolare ha destato il mio interesse, non tanto per merito di capovolgimenti ludici o numeri da circo strabilianti, ma per la pittura di un quadro estetico squisito.

È bastato posare uno sguardo appena accennato sulla composizione macabra e deliziosamente poetica di A Plague Tale Innocence, affinché questo si ritagliasse un posticino tra i miei most wanted del 2019. L'opera dello studio francese ASOBO mette in scena un setting storico dal fascino a me irresistibile, con un gusto per luci e ombre raffinato e una realizzazione scenica che ha poco da invidiare a produzioni di maggior spessore.

La Francia del XIV secolo è caratterizzata da guerre, pestilenza e superstizioni, un periodo buio - spesso nei libri di storia declassato a solo decadimento - nel quale il sonno della ragione genera un folklore ammaliante e, nel nostro caso, mostri famelici dalla coda liscia. Se vi è in effetti un aspetto che inebria la vista ad ogni trailer, è il sopraggiungere sullo schermo di migliaia di ratti dagli occhi rosso sangue: non solo perché l'intelligenza artificiale della prole murina solletica il mio lato da smanettone, ma soprattutto per le coreografie che quel mare nero riesce ad inscenare, conferendo un dinamismo e una meraviglia unica alle immagini.

Orde di topi che fuoriescono dalle viscere di animali, colonne pelose che ingoiano interi soldati e trame ferine pronte a ritrarsi all'accensione di una fiaccola riescono ad irretire lo spettatore in un'atmosfera malsana, un'attrazione tuttavia, che non avrebbe nemmeno la metà del proprio potenziale senza la parte più tenera dell'avventura. I protagonisti, infatti, rappresentano l'elemento di contrasto perfetto per una fiaba dark che, mettendo dei ragazzini di fronte alla cruda realtà, vuole imbastire un racconto parecchio riflessivo. Inoltre la maturità intravista nella narrazione mi fa ben sperare, fiducioso che A Plague Tale: Innocence sarà una delle storie più intime e struggenti del 2019. Fremo al sol pensiero.

Francesco Delrio - Sea of Solitude

Da qualche tempo la mia attenzione è perlopiù rivolta su indie con direzioni artistiche ispirate, con tavolozze di colore vivaci, meglio ancora se trattano tematiche che creino un'esperienza emotivamente intensa. Sea of Solitude rientra nel genere. (Ri)presentato qualche mese fa da EA, si sa ancora veramente molto poco su questo titolo e forse è proprio per questo che lo attendo con grande curiosità.

Il mondo che dipinge è surreale e denso di contrasti cromatici: una misteriosa protagonista, fatta di buio nero come la pece, si avventura tra le vie allagate di una cittadina risolvendo puzzle ambientali, sfuggendo a creature mostruose che sembrano il suo riflesso negativo, metamorfosi figlia dell'isolamento. C'è quell'influenza delle opere di Fumito Ueda, un'atmosfera malinconica, costruita intorno al tema della solitudine come il titolo richiama. E se è vero che il titolo riflette parte delle esperienze dirette di Cornelia Geppert, creatrice del concept, ci sono tutti i presupposti per un titolo dal grande potere evocativo.

Enrico Di Piramo - Bayonetta 3

Sento che il 2019 sarà per me un anno persino più denso di quello appena trascorso, senza contare ulteriori sorprese: ma tra queste, agogno più che mai di gettarmi ancora in una vorticosa danza pericolosamente in bilico tra eleganza e brutalità. Una spettacolare coreografia di massacri sublimi e azione esagerata, dove lame di ogni taglia e raffiche di piombo saranno ancora mattatrici assolute dello spettacolo orchestrato dalla sfacciatissima Bayonetta.

Sì, i tempi dovrebbero essere ormai maturi per saperne di più: e se davvero Bayonetta 3 dovesse accompagnarsi alla nuova avventura di Dante e soci, il nuovo anno potrebbe in definitiva imporsi come il migliore di sempre per gli stylish action game. Se già l'annuncio del seguito ebbe a suo tempo dell'incredibile, quello del terzo capitolo è considerabile un vero miracolo: senza il supporto di Nintendo infatti, benché sia poco remunerativa, la serie di Bayonetta non sarebbe diventata - appunto - neppure una serie. Stavolta invece le premesse non potrebbero essere migliori di così.

Qualora non fosse sufficiente l'idea veder tornare il grande Hideki Kamiya nel ruolo di director dopo anni, le ultime dichiarazioni di Platinum Games mi hanno a dir poco elettrizzato: secondo Atsushi Inaba e Kamiya, Bayonetta 3 detterà inediti standard qualitativi per la compagnia. E di fare il salto di qualità lo studio giapponese ne ha un fortissimo bisogno, specialmente dopo la dipartita di Scalebound e l'inatteso successo di NieR: Automata.

Vorrei e mi aspetto di saperne di più molto presto (magari durante il papabile Nintendo Direct di gennaio?): troppo è passato dal quel primo enigmatico teaser mostrato ai Games Awards 2017. Un brevissimo filmato in cui la Strega di Umbra si è mostrata con l'outfit rosso/nero del primo capitolo e in difficoltà come mai prima d'ora, finendo in apparenza squartata in due. Chi sarà il misterioso nemico? Si tratterà solo di un flashback? Così come il colore viola del nuovo simbolo è il risultato della combinazione tra rosso e blu, Bayonetta 3 dovrà essere la sintesi perfetta dei precedenti capitoli, nonché una nuova apoteosi per il genere tutto.

Filippo Facchetti - Sekiro Shadows Die Twice

Sono molti i giochi che attendo con impazienza in questo promettente 2019. Tra di essi spicca la nuova fatica degli autori di Dark Souls e Bloodborne, che ha fatto scattare qualcosa nella mia testa fin dalla diffusione del primo video di gameplay. Sono sempre stato un grande appassionato di Tenchu, dei giochi stealth e del Giappone feudale.

Nel corso degli anni, a queste passioni viscerali si è aggiunto anche l'apprezzamento per i souls, esperienze spietate capaci di unire con gusto e accortezza dinamiche prese in prestito da tanti generi differenti. Come molti altri orfani di Tenchu, anch'io ho notato diverse similitudini tra il nuovo progetto From Software e le vecchie avventure di Rikimaru. Le prime prove del gioco hanno chiarito le enormi differenze tra la storica saga stealth e questa inedita proprietà intellettuale, facendo luce sulle intriganti meccaniche di Shadows Die Twice e soffiando con forza sulle fiamme dell'hype. Miyazaki ha confermato l'uso del medesimo approccio allo storytelling che tanto ho apprezzato nei suoi ultimi titoli, con una narrazione strettamente legata all'esplorazione e al desiderio dell'utente di approfondire.

Un taglio unico, ben lontano dall'approccio cinematografico e lineare abusato dai più rinomati studi di sviluppo in circolazione. Tutto questo sarà affiancato da uno stile di gioco molto distante da quello apprezzato in Bloodborne e in Dark Souls, con un approccio più incline alla verticalità e con occasionali virate verso uno stealth apparentemente poco pronunciato. Quanto è stato mostrato fino a questo momento ha scongiurato il rischio di trovarsi fra le mani un gioco troppo simile all'ottimo NiOh, in particolar modo nella gestione dei combattimenti.

Gli scontri di Sekiro hanno un taglio più brutale e pesante e l'utilizzo combinato della katana e delle varie configurazioni del braccio meccanico del protagonista lasciano sperare nella presenza di molteplici strategie. Le premesse per un'esperienza ludica di prim'ordine ci sono tutte, sperando che gli sviluppatori approfittino del tempo che gli rimane per migliorare un comparto tecnico davvero troppo grezzo per il 2019.

Gabriele Ferrara - Shenmue 3

Faccio fatica a trovare un altro gioco come Shenmue. Le avventure open world si sono evolute tantissimo negli ultimi 18 anni, offrendo ai giocatori ambientazioni sempre più vaste e ricche di attività. Nessuna di quelle venute dopo, almeno a mio parere, è ancora riuscita a eguagliare il senso di immersione e la cura per i dettagli visti nei due capolavori di Yu Suzuki.

I videogiochi hanno la capacità di farci vestire i panni altrui, di catapultarci in nuovi mondi da esplorare e scoprire con la stessa curiosità di un turista. Questa affermazione può trovare riscontro in numerosi giochi open world, ma non è mai è stata così vera come nel caso di Shenmue. Interpretare il ruolo di Ryo Hakuzi significava alzarsi ogni mattina alle 8, passeggiare tra le stradine di Yokosuka alla ricerca di indizi, dialogare con i passanti, entrare in una sala giochi degli anni 80 prima di fare rientro a casa, realizzare che ogni NPC era unico e aveva qualcosa di particolare da dirci. Poi con Shenmue 2 si salpava verso Hong Kong per vivere un'avventura ricca di sorprese e incontri inattesi, un autentico viaggio di formazione che culminava nelle magiche atmosfere di Guilin.

Il terzo capitolo ripartirà proprio da lì, proseguendo la storia di Ryo e Shenhua da dove l'avevamo interrotta, avverando un autentico sogno videoludico che i fan della serie coltivavano da più di 15 anni. Shenmue 3 non sarà una produzione tripla A come i primi due capitoli pubblicati sul Dreamcast, e di certo non mirerà a rivoluzionare i giochi free roaming imponendo nuovi traguardi tecnici. I valori di produzione sono molto più contenuti, ma quello che conta è che alla guida del timone ci sia sempre lui, Yu Suzuki. Probabilmente l'unico uomo che potrà regalarci un altro gioco come Shenmue.

Andrea Fontanesi - Luigi's Mansion 3

Per quel che mi riguarda, capita sempre più di rado che un teaser di pochi secondi riesca a catturare il mio interesse se proposto a se stante, senza nessun'altra informazione sul prodotto mostrato. Nella stragrande maggioranza dei casi, se la scintilla scocca lo stesso è perché il video ha come soggetto la nuova incarnazione di un brand che, nella sua esistenza breve o lunga, non ha mai smesso di dimostrarmi il suo valore.

Premesso ciò, al marchio Luigi's Mansion devo due esperienze ludiche originali, spassose, sorprendenti, che ancora ricordo con piacere dopo tanti anni da quella "prima volta" su GameCube. È però chiaro che il 2019 riservi all'idraulico dal berretto verde un compito tutt'altro che facile, di ben altra complessità rispetto alla recente, "semplice" riproposizione su 3DS del primo gioco a lui interamente dedicato. Quel "3" del prossimo titolo per Nintendo Switch alza le aspettative, implica qualcosa che vada oltre la -pur importante- conquista dell'alta definizione da parte di una serie che non ha mai superato le soglie dei 480p. Luigi's Mansion 3 dovrà provare che la formula aspirafantasmi, dopo l'eccezionale guizzo d'esordio e l'ottima evoluzione in Dark Moon, abbia ancora qualche asso nella manica.

Dovrà farci ridere degli spaventi del baffetto spilungone come mai prima, imbastendo una storia infarcita di momenti genuinamente esilaranti. Dovrà sbizzarrirsi con l'aggiunta di qualche nuova, stravagante meccanica di gameplay. Insomma, dovrà essere in grado di dare nuovo gusto agli ingredienti di una ricetta collaudata, che giocoforza non verrà stravolta, ma a cui senz'altro una rinfrescata non farebbe male. Già lo vedo, Luigi, (im)pavido come sempre, tremicchiare al sol pensiero dell'impresa che lo attende. Da parte mia, nei confronti del personaggio e di Nintendo, c'è solo e soltanto fiducia. Datemi il nuovo modello di Poltergust, presto!

Giovanni Calgaro - The Division 2

Ho passato centinaia di ore nell'evocativa New York innevata post-contagio. Sin dall'annuncio, l'IP appartenente allo sconfinato portfolio creativo del compianto Tom Clancy, mi ha davvero rapito. Ambientazione affascinante, buon gunplay e ibridazione di meccaniche di gioco diverse tra loro, furono solo alcune delle caratteristiche che contribuirono all'iniziale successo della produzione.

Poi, l'interesse per il titolo andò via via in calando, purtroppo a causa dell'incapacità di tenere incollati i giocatori i quali, una volta raggiunto il level cap, non avevano la possibilità dedicarsi ad attività end game soddisfacenti. Il titolo continuò per la propria strada, migliorando patch dopo patch. Ubisoft, ormai, è maestra nella resistenza e nel recupero sulla lunga distanza. Insomma, dopo due anni di aggiustamenti frutto di un'attenta analisi dei feedback degli utenti, The Division si avvicinò molto al titolo che i fan desideravano. Poi, arrivò l'annuncio del sequel. Fu una nuova folgorazione. Lontani dalla gelida e statica atmosfera di Manhattan, gli agenti della Divisione saranno catapultati nella capitale, ormai nella più totale anarchia: Washington DC. Un setting ben diverso dal precedente.

Florido, vivido, ricco di dettagli. Merito di uno Snowdrop Engine che è parso godere di buona salute. Il comparto tecnico, nel corso delle nostre prove sul campo, ci è sembrato solido, nonché sensibilmente migliorato rispetto al passato. Oltre all'ottimo impatto visivo (che comunque non fa mai male) il titolo Ubisoft Massive promette molte altre frecce nella propria faretra. Il nuovo lavoro del team sembra poggiare saldamente sull'esperienza maturata con gli aggiornamenti del primo capitolo e procedere sulle proprie gambe, con nuove feature.

Gli sviluppatori, memori delle problematiche legate al gunplay e al looting del precedente episodio, hanno riversato una gran quantità di risorse per bilanciare al meglio la prismatica anima della produzione. La speranza è che l'esperienza PvE e, soprattutto, quella PvP siano entrambe bilanciate e parimenti soddisfacenti. Il level design immerso nella nuova ambientazione, promette faville, così come le attività secondarie e l'endgame. Secondo quanto affermato dal team, questa componente sarà finalmente appagante, longeva e in grado di tenere i giocatori impegnati a lungo. Abbiamo sempre saputo che la quarantena di New York era solo la punta dell'iceberg. Non vediamo l'ora di rispondere alla chiamata della Divisione e riportare l'ordine nella Capitale.

Matteo Mangoni - Ori and the Will of the Wisps

Sebbene non fosse privo di difetti, il primo capitolo di Ori ha saputo imporsi in una fetta di mercato affollatissima grazie all'estrema cura riposta in - quasi - ogni suo elemento e ad un comparto artistico a dir poco folgorante. Al titolo sviluppato dai ragazzi di Moon Studios si possono rimproverare davvero poche cose, tutte facilmente rimediabili all'interno di un secondo episodio che si preannuncia esplosivo, straripante di nuove terre da esplorare, meccaniche di gioco tutte da scoprire e persino nuovi personaggi.

Impossibile non citare ad esempio il simpatico gufetto che l'ha fatta da padrone all'interno del bellissimo trailer pubblicato in occasione di quest'ultimo E3. Resta solamente l'incognita del tempo, che troppo spesso si è rivelato un problema per le produzioni videoludiche. Annunciato poco meno di due anni fa e mostratosi soltanto fugacemente nel corso delle più importanti fiere di settore dell'anno appena concluso, Ori and the Will of the Wisps non ha ancora una data definitiva: per il momento dobbiamo accontentarci di un generico "2019". Il team di sviluppo, ormai saldamente sotto l'ala protrettrice di Microsoft, ha deciso di prendersi tutto il tempo necessario per rendere il loro nuovo pargolo indimenticabile per tutti i fan dei metroidvania e dei platform in generale.

E in tutta onestà, raffinando un minimo il sistema di combattimento e liminando qualche piccola imperfezione, non dovrebbe essere un compito così difficile da raggiungere. In fondo stiamo parlando di un team che, al momento dell'annuncio del gioco nell'ormai lontanissimo E3 2017, ha dichiarato candidamente di aver effettuato sul singolo trailer di presentazione più di 2000 iterazioni al fine di perfezionare quanto più possibile il risultato finale. Lo stile e il comparto artistico saranno dunque il fiore all'occhiello anche di questo sequel, ma il progetto sembra poter vantare un impegno e uno sforzo produttivo tale da rendere strepitoso ogni singolo aspetto del prodotto finale.

Marco Mottura - DOOM Eternal

Nel 2016, DOOM ha segnato il folgorante ritorno di un franchise che ha fatto la storia non soltanto di id Software ma addirittura dei videogiochi in senso lato: un clamoroso rientro sulle scene dalla porta principale, che sulla scia del successo di Wolfenstein: The New Order ha spinto nuovamente la saga verso orizzonti inesplorati.

La ricetta di quello che non può che essere considerato un mezzo trionfo è presto detta: giocabilità straordinaria, ritmo incessante, gunplay micidiale (costruito attorno alla consueta assenza del concetto di ricarica delle armi), viscerali finisher corpo a corpo e legioni di demoni infernali da massacrare a colpi di riff Industrial. Al di là delle naturali evoluzioni e delle legittime derive di genere, sono bastati pochissimi istanti per accorgersi di quanto mancasse il buon vecchio DOOM: la sua succosa ultraviolenza senza fronzoli, il suo dinamismo spinto all'estremo, il DNA unico e così fedelmente riproposto in maniera moderna eppure classicissima continuano ad avere un fascino magnetico, oggi come allora.

Ecco perché risulta francamente impossibile non essere in trepidazione per DOOM Eternal, un seguito che sembra in tutto e per tutto costruito con la logica del bigger and better: la gitarella satanica su Marte a quanto pare è stata giusto un assaggio di quel che ci aspetterà l'anno prossimo, quando l'Inferno aprirà nuovamente i battenti per vomitare sulla Terra orde di mostruosità sempre più agguerrite.

Non che il caro Doomguy sia comunque rimasto ad aspettare l'Armageddon con le mani in mano: ci aspettano strumenti di morte nuovi di zecca - a cominciare da un gancio estensibile comodamente montato sotto al fidato shotgun - oltre a tante altre sorprese all'insegna del gore. Insomma, l'hype è alle stelle e le aspettative paiono difficili a tenere a bada (almeno quanto un Pinky imbizzarrito), anche se non manca purtroppo una nota stonata: al momento la data d'uscita di DOOM Eternal è infatti ancora avvolta nell'ombra, ed è verosimile pensare che dovremo pazientare per ancora diversi mesi prima di poter ricominciare il folle massacro di Cacodemoni e simili.

Francesco Ventrella - Ghost of Tsushima

Il titolo che più aspetto per il 2019 è Ghost of Tsushima, e più che un'attesa in effetti è una speranza, dal momento che non c'è ancora una data d'uscita ufficiale. Se, come è ormai noto, la generazione attuale volge al termine, è verosimile pensare che la nuova fatica firmata Sucker Punch arrivi sui lidi di PlayStation 4 entro la fine dell'anno.

Al di là degli evidenti valori produttivi altissimi che Ghost of Tsushima si propone di mettere in campo, stando a quanto visto nella demo presentata a Los Angeles, attendo con impazienza questo titolo per due motivi ben precisi: il primo è la fiducia che ripongo in un team maturato moltissimo nel tempo sotto l'egida di Sony, e che ha sempre saputo intrattenermi e divertirmi, dapprima con la saga di Sly, poi con quella di InFamous (Second Son resta uno dei titoli che ho consumato con più piacere nel primo anno di vita di PlayStation 4).

Il secondo motivo è, ovviamente, il setting del Giappone feudale, estremamente affascinante e pieno di suggestioni in cui sarà ambientata la storia del samurai Jin Sakai. Una vicenda che sarà di certo il cuore di questa produzione single player, e che mi auguro si riveli densa e ben articolata in termini di gameplay, ben bilanciata tra dinamiche action e stealth.

Una storia che prende luogo durante un conflitto, che spero non sia solo ambientale ma anche umano, capace di insinuarsi nella psiche, nell'animo e nella filosofia alla base di quell'antica società e di alcuni suoi costumi che ancora echeggiano nel Giappone contemporaneo. La presenza di una struttura open world poi, declinata in uno stile grafico che mi ha lasciato davvero sbalordito, mi fa ben sperare per un'avventura che sia anche contemplativa e riflessiva, a modello di quanto fatto da Red Dead Redemption 2. Ma forse è meglio che plachi le mie aspettative e, per ora, mi limiti a incrociare le dita nella speranza che Ghost of Tsushima arrivi realmente nel 2019!