Esistono due Sega: quella che tira fuori roba a caso come l'espansione 32X, e quella che è almeno dieci anni avanti rispetto alla concorrenza. Il guaio è che in questa specifica bipolarità industriale nessuna delle due personalità ha risvolti positivi. Va bene naturalmente anticipare i competitor, ma non è proprio saggio farlo con così largo anticipo e quando non hai la tecnologia adeguata per arrivare fino in fondo alla rivoluzione immaginata. Con Sega è successo molte volte: è stata la prima a investire nel 3D firmando contratti senza precedenti con l'industria militare statunitense, la prima ad arrivare a un passo dall'introduzione di un motion controller, la prima a puntare tutto sul gioco online. tutti aspetti certamente positivi, che renderebbero una società sempre più forte e proiettata verso il futuro. Ma non è stato il caso di Sega. Perché la verità è che quel costosissimo 3D era troppo complesso da maneggiare, quel motion controller era troppo acerbo per fare la differenza, e quella banda larga era priva di un'infrastruttura tecnica e logistica in grado di sorreggerla. È così Sega, è sempre stata così: la testa nel futuro, il corpo nel passato. E il Dreamcast, questa bianca lapide che si erge sui resti del gigante di un tempo, è il perfetto riassunto della pazza galoppata nella storia dei videogiochi di quella che, per molto tempo, è stata l'altra metà del cielo nel mondo videoludico.
Vent'anni di Dreamcast
Il ventennale del Dreamcast è una compleanno importantissimo ed agrodolce, perché rappresenta la fine della Sega di un tempo, ma anche il tramonto di una "industria dei videogiochi" che non tornerà più. I nostalgici sono solitamente tipi antipatici, ma a volte hanno ragione: in quell'epoca i videogiochi erano frutto anche di una certa giovanile ingenuità che sapeva coccolarti senza troppi secondi fini. Il Dreamcast è una frattura spaziotemporale, un'anomalia che influenzava il domani di Sega positivamente o negativamente, a seconda dei casi ed in molteplici modi. Da una parte avevi il massimo possibile in Phantasy Star Online, dall'altra le parate in strada con i tizi vestiti da Sonic e Tails, che di per sé non aveva naturalmente nulla di male, ma andava contrapposta alle modelle seminude di Gran Turismo e alla rivoluzione comunicativa di Sony.
Un'altra particolarità in grado di rendere così unica l'ultima console Sega era il suo essere a tutti gli effetti un'operazione kamikaze: non ci sono mai stati i fondi sufficienti per spingere l'hardware come oramai era obbligatorio fare, e nemmeno le alleanze commerciali necessarie per tenere in piedi una un'infrastruttura che potesse gestire non solo un aspetto innovativo come l'online, ma anche la distribuzione sul territorio. Si procedeva così a caso, con partnership costose ma senza ritorno come per esempio la sponsorizzazione di squadre di seconda divisione; da noi toccò alla Sampdoria durante la militanza in Serie B e con due diverse maglie, la prima dedicata alla console e la seconda al servizio Dreamrena. Per comprendere appieno la situazione, va considerato che Nintendo aveva appena chiuso con la super Fiorentina, e Sony stava per entrare in tackle sull'intera Champions League.
Una debolezza ben visibile anche dalle terze parti, che infatti supportarono il Dreamcast con una certa cautela, spingendo di conseguenza Sega a investire altre risorse finanziarie per accaparrarsi qualche ghiotta esclusiva. Un business model totalmente insostenibile, eppure Sega non si fermò e utilizzò la piattaforma già predestinata come una sorta di curriculum vitae per avvicinarsi a Microsoft, che a quel punto aveva già deciso di entrare nel settore videoludico. La partnership tra i due colossi era già nell'aria da tempo, ed infatti il Dreamcast ha persino il logo di Windows CE sulla scocca, ma non bisogna mai sottovalutare il fiuto per gli affari di Bill Gates: Microsoft ben presto capì che Sega era talmente mal messa che anche senza comprarla avrebbe comunque concesso tutti i suoi tesori ai saldi. Il pad dell'Xbox è molto simile a quello Dreamcast, vero?
E indovinate, di chi è stato il miglior servizio per il gioco online per molti anni a questa parte? E poi Jet Set Radio Future, Shenmue, Gun Valkyrie; nel frattempo PlayStation 2 si accaparrava Rez, Headhunter e molti altri giochi in esclusiva terze parti, come le straordinarie Wacky Races di Infogrames e la mitologiche Soul Edge di Namco. Un "tana libera tutti" straziante ma inevitabile.
La guerra di SEGA
Come rivelato dal'ex presidente Sega, l'Isao Okawa che poi donò in punto di morte una cifra mostruosa per aiutare la società a rivoluzionare se stessa sulla strada dell'indipendenza, il Dreamcast già nasceva con l'intento di essere l'ultima console prodotta internamente: un hardware che, se fosse andato bene, avrebbe permesso a Sega di ritornare in carreggiata e, nel caso fosse andato male, avrebbe comunque messo in bella mostra i gioielli di famiglia. Per raggiungere almeno uno dei due scopi, all'esercito di sviluppatori interni venne praticamente data "licenza di uccidere", ovvero piena libertà creativa e in alcuni casi di budget. E fu così che tutto il know-how di Sega nello sviluppo di videogiochi esplose in una line-up da far girare la testa, costellata di progetti privi di ogni compromesso come lo Shenmue e il Ferrari 355 Challenge firmati Yu Suzuki.
E poi Phantasy Star Online e Chu Chu Rocket con il loro multiplayer avveniristico, Jet Set Radio con il suo primissimo cel-shading, e naturalmente Virtua Fighter, Sonic Adventure, Crazy Taxi. E che dire poi di Metropolis Street Racer e del suo avanguardistico fuso orario, che poi ha fatto la fortuna di Microsoft dando vita a Project Gotham Racing?
E cosa aggiungere dei bellissimi NBA ed NFL della Visual Concept che Electronic Arts aveva persino chiesto di cancellare altrimenti avrebbe negato il supporto con i suoi sportivi al Dreamcast? Non mi dite: davvero sono gli stessi che oggi tengono in piedi, insieme ai giochi Rockstar, la Take Two Interactive? Il Dreamcast era e rimarrà una console unica nella storia anche per via dei suoi titoli più strani: in Seaman il giocatore parla con un pesce dal volto umano, in Samba de Amigo agita due maracas rischiando pure di rimorchiare, in Typing of The Dead scrive su una tastiera per uccidere zombie e in Rez si incolla i pad sul corpo per sentirli vibrare.
E se guardiamo oltre, ecco SoulCalibur bello il doppio della versione da sala, e l'horror D2 per molti anni unico nel suo genere; per non parlare di gemme nascoste come il gioco di Berserk e Record of Lodoss War, o roba aggressiva come il primo e inimitabile titolo ufficiale della UFC. Capcom diede una mano considerevole con i due meravigliosi PowerStone e naturalmente con Code Veronica, uno dei Resident Evil più amati di sempre. Ci sarebbe poi da aggiungere l'Ikaruga perfetto, Space Channel 5, la canzone All I Want degli Offspring in Crazy Taxi, la VMU che si scaricava troppo presto per poterla usare, ma sempre troppo tardi per smetterla con quel bip con cui ti ricordava di cambiare le sue costosissime batterie. Come è possibile che, nonostante il regno del Dreamcast sia durato così poco, noi abbiamo così tanti ricordi in sua compagnia?
Perché poi ci sarebbe il Bleemcast di cui parlare, l'emulatore che permetteva di giocare a Gran Turismo sulla console Sega... oggi arresterebbero tutti, mentre ieri era un colpo ai cattivi che infiammava gli animi degli appassionati. Il Dreamcast sapeva che non avrebbe mai vinto la console war, e con bonaria strafottenza si divertiva (con una PlayStation 2 nascosta sotto il tavolo) a prendere in giro gli scivoloni, soprattutto di Sony, per atteggiarsi a vessillo della resistenza verso un vecchio modo di fare videogiochi. Oggi amaramente sappiamo che era solo un gran bel sogno vissuto ad occhi aperti: un Dreamcast appunto... mai nome fu più azzeccato. Un'ultima cosa: sapete come si chiamava la telecamera per Dreamcast? Dreameye...se vi ricorda il nome di un famoso sito italiano, non è assolutamente un caso.
Il Dreamcast compie 20 anni: un viaggio in memoria dell'ultima console Sega
Uscito in Giappone nel novembre 1998, il Dreamcast segna la fine di un'era per la casa di Sonic ed un punto fondamentale per la storia del gaming.
Esistono due Sega: quella che tira fuori roba a caso come l'espansione 32X, e quella che è almeno dieci anni avanti rispetto alla concorrenza. Il guaio è che in questa specifica bipolarità industriale nessuna delle due personalità ha risvolti positivi. Va bene naturalmente anticipare i competitor, ma non è proprio saggio farlo con così largo anticipo e quando non hai la tecnologia adeguata per arrivare fino in fondo alla rivoluzione immaginata. Con Sega è successo molte volte: è stata la prima a investire nel 3D firmando contratti senza precedenti con l'industria militare statunitense, la prima ad arrivare a un passo dall'introduzione di un motion controller, la prima a puntare tutto sul gioco online. tutti aspetti certamente positivi, che renderebbero una società sempre più forte e proiettata verso il futuro.
Ma non è stato il caso di Sega. Perché la verità è che quel costosissimo 3D era troppo complesso da maneggiare, quel motion controller era troppo acerbo per fare la differenza, e quella banda larga era priva di un'infrastruttura tecnica e logistica in grado di sorreggerla. È così Sega, è sempre stata così: la testa nel futuro, il corpo nel passato. E il Dreamcast, questa bianca lapide che si erge sui resti del gigante di un tempo, è il perfetto riassunto della pazza galoppata nella storia dei videogiochi di quella che, per molto tempo, è stata l'altra metà del cielo nel mondo videoludico.
Vent'anni di Dreamcast
Il ventennale del Dreamcast è una compleanno importantissimo ed agrodolce, perché rappresenta la fine della Sega di un tempo, ma anche il tramonto di una "industria dei videogiochi" che non tornerà più. I nostalgici sono solitamente tipi antipatici, ma a volte hanno ragione: in quell'epoca i videogiochi erano frutto anche di una certa giovanile ingenuità che sapeva coccolarti senza troppi secondi fini. Il Dreamcast è una frattura spaziotemporale, un'anomalia che influenzava il domani di Sega positivamente o negativamente, a seconda dei casi ed in molteplici modi. Da una parte avevi il massimo possibile in Phantasy Star Online, dall'altra le parate in strada con i tizi vestiti da Sonic e Tails, che di per sé non aveva naturalmente nulla di male, ma andava contrapposta alle modelle seminude di Gran Turismo e alla rivoluzione comunicativa di Sony.
Un'altra particolarità in grado di rendere così unica l'ultima console Sega era il suo essere a tutti gli effetti un'operazione kamikaze: non ci sono mai stati i fondi sufficienti per spingere l'hardware come oramai era obbligatorio fare, e nemmeno le alleanze commerciali necessarie per tenere in piedi una un'infrastruttura che potesse gestire non solo un aspetto innovativo come l'online, ma anche la distribuzione sul territorio. Si procedeva così a caso, con partnership costose ma senza ritorno come per esempio la sponsorizzazione di squadre di seconda divisione; da noi toccò alla Sampdoria durante la militanza in Serie B e con due diverse maglie, la prima dedicata alla console e la seconda al servizio Dreamrena. Per comprendere appieno la situazione, va considerato che Nintendo aveva appena chiuso con la super Fiorentina, e Sony stava per entrare in tackle sull'intera Champions League.
Una debolezza ben visibile anche dalle terze parti, che infatti supportarono il Dreamcast con una certa cautela, spingendo di conseguenza Sega a investire altre risorse finanziarie per accaparrarsi qualche ghiotta esclusiva. Un business model totalmente insostenibile, eppure Sega non si fermò e utilizzò la piattaforma già predestinata come una sorta di curriculum vitae per avvicinarsi a Microsoft, che a quel punto aveva già deciso di entrare nel settore videoludico. La partnership tra i due colossi era già nell'aria da tempo, ed infatti il Dreamcast ha persino il logo di Windows CE sulla scocca, ma non bisogna mai sottovalutare il fiuto per gli affari di Bill Gates: Microsoft ben presto capì che Sega era talmente mal messa che anche senza comprarla avrebbe comunque concesso tutti i suoi tesori ai saldi. Il pad dell'Xbox è molto simile a quello Dreamcast, vero?
E indovinate, di chi è stato il miglior servizio per il gioco online per molti anni a questa parte? E poi Jet Set Radio Future, Shenmue, Gun Valkyrie; nel frattempo PlayStation 2 si accaparrava Rez, Headhunter e molti altri giochi in esclusiva terze parti, come le straordinarie Wacky Races di Infogrames e la mitologiche Soul Edge di Namco. Un "tana libera tutti" straziante ma inevitabile.
La guerra di SEGA
Come rivelato dal'ex presidente Sega, l'Isao Okawa che poi donò in punto di morte una cifra mostruosa per aiutare la società a rivoluzionare se stessa sulla strada dell'indipendenza, il Dreamcast già nasceva con l'intento di essere l'ultima console prodotta internamente: un hardware che, se fosse andato bene, avrebbe permesso a Sega di ritornare in carreggiata e, nel caso fosse andato male, avrebbe comunque messo in bella mostra i gioielli di famiglia. Per raggiungere almeno uno dei due scopi, all'esercito di sviluppatori interni venne praticamente data "licenza di uccidere", ovvero piena libertà creativa e in alcuni casi di budget. E fu così che tutto il know-how di Sega nello sviluppo di videogiochi esplose in una line-up da far girare la testa, costellata di progetti privi di ogni compromesso come lo Shenmue e il Ferrari 355 Challenge firmati Yu Suzuki.
E poi Phantasy Star Online e Chu Chu Rocket con il loro multiplayer avveniristico, Jet Set Radio con il suo primissimo cel-shading, e naturalmente Virtua Fighter, Sonic Adventure, Crazy Taxi. E che dire poi di Metropolis Street Racer e del suo avanguardistico fuso orario, che poi ha fatto la fortuna di Microsoft dando vita a Project Gotham Racing?
E cosa aggiungere dei bellissimi NBA ed NFL della Visual Concept che Electronic Arts aveva persino chiesto di cancellare altrimenti avrebbe negato il supporto con i suoi sportivi al Dreamcast? Non mi dite: davvero sono gli stessi che oggi tengono in piedi, insieme ai giochi Rockstar, la Take Two Interactive? Il Dreamcast era e rimarrà una console unica nella storia anche per via dei suoi titoli più strani: in Seaman il giocatore parla con un pesce dal volto umano, in Samba de Amigo agita due maracas rischiando pure di rimorchiare, in Typing of The Dead scrive su una tastiera per uccidere zombie e in Rez si incolla i pad sul corpo per sentirli vibrare.
E se guardiamo oltre, ecco SoulCalibur bello il doppio della versione da sala, e l'horror D2 per molti anni unico nel suo genere; per non parlare di gemme nascoste come il gioco di Berserk e Record of Lodoss War, o roba aggressiva come il primo e inimitabile titolo ufficiale della UFC. Capcom diede una mano considerevole con i due meravigliosi PowerStone e naturalmente con Code Veronica, uno dei Resident Evil più amati di sempre. Ci sarebbe poi da aggiungere l'Ikaruga perfetto, Space Channel 5, la canzone All I Want degli Offspring in Crazy Taxi, la VMU che si scaricava troppo presto per poterla usare, ma sempre troppo tardi per smetterla con quel bip con cui ti ricordava di cambiare le sue costosissime batterie. Come è possibile che, nonostante il regno del Dreamcast sia durato così poco, noi abbiamo così tanti ricordi in sua compagnia?
Perché poi ci sarebbe il Bleemcast di cui parlare, l'emulatore che permetteva di giocare a Gran Turismo sulla console Sega... oggi arresterebbero tutti, mentre ieri era un colpo ai cattivi che infiammava gli animi degli appassionati. Il Dreamcast sapeva che non avrebbe mai vinto la console war, e con bonaria strafottenza si divertiva (con una PlayStation 2 nascosta sotto il tavolo) a prendere in giro gli scivoloni, soprattutto di Sony, per atteggiarsi a vessillo della resistenza verso un vecchio modo di fare videogiochi. Oggi amaramente sappiamo che era solo un gran bel sogno vissuto ad occhi aperti: un Dreamcast appunto... mai nome fu più azzeccato.
Un'ultima cosa: sapete come si chiamava la telecamera per Dreamcast? Dreameye...se vi ricorda il nome di un famoso sito italiano, non è assolutamente un caso.
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