È opinione diffusa che i videogiochi, al pari di tante altre manifestazioni dell'umano ingegno, siano soggetti agli effetti dello scorrere del tempo: l' obsolescenza, l'evoluzione, il perfezionamento. È opinione diffusa tra i (pochi) veri esperti, che le arti marziali siano pura codificazione formale e didattica di un modo di pensare, agire ed essere dell'uomo. Questi, grazie alla pratica e al proprio contributo culturale, può giungere a destrutturare la codifica stessa, riplasmandola senza stravolgerne l'essenza. Personalmente mi sono più volte domandato, tra il serio ed il faceto: "ma perché un Iriminage sì...e una sedia di pregiato cedro libanese in testa no?" Un dilemma forse più utile ad accompagnare l'ennesima pinta di birra consumata nei peggiori bar di Caracas, che non ad avviare una riflessione su come lo stesso interrogativo abbia coinvolto un certo tipo di produzione videoludica. Dall'uscita di sua maestà Ninja Gaiden si fa un gran parlare di come quest'ultimo abbia stabilito nuovi parametri per intendere il genere action. Tutto come da copione: il tempo scorre, il campione si evolve e i rivali devono rassegnarsi all'obsolescenza. Se da un lato è palpabile il distacco evolutivo imposto da Team Ninja ai diretti concorrenti, è pur vero che i superati Onimusha e Devil May Cry possono ancora inserirsi, insieme allo stesso Ninja Gaiden, all'interno di un'analisi che esuli dal valore prettamente ricreativo dei tre titoli, per sviscerarne quello più squisitamente marzialfilosofico. Solo così scopriremo perché il mio Iriminage, nonostante il colpo inferto al mio fegato dall'ultima birra, si sposi perfettamente con quella sedia che un energumeno sta sollevando sopra la mia testa: tecnica contro improvvisazione, forma contro creatività, fusi in un complesso dotato di piena coerenza interna entro il quale detengono pari dignità. Peccato soltanto che nei peggiori bar di Caracas non sappiano neanche cosa sia, il pregiato Cedro del Libano...
La storia, la filosofia, i profili
"Nella regione di Kamigata, le donne sono solite intrecciare cestini di vimini, da portare con sé durante le lunghe passeggiate primaverili, quando il ciliegio è in fiore. Al ritorno dal passeggio, le donne gettano i cestini a terra, e li schiacciano sotto il piede. In tutte le cose, è importante la Fine" (Hagakure, codice Samurai) "L'abilità nel ninjutsu in cui noi ci applichiamo sarebbe meglio conosciuta come l'arte del vincere. Noi assisteremo il sincero con la nostra abilità a vincere con lo spirito. I loro sogni diventano la forza della nostra visione, la quale diviene vibrante intenzione che prende forma nella mente, e si intesse nella fabbrica della realtà" (Insegnamento ninja). "Let's rock baby" (...) Il Samurai deriva la sua concezione di vita dal Bushido, la Via del Guerriero, che presuppone una dedizione totale al servizio del proprio Signore. Tale dedizione prevede la necessità della "infallibilità" delle proprie azioni, per ottenere la quale bisogna intraprendere un cammino di perfezionamento interiore che culmina nella totale padronanza della Morte. Per questo il samurai si abitua a vivere a contatto con la Morte, andandole incontro con la stessa indifferenza con cui si cammina per strada: perché il timore è l'unica condizione che può portare il Samurai sulla via della titubanza, del dubbio e quindi del fallimento. Lo scopo non è pensare e ragionare, ma agire in un istante per l'onore del proprio Signore, senza il quale la vita stessa del Samurai è priva di significato. Onorare il Signore significa anche condurre una vita onorata. Un atteggiamento diverso porterebbe al rimorso e alla vergogna; ed il Samurai, per compiere il suo Dovere, deve prima di tutto essere convinto di sé stesso e dell'onestà dei propri intendimenti. In assenza di una simile sicurezza, ogni azione perde in forza e risultato, il terrore della Morte tornerebbe ad affacciarsi alla sua mente, rendendolo inadeguato al suo ruolo. È esattamente questo il valore del suicidio rituale (seppuku): un rifiuto, una ostentazione di immunità dal timore della Morte. Anche nel vergognoso momento della sconfitta, il Samurai non rinuncia alla propria purezza. I Ninja devono le loro origini alla filosofia dei monaci erranti, fuggiti dai monasteri cinesi dopo il crollo della dinastia T'ang nel 900 DC. Tralasciando la genesi storica, potremmo riassumere la filosofia di vita del Ninja con una frase di Yasuyoshi Fujibayashi, autore del Basenshukai (10.000 fiumi si riuniscono nel mare), vera enciclopedia del ninjutsu, il quale afferma: "Per arrivare alla vera essenza dell'arte del Ninja bisogna cominciare ad eliminare l'inessenziale per raggiungere una condizione base di purezza spirituale, e arrivare a muoversi liberamente senza esserne intaccati, tra i regni polari della luce e dell'oscurità, come è richiesto dallo schema della totalità". Il Ninjutsu non risiede quindi nel semplice perfezionamento di metodi violenti e distruttivi, ma impone di coltivare l'armonia personale con l'ambiente circostante, in unione ad una sensibilità intuitiva che permetta all'uomo di leggere e capire, concordando con lo schema della totalità permeante l'Universo. In realtà, nonostante le travisazioni storico/popolari, nessuno come il Ninja era attaccato e fedele agli ideali della propria famiglia e comunità. Qualora un sovrano misericordioso si trasformasse in un tiranno, non perderebbe mai i servigi dei suoi Samurai. Questi continuerebbero a servirlo fedelmente, con dolore. Il Ninja non farebbe altrettanto, perché, al contrario del Samurai, non concepisce il bene del proprio Signore come mortificazione del proprio io, ma opera per compiere un Bene assoluto. Per questo il Ninja non aveva regole d'onore da seguire o rispettare, egli doveva solo fare in modo che il Destino si compisse o venisse indirizzato verso la realizzazione del Bene, usando tutti i mezzi a disposizione. Altro che "Compirò il mio dovere". Nonostante la profonda base filosofico/culturale, la tradizione Ninja non venne mai accettata dal mondo giapponese, fondato sul concetto di "do", quelle pratiche di tipo Zen considerate un mezzo per raggiungere l'illuminazione. Tuttavia suddette pratiche, soprattutto con l'avvento di periodi di pace, assunsero connotazioni di formalità e ritualizzazione (sado o rito del tè, kado o recitazione poetica, oltre ai vari judo, kendo...) che contrastavano culturalmente con il pragmatismo dell'espressione "fisica" del Ninja, manifestazione diretta della sua visione mistica del mondo. Al contrario, l'aspetto formale, composto e "rituale" delle arti Samurai rifletteva non l'aspirazione alla comprensione del mondo, quanto la volontà di stabilire un ordine proprio, per poi seguirlo abbracciandolo anima e corpo. Precisiamo infine che il Ninja applicava le tecniche e le manifestazioni "fisiche" solo dopo aver raggiunto un certo grado di "illuminazione" tramite lo studio e la meditazione, mentre il Samurai era proprio attraverso la pratica fisica, formale e rituale, che ambiva a raggiungere l'illuminazione. E giungiamo così al nostro demoniaco Dante, rappresentante principe di tutto ciò che si colloca al di fuori della Via, dell'insegnamento, della pratica formale e perfezionata, e che basa tutto il suo bagaglio di evoluzioni danzanti sull'istinto e sulla creatività del momento. Questo, se ci pensiamo, non è affatto poco: svariati stili dall'inflessibile codifica non ambiscono a nient'altro che a una padronanza tale della tecnica, ma soprattutto a una consapevolezza tale di sé, da giungere all'obliterazione del nozionismo che ha contraddistinto il loro cammino di apprendimento, per consegnare il praticante alla sola esperienza maturata, che attraverso l'imprescindibile rielaborazione personale è diventata parte integrante del proprio sé. Tuttavia, noi non siamo certi che Dante abbia mai studiato qualcosa; egli somiglia piuttosto al saggio che più va lontano e meno impara, e dunque realizza che solo stando fermi, si guadagni davvero la meta. O forse niente di tutto questo: solo il gusto del gesto spettacolare, dell'azione sbruffona, della mossa utile ad innescare una battuta sagace e irriverente. Let's rock, e il resto sono solo parole...
Le tecniche, l'interfaccia, le conseguenze ludiche
Way of the Samurai Molti, avvicinandosi per la prima volta a Onimusha, avranno storto il naso di fronte al sistema di controllo character relative mutuato da Resident Evil. Tutta colpa della croce digitale si dirà, assolutamente anacronistica nell'era dei pad analogici. Ma fermi: cerchiamo di ricordare quanto detto circa il Bushido, e cerchiamo di esaminare il sistema di controllo di Onimusha alla luce di quanto esposto. La croce consente una libertà di movimento limitata alle direttrici cardinali (così come, in fondo, il Samurai dirige le sue azioni lungo le virtù cardinali della Via: Coraggio, Lealtà, Pietà Filiale, Misericordia). Un simile schema condiziona l'agire del Samurai anche nelle situazioni di difesa: niente piroette, salti acrobatici, corse sui muri o piani rialzati raggiunti in un solo balzo. Il nostro fiero Samurai resta con i piedi ben piantati per terra, fronteggiando l'avversario senza alcuna volontà o possibilità di alterare subitaneamente il fronte di guardia o di attacco. Consentire fluidi movimenti diagonali significherebbe allargare quella rosa a possibilità di azione infinite, evenienza del tutto aliena al modo di agire e pensare del Samurai. Il Bushido non ammette scappatoie, cosa che precluderebbe l'onorato confronto con la Morte. In questo senso, si inserisce anche il fulcro del sistema di attacco/difesa di Onimusha che, si badi bene, non si compone della sola ordalia di affondi concatenati con cui fiaccare i propri avversari. Il button mashing è un'opzione consentita ed efficace, ma solo in qualità di alternativa all'acquisizione della padronanza di ciò che, a conti fatti, è l'unica capacità combattiva di Samanosuke/Jubei in grado di restituire loro la piena dignità del Samurai: la contromossa. Solitamente nei videogiochi una controtecnica scaturisce da un attacco nemico andato a vuoto o parato, che condanna l'avversario ad un attimo di inerzia psicomotoria. Al contrario, in Onimusha, la contromossa si configura come l'attacco più vicino alla filosofia marziale del Kenjutsu, ovvero la manifestazione del Vuoto acquisito dal guerriero, nella sua ricerca di perfezione. Trattasi di un concetto complesso: sarebbe in realtà possibile riuscire ad evocarne la "visione", facendo leva sulla sensibilità intuitiva di chi abbia già compreso che la padronanza di tale "illuminazione" passa attraverso la sua acquisizione percettiva, non logica. Il Vuoto si configura in un certo senso come l'autoconsapevolezza che ogni tecnica, ogni insegnamento o esperienza acquisita, si fondino nella stessa persona del Samurai, andandone a costituire un bagaglio a cui attingere non tramite il meccanico richiamo mentale, ma attraverso la capacità di "creare" un'azione inedita sulla base del patrimonio di azioni del passato in cui esse sono confluite. Semplificando: il Samurai, da mago col cilindro magico, da cui sa cosa uscirà e cosa no, si trasforma egli stesso nel cappello da cui estrarre la reazione opportuna, in maniera naturale e quasi incosciente. È il principio cosiddetto del "primo colpo", in cui il Samurai investe tutto se stesso. Se il "primo colpo" è inefficace, non ce ne sarà un secondo. In Onimusha questo complesso concetto viene rappresentato con grande efficacia proprio dalla contromossa, dove l'applicazione della stessa, come già detto, non muove da un affondo andato a vuoto o da una parata, ma principia nel momento stesso in cui l'avversario apre la sua difesa per portare l'attacco. In quel preciso istante il Samurai è in grado di fluire come acqua attraverso il colpo nemico. È interessante notare come in effetti nello scontro tra due Samurai lo studio reciproco prima di attaccarsi coincida proprio con lo scontro dei rispettivi Vuoto, da cui uscirà vincitore quello con la consapevolezza maggiore, con la capacità superiore di indirizzare la propria intuizione e volontà verso la vittoria, come se in realtà l'esito potenziale si decidesse ancora prima di realizzarsi fisicamente. Nel titolo Capcom, in effetti, l'attuazione della contromossa prevede che il giocatore impari a "sintonizzarsi" col ritmo del nemico, studiandone preventivamente i tempi di attacco, i movimenti, le reazioni. Solo dopo questo studio, applicato ad ogni avversario dotato di tempi e modi differenti, il Samurai di Onimusha sarà in grado persino di colpire con la stessa contromossa più avversari contemporaneamente, semplicemente entrando in sintonia col ritmo del combattimento stesso, dato dalla fusione dei movimenti e delle "intenzioni" di tutti i partecipanti allo scontro. I Sette Samurai, di Akira Kurosawa, contiene forse la più ficcante esemplificazione extra-ludica di questo concetto. Il Samurai Kyuzo, ammirato dai suoi compagni per la rigorosa concentrazione e per l'estrema perfezione formale, dimostra le sue doti all'incuriosito Kambei sbarazzandosi di un aggressore proprio grazie ad una fulminea, istintiva e letale contromossa. Lo scontro in questione, peraltro, è preceduto da una fase di stallo durante la quale l'aggressore tenta di rendersi minaccioso mediante grida e provocazioni, mentre Kyuzo rimane silenzioso e immobile, concentrato sull'essenza del combattimento imminente. Molti giocatori non se ne saranno accorti, ma si tratta di una peculiarità fondamentale di Onimusha, che durante lo svolgimento dell'avventura consente di perfezionare la propria capacità combattiva, acquisendo molto di più che la semplice padronanza di tecniche o sequenze di tasti, giungendo a cogliere l'essenza di uno scontro nell'attimo in cui l'intuizione sensibile esplode in seguito all'avvenuta sintonizzazione sul nemico. E allora non si tratta più, come spesso accade per altri action game, di tentare questa o quell'altra tecnica: nel momento in cui si agisce, si ha quasi la certezza che accadrà quanto prefigurato. Nei livelli più avanzati ci si ritrova così circondati da stuoli di avversari con i quali si riesce a orchestrare una sorta di armonia, grazie alla quale il giocatore "sensibile" sarà in grado di abbattere come bambù al vento anche tre o quattro avversari con un solo attacco, ricavando così non solo la soddisfazione di assistere al concretizzarsi di uno sforzo di comprensione di una certa meccanica, ma anche l'appagamento per la riuscita assimilazione di una così fedele trasposizione della filosofia dell'arte della spada, come teorizzata e messa in pratica dallo stesso Musashi. Onimusha, con la sua interfaccia tanto limitata nelle possibilità di movimento quanto il codice Samurai in quelle d'azione e pensiero, e con le sue meccaniche di combattimento così facilmente travisabili ad un approccio superficiale, custodisce in sé le ragioni di questa affascinante lettura.
The Path of Ninja
Anche Ninja Gaiden, al pari di Onimusha, vanta dei contenuti che riflettono la filosofia da cui prende nome. Innanzitutto il controllo del personaggio: potrà sembrare banale, ma al contrario di una croce direzionale di dispone del cerchio analogico, con conseguenti illimitate possibilità di movimento. Ryo Hayabusa, in quanto Ninja, è in accordo con i dettami della sua filosofia di vita, sintetizzati dalle parole di Yasuyoshi Fujibayashi più sopra riportate. Al contrario del Samurai, che mirava ad ottenere la perfezione assoluta di ogni gesto della vita quotidiana, dall'arte della spada fino al rituale del tè o nel rapporto con i suoi superiori, il Ninja seguiva una Via che potremmo definire uguale e contraria, in quanto suo scopo principe era quello di perfezionare anzitutto lo spirito e la comunione con l'universo, da cui poi sarebbe derivata la perfezione del suo agire. Per ottenere questo risultato il Ninja doveva applicarsi in uno studio non formale, come quello Samurai, bensì volto all'acquisizione di tecniche e pratiche esoteriche capaci di elevare la sua condizione spirituale. Lo studio come viaggio iniziatico. Ed ecco Ninja Gaiden con il suo corredo di tecniche codificate in complesse sequenze di tasti, la cui esecuzione risulta complicata dalla reattiva AI degli avversari ma agevolata da un sistema di controllo impeccabile. Lo studio di queste tecniche non è fine a se stesso: non esiste una tecnica superiore alle altre, persino il Flying Swallow, una sorta di jolly, secondo molti, al termine della sua esecuzione comporta dei lunghi tempi di recupero durante i quali si rimane in balia degli avversari. Lo stesso vale per il Guillottine Throw, o per la stessa esecuzione dei colpi speciali. È qui che entra in gioco la componente "umana" del Ninja, la sua personalissima rielaborazione interiore delle tecniche, che guadagnano efficacia solo qualora eseguite in accordo alla propria intuizione sensibile. In opposizione al rigido formalismo dei Samurai, il Ninjutsu incoraggiava lo sviluppo della personalità: ogni discepolo era e doveva essere diverso dagli altri, al fine di favorire la nascita di individui capaci di una superiore comprensione dell'universo e, quindi, in grado di diventare a loro volta maestri per altri Ninja. Nonostante la componente predefinita delle tecniche, codificate in sequenze di pressioni di tasti e levette, Ninja Gaiden prevede e consente lo sviluppo di una personale reattività creativa che si traduce nella sbrigliata manipolazione di ogni situazione di battaglia. "La tecnica è uguale per tutti, la sua applicazione no". Il Ninjutsu procede attraverso uno studio formale finalizzato al conseguimento di una visione personale, seguendo il proprio intuito e la propria percezione. Così un kunai esplosivo, una parete e quattro avversari indiavolati, costituiscono uno stimolo per l'esplosione della creatività del giocatore: il kunai si pianta sull'avversario più vicino, mentre Ryo, arrampicandosi sulla parete, favorisce l'assembramento degli avversari. L'esplosione del kunai investe i nemici mentre Ryo volteggia a mezz'aria; prima che si rialzino, Ryo Hayabusa sarà già atterrato e pronto a sferrare una spazzata che concluderà il lavoro dell'esplosione precedente. E ancora: quanti di noi hanno trovato pressoché inutile la possibilità di restare appesi per qualche secondo ad una parete verticale, come l'ultimo fantozziano passeggero dell'autobus delle 7.30? Eppure questa semplice azione, in sede di ritirata, non fa altro che invitare l'avversario di turno ad attaccare nella nostra direzione, al che non ci sarà bisogno di alcuna evoluzione circense per evitarlo: sarà sufficiente sganciarsi dal muro per vederlo stampare il suo attacco contro la parete. Altro esempio eclatante è il sistema di tiro con l'arco. La maggior parte degli utenti vi si sarà accostato affidandosi alla mira automatica, imprecisa ma sicuramente meno disorientante di quella in soggettiva. In Ninja Gaiden il tiro con l'arco, in perfetta coerenza con tutto il resto, è pratica Zen, affidata all'applicazione della propria sensibilità intuitiva. I paglioni del secondo livello, situati là dove si acquisisce l'equipaggiamento relativo, non sono certo un orpello grafico o un mero sottogioco con cui trastullarsi. Eppure in pochi si fermerebbero ad affrontare una noiosa sezione di allenamento quando dietro l'angolo è in attesa un boss nuovo di zecca. Tuttavia quel boss vi farà rimpiangere di non aver fatto i compiti a casa. Con un po' di pratica ci si accorge di quanto risulti incredibilmente intuitivo sollevare quel pezzo di legno di ciliegio e scoccare una freccia che andrà a segno come risultato della conseguita capacità di indirizzare i dardi dove il giocatore "sente" che colpiranno. È interessante accorgersi di come il concetto di studio della situazione contingente, unito alla padronanza della tecnica, si realizzi in particolar modo nell'affrontare i boss di fine livello. Proprio in questi frangenti la differenza tra il giocatore che ha pienamente compreso questa filosofia e colui che si limita alla classica combo "vado avanti, uccido mostro, finisco gioco, passo ad altro" si manifesta in tutta la sua evidenza. Ripetere per decine di volte il combattimento contro lo stesso boss, nella speranza che la successiva sia quella buona, è una disposizione decisamente contraria a tutto quanto si è detto in merito all'arte del Ninjutsu. Scegliere il momento giusto per applicare la tecnica giusta (niente a che vedere con il trial and error tipico dei titoli più frustranti) è pratica possibile e appagante, in quanto Ninja Gaiden consente sempre una fase di studio del proprio avversario. Affrontare un boss di cui non si conoscono le peculiarità attaccando ciecamente è uno spreco di tempo e fatica, che conduce alla diffusa convinzione che Ninja Gaiden sia un gioco inaccessibile o mal calibrato. È sufficiente fermarsi e studiare l'avversario, il suo modo di muoversi e i suoi attacchi, per accorgersi di quali e quanti siano i limiti della tecnica avversaria. Un discorso a parte merita sicuramente la più discussa peculiarità di Ninja Gaiden, spesso decisiva nel declassarne il giudizio da ‘capolavoro' a ‘capolavoro, ma...': la telecamera. Lungi da me l'intenzione di voler trasformare quello che da molti è considerato un difetto oggettivo in un pregio di game design. Tuttavia, tentiamo ancora una volta di ricondurre un dettaglio al suo contesto. Alla telecamera di Ninja Gaiden molto si è lamentata l'impossibilità di ruotarla liberamente. Capita infatti che il giocatore, nel girare un angolo, si trovi nell'imbarazzo di non venir seguito a dovere dalla visuale, finendo così fra le braccia smaniose di uno o più avversari. Si tratta necessariamente di un difetto? Abbiamo detto che il Ninja mira all'uso completo di tutti i suoi sensi. Dunque anche l'udito. Pensate al primo livello e a tutti le sue curve cieche: ciò che non può essere visto in tempo perché precluso dall'inquadratura può essere captato da un rapido avvicendamento di passi sul legno: tump, tump, tump. E allora ecco che l'acuizione dei sensi, unitamente alla capacità di reagire fulminei ad una minaccia, diventano perfettamente coerenti con il way of reacting tipico del Ninja. Il nemico di un Ninja può essere invisibile, ma non per questo impercettibile o inevitabile. Questo discorso, sempre nell'ambito della telecamera, coinvolge indirettamente anche la vista, tramite un fenomeno forse di difficile percezione, ma che una volta appreso si dimostra come una squisita interpretazione ed implementazione dei più basilari principi del Ninjutsu. Una volta realizzate queste peculiarità, il giocatore ha acquisito la consapevolezza di doversi adattare ad un modo di pensare e reagire tipicamente Ninja, smettendo i panni del burattinaio ai comandi di un alter ego perfettamente addestrato, per accompagnare Hayabusa lungo il sentiero del Ninja.
Streets of L.A.
Qualcuno una volta disse che il vero potere deriva dal nulla, qualcun altro che la tecnica migliore è quella priva di struttura. Potremmo aggiungere un bel "l'ordine deriva dal Caos", ma siamo tutti abbastanza stanchi di citazioni storico/filosofiche. Se siamo arrivati fin qui, a ragione vorremmo distrarci e rilassarci un po': è il momento di Dante. Vero e proprio capostipite del genere "Stylish", Devil May Cry è stato per gli action game una piccola rivoluzione anche se, come sovente accade, rimase vittima di un hype pregresso che ne compromise il pieno apprezzamento del pubblico. Ciò non toglie che fu comunque foriero di una perfetta fusione tra innovazione ludica e stilistica. Tralasciando gli aspetti ludici, Devil May Cry fonda le sue meccaniche su quella che in fondo era la strategia letteraria del primo Jacopo Ortis, quello delle Lettere. Il gesto teatrale. Insomma, la "figata". Contrariamente ai due titoli sin qui analizzati (Onimusha con la sua impostazione formale, composta, quasi rituale, e Ninja Gaiden con la sua necessità di unire lo studio della tecnica alla capacità di adattamento), Devil May Cry è creatività allo stato puro, invenzione subitanea e totalmente al di fuori di schemi precostituiti. Non c'è bisogno di compostezza, applicazione o adattamento; occorre l'intuizione pura e semplice. Dante è il derviscio impazzito, l'apsara indiana (danzatrice sacra, NdA) che celebra il culto della mazzata scevra da ogni vincolo, in grado di esprimersi al massimo delle sue potenzialità solo grazie al contributo totale e votivo del giocatore. Questo è subito evidente nella mancanza di combo precostituite. Dante può "risvegliare" dalle sue potenzialità sopite solo abilità base, attacchi singoli, capacità innate che si realizzano pienamente solo attraverso la loro miscelazione creativa, senza che ci sia alla base né la necessità di studiarne l'esecuzione, né quella di acquisire un'impostazione formale. Esiste solo l'improvvisazione totale nell'estasi della battaglia. Dante solleva uno zombie con un fendente, lo congela a mezz'aria vomitandogli addosso fiumi di proiettili, quindi si accorge di un ‘clic' alle sue spalle che annuncia l'arrivo di un colpo di fucile, spicca il volo per evitare il proiettile e affiancare in aria la sua precedente vittima continuando a riempirla di piombo, infine decide di utilizzarla come trampolino per volteggiare sulla testa del fuciliere vigliacco, e segarlo in due con un fendente verticale. C'è un quale punto di questa azione che non soddisfa? Nessun problema, possiamo decidere di sfruttare lo zombie trampolino per accedere alla balconata ed affrontare gli avversari in attesa, oppure balzare direttamente sullo zombie che si era preso la fucilata dal compagno e finirlo. Niente combo fisse, niente lock on sul nemico più prossimo: assoluta libertà di scelta e di azione, su di un campo di battaglia in cui sta solo al giocatore accorto, ed amante del "bel gesto", sfruttare la propria consapevolezza ed inventiva per creare azioni spettacolari quanto efficaci. Un altro esempio: Shadow, la pantera d'ombra, balza a destra e manca, per poi sostare e prepararsi ad espellere la sua lancia nera. Dante inizia a volteggiare all'indietro, e quando la lancia parte fendendo l'aria... hop, Dante stacca da terra per ritrovarsi in piedi sulla lancia stessa: nessuna fretta, Dante percorre con passo spensierato il tragitto che lo separa dal muso felino, esplodendo borre di pallettoni in equilibrio sulla lancia. Il ghigno sul volto del giocatore artefice di tale prodezza è inevitabile, così come la dipartita del gattone. Stile, coolness, efficacia, creatività, il tutto in funzione della sola spettacolarità dell'azione. Dove in ICO il giocatore è regista e direttore della fotografia del suo viaggio amoroso, in Devil May Cry ne diventa il coreografo marziale, aiutato da comparse opportunamente prive dell'AI degli avversari di Ninja Gaiden. In questo senso si inserisce anche un'altra fondamentale peculiarità di Devil May Cry, che lo distingue nettamente dalle due produzioni già citate e che contribuisce a conferirgli una personalità distintiva: in Devil May Cry manca la parata. Dove Samanosuke o Jubei sono vincolati dal loro codice a mantenere una posizione salda ed inamovibile, e Hayabusa è addirittura in grado di combinare l'efficacia deflettoria della sua arma di turno alla maggiore mobilità, Dante non può fare altro che mettere in risalto la flessuosità, l'agilità del suo corpo. In Onimusha, lo scontro è fatto di lunghe pause di studio e di attesa, dove alla calma della concentrazione sugli avversari segue l'esplosione del Vuoto. In Ninja Gaiden, Hayabusa deve combinare la pausa allo scatto, il salto alla scivolata, la parata alla schivata, dimostrando così, in accordo alla sua filosofia, di "muoversi liberamente tra i regni polari della luce e dell'oscurità", Yin e Yang. In Devil May Cry, Dante è il vento tra le canne, il suo moto non si arresta se non al termine dello scontro. Non può fronteggiare un attacco diretto opponendo una forza uguale e contraria, non può nemmeno deflettere, può soltanto scorrere attraverso i suoi avversari, volteggiando, capriolando, saltando senza soluzioni di continuità, senza respiro alcuno. Creatività e frenesia, fuse in volo pindarico dalle movenze stylish.
Conclusioni
Anche una sedia in picchiata libera sulla propria testa, per quanto non nobilitata dal pregio di un cedro del libano, può essere fonte di riflessione. E dunque, di fronte a tre dei massimi rappresentanti del pestaggio a video, il pensatore non può fare a meno di chiedersi se davvero, dopo aver esaminato le peculiarità distintive di ciascuno, sia possibile decretare la superiorità strutturale dell'uno o dell'altro. Ormai pare che qualunque action game degno di entrare nell'Olimpo della categoria debba necessariamente confrontarsi con gli standard stabiliti dall'acrobatico Hayabusa. Tuttavia, non è detto che un nuovo pretendente al trono debba muovere i suoi passi lungo la via battuta da Ninja Gaiden. In questo senso sono convinto che i titoli fin qui esaminati vantino pari dignità nel loro riproporre con efficacia e coerenza i principi basilari dei diversi modi di intendere il Combattimento che li animano. Non esiste un metodo superiore all'altro, ma solo l'applicazione del metodo migliore nel posto giusto, al momento ideale. Se il capolavoro Tecmo regna indiscusso sull'effimero trono della tecnica, non vi è invece ragione di decretare vincitori o sconfitti in un confronto a tutto tondo fra le tre scuole di combattimento: Onimusha, Ninja Gaiden e Devil May Cry. In attesa, ovviamente, che qualcuno crei un titolo in cui sia possibile ordinare una birra in uno dei peggiori bar di Caracas, stage notoriamente temuto per la maestria con cui gli indigeni scaricano su innocui visitatori il Sacro Colpo della Sedia in Testa. A cura di Xibal
Speciale Il Samurai, il Ninja, il Buzurro
In occasione dell'uscita di Ninja Gaiden su Xbox, ripercorriamo la storia della saga e la popolarità dei samurai nel mondo dei videogames.
Il Samurai, il Ninja, il Buzurro
È opinione diffusa che i videogiochi, al pari di tante altre manifestazioni dell'umano ingegno, siano
soggetti agli effetti dello scorrere del tempo: l' obsolescenza, l'evoluzione,
il perfezionamento. È opinione diffusa tra i (pochi) veri esperti, che le arti
marziali siano pura codificazione formale e didattica di un modo di pensare,
agire ed essere dell'uomo. Questi, grazie alla pratica e al proprio contributo
culturale, può giungere a destrutturare la codifica stessa, riplasmandola senza
stravolgerne l'essenza. Personalmente mi sono più volte domandato, tra il serio
ed il faceto: "ma perché un Iriminage sì...e una sedia di pregiato cedro
libanese in testa no?" Un dilemma forse più utile ad accompagnare l'ennesima
pinta di birra consumata nei peggiori bar di Caracas, che non ad avviare una
riflessione su come lo stesso interrogativo abbia coinvolto un certo tipo di
produzione videoludica. Dall'uscita di sua maestà Ninja Gaiden si fa un gran
parlare di come quest'ultimo abbia stabilito nuovi parametri per intendere il
genere action. Tutto come da copione: il tempo scorre, il campione si evolve e i
rivali devono rassegnarsi all'obsolescenza. Se da un lato è palpabile il
distacco evolutivo imposto da Team Ninja ai diretti concorrenti, è pur vero che
i superati Onimusha e Devil May Cry possono ancora inserirsi, insieme allo
stesso Ninja Gaiden, all'interno di un'analisi che esuli dal valore prettamente
ricreativo dei tre titoli, per sviscerarne quello più squisitamente
marzialfilosofico. Solo così scopriremo perché il mio Iriminage, nonostante il
colpo inferto al mio fegato dall'ultima birra, si sposi perfettamente con quella
sedia che un energumeno sta sollevando sopra la mia testa: tecnica contro
improvvisazione, forma contro creatività, fusi in un complesso dotato di piena
coerenza interna entro il quale detengono pari dignità. Peccato soltanto che nei
peggiori bar di Caracas non sappiano neanche cosa sia, il pregiato Cedro del
Libano...
La storia, la filosofia, i profili
"Nella regione di Kamigata, le donne sono solite intrecciare
cestini di vimini, da portare con sé durante le lunghe passeggiate primaverili,
quando il ciliegio è in fiore. Al ritorno dal passeggio, le donne gettano i
cestini a terra, e li schiacciano sotto il piede. In tutte le cose, è importante
la Fine" (Hagakure, codice Samurai) "L'abilità nel ninjutsu in cui noi ci
applichiamo sarebbe meglio conosciuta come l'arte del vincere. Noi assisteremo
il sincero con la nostra abilità a vincere con lo spirito. I loro sogni
diventano la forza della nostra visione, la quale diviene vibrante intenzione
che prende forma nella mente, e si intesse nella fabbrica della realtà"
(Insegnamento ninja). "Let's rock baby" (...) Il Samurai deriva la sua
concezione di vita dal Bushido, la Via del Guerriero, che presuppone una
dedizione totale al servizio del proprio Signore. Tale dedizione prevede la
necessità della "infallibilità" delle proprie azioni, per ottenere la quale
bisogna intraprendere un cammino di perfezionamento interiore che culmina nella
totale padronanza della Morte. Per questo il samurai si abitua a vivere a
contatto con la Morte, andandole incontro con la stessa indifferenza con cui si
cammina per strada: perché il timore è l'unica condizione che può portare il
Samurai sulla via della titubanza, del dubbio e quindi del fallimento. Lo scopo
non è pensare e ragionare, ma agire in un istante per l'onore del proprio
Signore, senza il quale la vita stessa del Samurai è priva di significato.
Onorare il Signore significa anche condurre una vita onorata. Un atteggiamento
diverso porterebbe al rimorso e alla vergogna; ed il Samurai, per compiere il
suo Dovere, deve prima di tutto essere convinto di sé stesso e dell'onestà dei
propri intendimenti. In assenza di una simile sicurezza, ogni azione perde in
forza e risultato, il terrore della Morte tornerebbe ad affacciarsi alla sua
mente, rendendolo inadeguato al suo ruolo. È esattamente questo il valore del
suicidio rituale (seppuku): un rifiuto, una ostentazione di immunità dal timore
della Morte. Anche nel vergognoso momento della sconfitta, il Samurai non
rinuncia alla propria purezza. I Ninja devono le loro origini alla filosofia dei
monaci erranti, fuggiti dai monasteri cinesi dopo il crollo della dinastia
T'ang nel 900 DC. Tralasciando la genesi storica, potremmo riassumere la
filosofia di vita del Ninja con una frase di Yasuyoshi Fujibayashi, autore del
Basenshukai (10.000 fiumi si riuniscono nel mare), vera enciclopedia del
ninjutsu, il quale afferma: "Per arrivare alla vera essenza dell'arte del Ninja
bisogna cominciare ad eliminare l'inessenziale per raggiungere una condizione
base di purezza spirituale, e arrivare a muoversi liberamente senza esserne
intaccati, tra i regni polari della luce e dell'oscurità, come è richiesto
dallo schema della totalità". Il Ninjutsu non risiede quindi nel semplice
perfezionamento di metodi violenti e distruttivi, ma impone di coltivare
l'armonia personale con l'ambiente circostante, in unione ad una sensibilità
intuitiva che permetta all'uomo di leggere e capire, concordando con lo schema
della totalità permeante l'Universo. In realtà, nonostante le travisazioni
storico/popolari, nessuno come il Ninja era attaccato e fedele agli ideali della
propria famiglia e comunità. Qualora un sovrano misericordioso si trasformasse
in un tiranno, non perderebbe mai i servigi dei suoi Samurai. Questi
continuerebbero a servirlo fedelmente, con dolore. Il Ninja non farebbe
altrettanto, perché, al contrario del Samurai, non concepisce il bene del
proprio Signore come mortificazione del proprio io, ma opera per compiere un
Bene assoluto. Per questo il Ninja non aveva regole d'onore da seguire o
rispettare, egli doveva solo fare in modo che il Destino si compisse o venisse
indirizzato verso la realizzazione del Bene, usando tutti i mezzi a
disposizione. Altro che "Compirò il mio dovere". Nonostante la profonda base
filosofico/culturale, la tradizione Ninja non venne mai accettata dal mondo
giapponese, fondato sul concetto di "do", quelle pratiche di tipo Zen
considerate un mezzo per raggiungere l'illuminazione. Tuttavia suddette
pratiche, soprattutto con l'avvento di periodi di pace, assunsero connotazioni
di formalità e ritualizzazione (sado o rito del tè, kado o recitazione poetica,
oltre ai vari judo, kendo...) che contrastavano culturalmente con il pragmatismo
dell'espressione "fisica" del Ninja, manifestazione diretta della sua visione
mistica del mondo. Al contrario, l'aspetto formale, composto e "rituale" delle
arti Samurai rifletteva non l'aspirazione alla comprensione del mondo, quanto la
volontà di stabilire un ordine proprio, per poi seguirlo abbracciandolo anima e
corpo. Precisiamo infine che il Ninja applicava le tecniche e le manifestazioni
"fisiche" solo dopo aver raggiunto un certo grado di "illuminazione" tramite lo
studio e la meditazione, mentre il Samurai era proprio attraverso la pratica
fisica, formale e rituale, che ambiva a raggiungere l'illuminazione. E
giungiamo così al nostro demoniaco Dante, rappresentante principe di tutto ciò
che si colloca al di fuori della Via, dell'insegnamento, della pratica formale
e perfezionata, e che basa tutto il suo bagaglio di evoluzioni danzanti
sull'istinto e sulla creatività del momento. Questo, se ci pensiamo, non è
affatto poco: svariati stili dall'inflessibile codifica non ambiscono a
nient'altro che a una padronanza tale della tecnica, ma soprattutto a una
consapevolezza tale di sé, da giungere all'obliterazione del nozionismo che ha
contraddistinto il loro cammino di apprendimento, per consegnare il praticante
alla sola esperienza maturata, che attraverso l'imprescindibile rielaborazione
personale è diventata parte integrante del proprio sé. Tuttavia, noi non siamo
certi che Dante abbia mai studiato qualcosa; egli somiglia piuttosto al saggio
che più va lontano e meno impara, e dunque realizza che solo stando fermi, si
guadagni davvero la meta. O forse niente di tutto questo: solo il gusto del
gesto spettacolare, dell'azione sbruffona, della mossa utile ad innescare una
battuta sagace e irriverente. Let's rock, e il resto sono solo parole...
Le
Way of the Samurai Molti, avvicinandosi per la prima volta atecniche, l'interfaccia, le conseguenze ludiche
Onimusha, avranno storto il naso di fronte al sistema di controllo character
relative mutuato da Resident Evil. Tutta colpa della croce digitale si dirà,
assolutamente anacronistica nell'era dei pad analogici. Ma fermi: cerchiamo di
ricordare quanto detto circa il Bushido, e cerchiamo di esaminare il sistema di
controllo di Onimusha alla luce di quanto esposto. La croce consente una libertà
di movimento limitata alle direttrici cardinali (così come, in fondo, il Samurai
dirige le sue azioni lungo le virtù cardinali della Via: Coraggio, Lealtà, Pietà
Filiale, Misericordia). Un simile schema condiziona l'agire del Samurai anche
nelle situazioni di difesa: niente piroette, salti acrobatici, corse sui muri o
piani rialzati raggiunti in un solo balzo. Il nostro fiero Samurai resta con i
piedi ben piantati per terra, fronteggiando l'avversario senza alcuna volontà o
possibilità di alterare subitaneamente il fronte di guardia o di attacco.
Consentire fluidi movimenti diagonali significherebbe allargare quella rosa a
possibilità di azione infinite, evenienza del tutto aliena al modo di agire e
pensare del Samurai. Il Bushido non ammette scappatoie, cosa che precluderebbe
l'onorato confronto con la Morte. In questo senso, si inserisce anche il fulcro
del sistema di attacco/difesa di Onimusha che, si badi bene, non si compone
della sola ordalia di affondi concatenati con cui fiaccare i propri avversari.
Il button mashing è un'opzione consentita ed efficace, ma solo in qualità di
alternativa all'acquisizione della padronanza di ciò che, a conti fatti, è
l'unica capacità combattiva di Samanosuke/Jubei in grado di restituire loro la
piena dignità del Samurai: la contromossa. Solitamente nei videogiochi una
controtecnica scaturisce da un attacco nemico andato a vuoto o parato, che
condanna l'avversario ad un attimo di inerzia psicomotoria. Al contrario, in
Onimusha, la contromossa si configura come l'attacco più vicino alla filosofia
marziale del Kenjutsu, ovvero la manifestazione del Vuoto acquisito dal
guerriero, nella sua ricerca di perfezione. Trattasi di un concetto complesso:
sarebbe in realtà possibile riuscire ad evocarne la "visione", facendo leva
sulla sensibilità intuitiva di chi abbia già compreso che la padronanza di tale
"illuminazione" passa attraverso la sua acquisizione percettiva, non logica. Il
Vuoto si configura in un certo senso come l'autoconsapevolezza che ogni
tecnica, ogni insegnamento o esperienza acquisita, si fondino nella stessa
persona del Samurai, andandone a costituire un bagaglio a cui attingere non
tramite il meccanico richiamo mentale, ma attraverso la capacità di "creare"
un'azione inedita sulla base del patrimonio di azioni del passato in cui esse
sono confluite. Semplificando: il Samurai, da mago col cilindro magico, da cui
sa cosa uscirà e cosa no, si trasforma egli stesso nel cappello da cui estrarre
la reazione opportuna, in maniera naturale e quasi incosciente. È il principio
cosiddetto del "primo colpo", in cui il Samurai investe tutto se stesso. Se il
"primo colpo" è inefficace, non ce ne sarà un secondo. In Onimusha questo
complesso concetto viene rappresentato con grande efficacia proprio dalla
contromossa, dove l'applicazione della stessa, come già detto, non muove da un
affondo andato a vuoto o da una parata, ma principia nel momento stesso in cui
l'avversario apre la sua difesa per portare l'attacco. In quel preciso istante
il Samurai è in grado di fluire come acqua attraverso il colpo nemico. È
interessante notare come in effetti nello scontro tra due Samurai lo studio
reciproco prima di attaccarsi coincida proprio con lo scontro dei rispettivi
Vuoto, da cui uscirà vincitore quello con la consapevolezza maggiore, con la
capacità superiore di indirizzare la propria intuizione e volontà verso la
vittoria, come se in realtà l'esito potenziale si decidesse ancora prima di
realizzarsi fisicamente. Nel titolo Capcom, in effetti, l'attuazione della
contromossa prevede che il giocatore impari a "sintonizzarsi" col ritmo del
nemico, studiandone preventivamente i tempi di attacco, i movimenti, le
reazioni. Solo dopo questo studio, applicato ad ogni avversario dotato di tempi
e modi differenti, il Samurai di Onimusha sarà in grado persino di colpire con
la stessa contromossa più avversari contemporaneamente, semplicemente entrando
in sintonia col ritmo del combattimento stesso, dato dalla fusione dei movimenti
e delle "intenzioni" di tutti i partecipanti allo scontro. I Sette Samurai, di
Akira Kurosawa, contiene forse la più ficcante esemplificazione extra-ludica di
questo concetto. Il Samurai Kyuzo, ammirato dai suoi compagni per la rigorosa
concentrazione e per l'estrema perfezione formale, dimostra le sue doti
all'incuriosito Kambei sbarazzandosi di un aggressore proprio grazie ad una
fulminea, istintiva e letale contromossa. Lo scontro in questione, peraltro, è
preceduto da una fase di stallo durante la quale l'aggressore tenta di rendersi
minaccioso mediante grida e provocazioni, mentre Kyuzo rimane silenzioso e
immobile, concentrato sull'essenza del combattimento imminente. Molti giocatori
non se ne saranno accorti, ma si tratta di una peculiarità fondamentale di
Onimusha, che durante lo svolgimento dell'avventura consente di perfezionare la
propria capacità combattiva, acquisendo molto di più che la semplice padronanza
di tecniche o sequenze di tasti, giungendo a cogliere l'essenza di uno scontro
nell'attimo in cui l'intuizione sensibile esplode in seguito all'avvenuta
sintonizzazione sul nemico. E allora non si tratta più, come spesso accade per
altri action game, di tentare questa o quell'altra tecnica: nel momento in cui
si agisce, si ha quasi la certezza che accadrà quanto prefigurato. Nei livelli
più avanzati ci si ritrova così circondati da stuoli di avversari con i quali si
riesce a orchestrare una sorta di armonia, grazie alla quale il giocatore
"sensibile" sarà in grado di abbattere come bambù al vento anche tre o quattro
avversari con un solo attacco, ricavando così non solo la soddisfazione di
assistere al concretizzarsi di uno sforzo di comprensione di una certa
meccanica, ma anche l'appagamento per la riuscita assimilazione di una così
fedele trasposizione della filosofia dell'arte della spada, come teorizzata e
messa in pratica dallo stesso Musashi. Onimusha, con la sua interfaccia tanto
limitata nelle possibilità di movimento quanto il codice Samurai in quelle
d'azione e pensiero, e con le sue meccaniche di combattimento così facilmente
travisabili ad un approccio superficiale, custodisce in sé le ragioni di questa
affascinante lettura.
The Path of
Anche Ninja Gaiden, al pari di Onimusha, vanta deiNinja
contenuti che riflettono la filosofia da cui prende nome. Innanzitutto il
controllo del personaggio: potrà sembrare banale, ma al contrario di una croce
direzionale di dispone del cerchio analogico, con conseguenti illimitate
possibilità di movimento. Ryo Hayabusa, in quanto Ninja, è in accordo con i
dettami della sua filosofia di vita, sintetizzati dalle parole di Yasuyoshi
Fujibayashi più sopra riportate. Al contrario del Samurai, che mirava ad
ottenere la perfezione assoluta di ogni gesto della vita quotidiana, dall'arte
della spada fino al rituale del tè o nel rapporto con i suoi superiori, il Ninja
seguiva una Via che potremmo definire uguale e contraria, in quanto suo scopo
principe era quello di perfezionare anzitutto lo spirito e la comunione con
l'universo, da cui poi sarebbe derivata la perfezione del suo agire. Per
ottenere questo risultato il Ninja doveva applicarsi in uno studio non formale,
come quello Samurai, bensì volto all'acquisizione di tecniche e pratiche
esoteriche capaci di elevare la sua condizione spirituale. Lo studio come
viaggio iniziatico. Ed ecco Ninja Gaiden con il suo corredo di tecniche
codificate in complesse sequenze di tasti, la cui esecuzione risulta complicata
dalla reattiva AI degli avversari ma agevolata da un sistema di controllo
impeccabile. Lo studio di queste tecniche non è fine a se stesso: non esiste una
tecnica superiore alle altre, persino il Flying Swallow, una sorta di jolly,
secondo molti, al termine della sua esecuzione comporta dei lunghi tempi di
recupero durante i quali si rimane in balia degli avversari. Lo stesso vale per
il Guillottine Throw, o per la stessa esecuzione dei colpi speciali. È qui che
entra in gioco la componente "umana" del Ninja, la sua personalissima
rielaborazione interiore delle tecniche, che guadagnano efficacia solo qualora
eseguite in accordo alla propria intuizione sensibile. In opposizione al rigido
formalismo dei Samurai, il Ninjutsu incoraggiava lo sviluppo della personalità:
ogni discepolo era e doveva essere diverso dagli altri, al fine di favorire la
nascita di individui capaci di una superiore comprensione dell'universo e,
quindi, in grado di diventare a loro volta maestri per altri Ninja. Nonostante
la componente predefinita delle tecniche, codificate in sequenze di pressioni di
tasti e levette, Ninja Gaiden prevede e consente lo sviluppo di una personale
reattività creativa che si traduce nella sbrigliata manipolazione di ogni
situazione di battaglia. "La tecnica è uguale per tutti, la sua applicazione
no". Il Ninjutsu procede attraverso uno studio formale finalizzato al
conseguimento di una visione personale, seguendo il proprio intuito e la propria
percezione. Così un kunai esplosivo, una parete e quattro avversari indiavolati,
costituiscono uno stimolo per l'esplosione della creatività del giocatore: il
kunai si pianta sull'avversario più vicino, mentre Ryo, arrampicandosi sulla
parete, favorisce l'assembramento degli avversari. L'esplosione del kunai
investe i nemici mentre Ryo volteggia a mezz'aria; prima che si rialzino, Ryo
Hayabusa sarà già atterrato e pronto a sferrare una spazzata che concluderà il
lavoro dell'esplosione precedente. E ancora: quanti di noi hanno trovato
pressoché inutile la possibilità di restare appesi per qualche secondo ad una
parete verticale, come l'ultimo fantozziano passeggero dell'autobus delle
7.30? Eppure questa semplice azione, in sede di ritirata, non fa altro che
invitare l'avversario di turno ad attaccare nella nostra direzione, al che non
ci sarà bisogno di alcuna evoluzione circense per evitarlo: sarà sufficiente
sganciarsi dal muro per vederlo stampare il suo attacco contro la parete. Altro
esempio eclatante è il sistema di tiro con l'arco. La maggior parte degli
utenti vi si sarà accostato affidandosi alla mira automatica, imprecisa ma
sicuramente meno disorientante di quella in soggettiva. In Ninja Gaiden il tiro
con l'arco, in perfetta coerenza con tutto il resto, è pratica Zen, affidata
all'applicazione della propria sensibilità intuitiva. I paglioni del secondo
livello, situati là dove si acquisisce l'equipaggiamento relativo, non sono
certo un orpello grafico o un mero sottogioco con cui trastullarsi. Eppure in
pochi si fermerebbero ad affrontare una noiosa sezione di allenamento quando
dietro l'angolo è in attesa un boss nuovo di zecca. Tuttavia quel boss vi farà
rimpiangere di non aver fatto i compiti a casa. Con un po' di pratica ci si
accorge di quanto risulti incredibilmente intuitivo sollevare quel pezzo di
legno di ciliegio e scoccare una freccia che andrà a segno come risultato della
conseguita capacità di indirizzare i dardi dove il giocatore "sente" che
colpiranno. È interessante accorgersi di come il concetto di studio della
situazione contingente, unito alla padronanza della tecnica, si realizzi in
particolar modo nell'affrontare i boss di fine livello. Proprio in questi
frangenti la differenza tra il giocatore che ha pienamente compreso questa
filosofia e colui che si limita alla classica combo "vado avanti, uccido mostro,
finisco gioco, passo ad altro" si manifesta in tutta la sua evidenza. Ripetere
per decine di volte il combattimento contro lo stesso boss, nella speranza che
la successiva sia quella buona, è una disposizione decisamente contraria a tutto
quanto si è detto in merito all'arte del Ninjutsu. Scegliere il momento giusto
per applicare la tecnica giusta (niente a che vedere con il trial and error
tipico dei titoli più frustranti) è pratica possibile e appagante, in quanto
Ninja Gaiden consente sempre una fase di studio del proprio avversario.
Affrontare un boss di cui non si conoscono le peculiarità attaccando ciecamente
è uno spreco di tempo e fatica, che conduce alla diffusa convinzione che Ninja
Gaiden sia un gioco inaccessibile o mal calibrato. È sufficiente fermarsi e
studiare l'avversario, il suo modo di muoversi e i suoi attacchi, per
accorgersi di quali e quanti siano i limiti della tecnica avversaria. Un
discorso a parte merita sicuramente la più discussa peculiarità di Ninja Gaiden,
spesso decisiva nel declassarne il giudizio da ‘capolavoro' a ‘capolavoro, ma...':
la telecamera. Lungi da me l'intenzione di voler trasformare quello che da molti
è considerato un difetto oggettivo in un pregio di game design. Tuttavia,
tentiamo ancora una volta di ricondurre un dettaglio al suo contesto. Alla
telecamera di Ninja Gaiden molto si è lamentata l'impossibilità di ruotarla
liberamente. Capita infatti che il giocatore, nel girare un angolo, si trovi
nell'imbarazzo di non venir seguito a dovere dalla visuale, finendo così fra le
braccia smaniose di uno o più avversari. Si tratta necessariamente di un
difetto? Abbiamo detto che il Ninja mira all'uso completo di tutti i suoi sensi.
Dunque anche l'udito. Pensate al primo livello e a tutti le sue curve cieche:
ciò che non può essere visto in tempo perché precluso dall'inquadratura può
essere captato da un rapido avvicendamento di passi sul legno: tump, tump, tump.
E allora ecco che l'acuizione dei sensi, unitamente alla capacità di reagire
fulminei ad una minaccia, diventano perfettamente coerenti con il way of
reacting tipico del Ninja. Il nemico di un Ninja può essere invisibile, ma non
per questo impercettibile o inevitabile. Questo discorso, sempre nell'ambito
della telecamera, coinvolge indirettamente anche la vista, tramite un fenomeno
forse di difficile percezione, ma che una volta appreso si dimostra come una
squisita interpretazione ed implementazione dei più basilari principi del
Ninjutsu. Una volta realizzate queste peculiarità, il giocatore ha acquisito la
consapevolezza di doversi adattare ad un modo di pensare e reagire tipicamente
Ninja, smettendo i panni del burattinaio ai comandi di un alter ego
perfettamente addestrato, per accompagnare Hayabusa lungo il sentiero del Ninja.
Streets of L.A.
Qualcuno una volta disse che il vero potere deriva dal nulla,
qualcun altro che la tecnica migliore è quella priva di struttura. Potremmo
aggiungere un bel "l'ordine deriva dal Caos", ma siamo tutti abbastanza stanchi
di citazioni storico/filosofiche. Se siamo arrivati fin qui, a ragione vorremmo
distrarci e rilassarci un po': è il momento di Dante. Vero e proprio
capostipite del genere "Stylish", Devil May Cry è stato per gli action game una
piccola rivoluzione anche se, come sovente accade, rimase vittima di un hype
pregresso che ne compromise il pieno apprezzamento del pubblico. Ciò non toglie
che fu comunque foriero di una perfetta fusione tra innovazione ludica e
stilistica. Tralasciando gli aspetti ludici, Devil May Cry fonda le sue
meccaniche su quella che in fondo era la strategia letteraria del primo Jacopo
Ortis, quello delle Lettere. Il gesto teatrale. Insomma, la "figata".
Contrariamente ai due titoli sin qui analizzati (Onimusha con la sua
impostazione formale, composta, quasi rituale, e Ninja Gaiden con la sua
necessità di unire lo studio della tecnica alla capacità di adattamento), Devil
May Cry è creatività allo stato puro, invenzione subitanea e totalmente al di
fuori di schemi precostituiti. Non c'è bisogno di compostezza, applicazione o
adattamento; occorre l'intuizione pura e semplice. Dante è il derviscio
impazzito, l'apsara indiana (danzatrice sacra, NdA) che celebra il culto della
mazzata scevra da ogni vincolo, in grado di esprimersi al massimo delle sue
potenzialità solo grazie al contributo totale e votivo del giocatore. Questo è
subito evidente nella mancanza di combo precostituite. Dante può "risvegliare"
dalle sue potenzialità sopite solo abilità base, attacchi singoli, capacità
innate che si realizzano pienamente solo attraverso la loro miscelazione
creativa, senza che ci sia alla base né la necessità di studiarne l'esecuzione,
né quella di acquisire un'impostazione formale. Esiste solo l'improvvisazione
totale nell'estasi della battaglia. Dante solleva uno zombie con un fendente, lo
congela a mezz'aria vomitandogli addosso fiumi di proiettili, quindi si accorge
di un ‘clic' alle sue spalle che annuncia l'arrivo di un colpo di fucile, spicca
il volo per evitare il proiettile e affiancare in aria la sua precedente vittima
continuando a riempirla di piombo, infine decide di utilizzarla come trampolino
per volteggiare sulla testa del fuciliere vigliacco, e segarlo in due con un
fendente verticale. C'è un quale punto di questa azione che non soddisfa?
Nessun problema, possiamo decidere di sfruttare lo zombie trampolino per
accedere alla balconata ed affrontare gli avversari in attesa, oppure balzare
direttamente sullo zombie che si era preso la fucilata dal compagno e finirlo.
Niente combo fisse, niente lock on sul nemico più prossimo: assoluta libertà di
scelta e di azione, su di un campo di battaglia in cui sta solo al giocatore
accorto, ed amante del "bel gesto", sfruttare la propria consapevolezza ed
inventiva per creare azioni spettacolari quanto efficaci. Un altro esempio:
Shadow, la pantera d'ombra, balza a destra e manca, per poi sostare e
prepararsi ad espellere la sua lancia nera. Dante inizia a volteggiare
all'indietro, e quando la lancia parte fendendo l'aria... hop, Dante stacca da
terra per ritrovarsi in piedi sulla lancia stessa: nessuna fretta, Dante
percorre con passo spensierato il tragitto che lo separa dal muso felino,
esplodendo borre di pallettoni in equilibrio sulla lancia. Il ghigno sul volto
del giocatore artefice di tale prodezza è inevitabile, così come la dipartita
del gattone. Stile, coolness, efficacia, creatività, il tutto in funzione della
sola spettacolarità dell'azione. Dove in ICO il giocatore è regista e direttore
della fotografia del suo viaggio amoroso, in Devil May Cry ne diventa il
coreografo marziale, aiutato da comparse opportunamente prive dell'AI degli
avversari di Ninja Gaiden. In questo senso si inserisce anche un'altra
fondamentale peculiarità di Devil May Cry, che lo distingue nettamente dalle due
produzioni già citate e che contribuisce a conferirgli una personalità
distintiva: in Devil May Cry manca la parata. Dove Samanosuke o Jubei sono
vincolati dal loro codice a mantenere una posizione salda ed inamovibile, e
Hayabusa è addirittura in grado di combinare l'efficacia deflettoria della sua
arma di turno alla maggiore mobilità, Dante non può fare altro che mettere in
risalto la flessuosità, l'agilità del suo corpo. In Onimusha, lo scontro è
fatto di lunghe pause di studio e di attesa, dove alla calma della
concentrazione sugli avversari segue l'esplosione del Vuoto. In Ninja Gaiden,
Hayabusa deve combinare la pausa allo scatto, il salto alla scivolata, la parata
alla schivata, dimostrando così, in accordo alla sua filosofia, di "muoversi
liberamente tra i regni polari della luce e dell'oscurità", Yin e Yang. In
Devil May Cry, Dante è il vento tra le canne, il suo moto non si arresta se non
al termine dello scontro. Non può fronteggiare un attacco diretto opponendo una
forza uguale e contraria, non può nemmeno deflettere, può soltanto scorrere
attraverso i suoi avversari, volteggiando, capriolando, saltando senza soluzioni
di continuità, senza respiro alcuno. Creatività e frenesia, fuse in volo
pindarico dalle movenze stylish.
Conclusioni
Anche una sedia in picchiata libera sulla
propria testa, per quanto non nobilitata dal pregio di un cedro del libano, può
essere fonte di riflessione. E dunque, di fronte a tre dei massimi
rappresentanti del pestaggio a video, il pensatore non può fare a meno di
chiedersi se davvero, dopo aver esaminato le peculiarità distintive di ciascuno,
sia possibile decretare la superiorità strutturale dell'uno o dell'altro.
Ormai pare che qualunque action game degno di entrare nell'Olimpo della
categoria debba necessariamente confrontarsi con gli standard stabiliti
dall'acrobatico Hayabusa. Tuttavia, non è detto che un nuovo pretendente al
trono debba muovere i suoi passi lungo la via battuta da Ninja Gaiden. In questo
senso sono convinto che i titoli fin qui esaminati vantino pari dignità nel loro
riproporre con efficacia e coerenza i principi basilari dei diversi modi di
intendere il Combattimento che li animano. Non esiste un metodo superiore
all'altro, ma solo l'applicazione del metodo migliore nel posto giusto, al
momento ideale. Se il capolavoro Tecmo regna indiscusso sull'effimero trono
della tecnica, non vi è invece ragione di decretare vincitori o sconfitti in un
confronto a tutto tondo fra le tre scuole di combattimento: Onimusha, Ninja
Gaiden e Devil May Cry. In attesa, ovviamente, che qualcuno crei un titolo in
cui sia possibile ordinare una birra in uno dei peggiori bar di Caracas, stage
notoriamente temuto per la maestria con cui gli indigeni scaricano su innocui
visitatori il Sacro Colpo della Sedia in Testa. A cura di Xibal
Quanto attendi: Ninja Gaiden
Hype totali: 6
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