In & Out: Videogiochi e Violenza

La nostra rubrica in & out, parliamo di videogiochi e violenza

In & Out: Videogiochi e Violenza
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Ed ecco arrivare su Everyeye una nuova rubrica, "IN&OUT: Nel videogioco ed oltre", sezione che si occuperà nei prossimi mesi di affrontare l'interrelazione che da diversi anni si è creata (e si sta tuttora creando) tra i videogiochi e la nostra realtà. Molti i temi che verranno trattati e che cercheranno di toccare i vari campi in cui si creano dei punti di contatto tra i prodotti ludici digitali ed il nostro quotidiano. Senza perdere altro tempo passiamo direttamente all'articolo inaugurale, che prende spunto da un pensiero anonimo trovato casualmente su un newsgroup. A voi l'arduo compito di giudicare se le motivazioni da noi apportate a sostenimento delle nostre idee risulteranno corrette e coerenti. L'invito finale è sempre quello di scriverci al nostro indirizzo di posta elettronica, per esprimere consensi e/o dissensi, o più semplicemente per suggerirci una prospettiva diversa da cui vedere un argomento o una situazione.

Videogiochi e Violenza

Io divido il mondo in gente che capisce e gente che non capisce. Chi toglie Resident Evil 2 dagli scaffali perché istiga i bimbi alla strage non ha capito, non capisce e non capirà mai un poderoso cazzo"

Possono i videogiochi influire pesantemente sulla realtà? Possono indurre alla violenza? Tema, questo, trito e ritrito, ma che con una certa frequenza torna alla carica grazie ad un esiguo manipolo di martiri votati alla denuncia del male videoludico. La storia dei videogiochi è piena di situazioni in cui fatti da prima pagina sono stati associati alla fruizione di un particolare videogame. Si potrebbe, ad esempio, andare a ritroso di qualche anno fino al giorno in cui Michael Carneal e due suoi amici irruppero nel proprio istituto scolastico armati di tutto punto e facendo fuoco sui propri compagni. Fu una vera strage e l'America cadde nel lutto. Nell'indagare sulla vita dei tre ragazzi gli investigatori scoprirono che, come quasi tutti i teenager, questi facevano uso di videogiochi. Sul banco degli imputati finirono, tra i tanti, Doom, Resident Evil e Final Fantasy VII, ritenuti una delle cause principali di quell'atto terribile e indiscutibilmente fuori dalla portata di una mente sana. Che poi i ragazzi in questione avessero a che fare con il satanismo e fruissero regolarmente di droghe sembrò passare in secondo piano.
E invece di domandarsi come avevano fatto i tre teenager a procurarsi un fucile a canne mozze, agli inquirenti sembrò molto più logico e normale ricercare le cause principali nei videogiochi. Senza voler difendere la nostra passione per l'intrattenimento digitale, ci domandiamo una cosa: se Carneal avesse frequentato un corso di pittura, sarebbe stato logico ritrovare in quel corso uno dei fattori scatenanti di un gesto folle? Mi spiego meglio. La vita dei ragazzi, dall'età adolescenziale in poi, è schematizzabile attraverso alcuni modelli comportamentali di massima che, se presi in senso lato, differiscono lievemente l'uno dall'altro. Ad esempio la maggior parte degli adolescenti va a scuola. Molti partecipano più o meno attivamente ad attività extrascolastiche. Quasi tutti sono appassionati di qualche sport, calcio in primis. E quasi tutti fanno un uso più o meno regolare di videogiochi. Ma quanti di questi vanno in giro intenzionati a spezzare una vita qualora ne avessero la possibilità?

La crescita di ogni essere umano è plasmata da tutta una serie di input che inevitabilmente ne caratterizzeranno l'intera esistenza. Nel bene e nel male! La mente di un bambino è una vera e propria spugna, pronta ad assorbire qualunque informazione, recepirla per poi catalogarla e rielaborarla. Questo è un processo inscindibile dalla psiche umana, ed è ancor più accentuato nella prima fase della vita, quella che va grossomodo dalla nascita al periodo adolescenziale. In questi anni si formano il carattere e la personalità di un ragazzo, elementi che vengono costruiti dalla psiche sulla scorta di una serie di informazioni acquisite ed unite alla naturale inclinazione della mente del soggetto, fattore profondamente genetico. Questi elementi vanno via via forgiandosi non solo in base ai dati che "l'esperienza" fino a quel momento acquisita ci permette di immagazzinare; un ruolo sostanziale è giocato proprio dalla rielaborazione di questi dati e dalla loro reiterazione, un processo progressivamente cognitivo alla cui base vi è l'educazione, che non è solo disciplina ma è anche un giusto e sano addestramento morale che i tutori legali (genitori o chi per loro) dovrebbero impartire. Una persona dalla mente sana, e con una buona educazione alle spalle, riesce a distinguere in maniera netta i contorni di ciò che è giusto da quello che non lo è. L'istinto umano tende di norma a preservare la vita, non ad annientarla. A meno che, nel processo di cui sopra, qualcosa non sia andato per il verso giusto. Ma anche quando l'educazione non segue un iter perfettamente ideale (praticamente quasi mai) nella mente della maggior parte dei soggetti prevale una sorta di codice, impresso nel DNA, atto a suggerire alla nostra coscienza, in linea di massima, ciò che potrebbe essere gravemente sbagliato. Questa caratteristica umana non prescinde dal diritto di un ragazzo di essere educato, laddove per educazione intendiamo un insegnamento mirato a formare la coscienza di un individuo nel pieno rispetto di quei principi umanamente considerati inviolabili, la preservazione della vita sopra ogni cosa. Sulla scorta di quanto detto, è plausibile ipotizzare che un videogioco dai contenuti violenti abbia una certa influenza su menti relativamente giovani. Ma più che immaginare questo tipo di influenza come un aperto incoraggiamento ad emulare quanto visto su monitor, in realtà si dovrebbe considerare quali aspetti della mente umana vengano chiamati in causa. Tornando più propriamente all'origine dell'articolo, prendiamo l'esempio di Resident Evil. Il motivo principale per cui sulla confezione compaia una fascia di età consigliata per la fruizione del titolo è facilmente comprensibile. Le paure di un individuo giovanissimo sono facilmente suggestionabili in quanto la sua psiche non ha ancora "maturato" una differenziazione tra ciò che potrebbe essere vero e ciò che non lo è. Uno Zombie di Resident Evil potrebbe pertanto generare un senso di timore nel bambino, in quanto la sua mente non ha acquisito l'esperienza necessaria, non per comprendere, ma per metabolizzare che quanto visto su schermo è in realtà un evento fittizio, che non può ripercuotersi nella nostra realtà. Quindi il ragazzo non viene incoraggiato dal gioco al pluriomicidio, in realtà ne potrebbe subirebbe gli effetti intimidatori, con l'aumentare di quelle paure classiche fino ad una certa età (paura del buio, timore di restare da soli e via dicendo). La cognizione della "sacralità" della vita viene solitamente acquisita e metabolizzata entro il decimo anno di vita, e da ancor prima i genitori cercano di trasmetterne il senso proprio con la loro guida. Un'altra questione da considerare è poi che, in giochi come Doom o Resident Evil, i nemici sono solitamente non umani, dei mostri digitali da cui difendersi, non degli esseri innocenti che pensano bellamente ai fatti propri, ignari della follia omicida insita nell'alter ego virtuale di un pargolo assetato di sangue. Certo, è vero, vi sono alcuni titoli che non fanno troppa differenziazione in merito (qualcuno potrebbe giustamente citare GTA3), ma questi sono solitamente dedicati ad un'utenza teoricamente più matura e pertanto capace di trascendere gli ambiti reali da quelli virtuali. Mentre non condivido l'idea che la violenza contenuta in Resindet Evil possa strumentalizzare la mente di un ragazzino per indurlo all'emulazione nel reale, sono invece convinto che giochi come GTA3 potrebbero essere deleteri nell'educazione fino ad una certa età. Come già detto, un gioco dai contenuti Horror può tutt'al più generare timore, questione più che sufficiente per vietare la vendita di un pacchetto ludico al di sotto di una fascia di età specifica. In ogni caso un ruolo di primaria importanza torna ad essere giocato dai genitori (o tutori che siano) che hanno il dovere di effettuare una cernita di ciò che può essere giocato dal proprio figlio, nello stesso modo in cui impedirebbero a quest'ultimo di visionare del materiale pornografico. Il discorso viene progressivamente a decadere per quanto riguarda quella fascia d'utenza anagraficamente adatta alla fruizione di un determinato tipo di contenuti. Si presuppone infatti che la maturità media da una certa età in poi sia tale da permettere che i videogame esercitino un ascendente sul proprio ego limitatamente al tempo in cui si svolge l'esperienza ludica, ponendo quindi dei chiari confini tra finzione e realtà. Ed infatti la maggior parte del pubblico adulto non teme che uno zombie possa saltar improvvisamente fuori dalla porta della propria stanza. Pertanto la maturità decreta una cognizione relativamente oggettiva rispetto al soggettivo senso della realtà. Casi come quello di Michael Carneal sono degli esempi limite di cosa può fare una mente insana. Ma più che ricercare le cause nei videogiochi, queste andrebbero sviscerate nella situazione familiare di un soggetto, nell'interesse o meno mostrato dalla sua famiglia, nell'eventuale violenza dimostratagli dai genitori, nella sua effettiva capacità di relazionarsi con gli altri e nelle sue capacità cognitive. E ancora: le sue abitudini, se prima di un atto del genere aveva dato segni di sorta di una situazione psico - emotiva deleteria e via dicendo. Il mio pensiero torna sempre alle stesse domande: conta di più il fatto che Michael giocasse a Resident Evil o che condividesse concetti propri del satanismo? Come è stata la sua crescita? Dove ha potuto procurarsi un fucile a canne mozze?

L'educazione impartita, e le modalità con cui viene impartita, giocano un ruolo altamente incidente nella vita di un individuo. Sfortunatamente le statistiche parlano chiaro. Basti pensare al tempo medio quotidiano che i genitori americani dedicano alla cura delle necessità emotive dei figli, in media sette minuti al giorno. Un quantità indiscutibilmente irrisoria per poter interagire con successo ai fini di un educazione più o meno buona. Stupisce quindi che davanti a situazioni limite, alcuni psicologi cerchino dei nessi relativamente forzati tra la filosofia di un gesto gravemente folle ed un videogame. Quindi invece di imputare a Tekken 4 il furto di una caramella da parte di un bambino, si cerchi di comprendere se e quanto questi abbia capito l'erroneità del gesto. Voglio farvi un ulteriore esempio. Un noto e quotato psicologo della mia zona non ha nulla in contrario al fatto che bambini e adolescenti dedichino una quantità di tempo equilibrata alla fruizione di videogiochi. Anzi, considera il videogame uno strumento potente, capace di stimolare l'apprendimento dei ragazzi grazie alla costante interazione necessaria per fruirne. Piuttosto che passare un pomeriggio uggioso davanti alla televisione e "subire" passivamente i vari palinsesti, il dottore in questione è fortemente convinto della validità dell'azione mentale che un pacchetto ludico riesce a stimolare. Il tutto naturalmente subordinato ad un giusto equilibrio e nel rispetto delle fasce di età consigliate sulla scatola di un software, fattori direttamente dipendenti dalla supervisione di un genitore o di un "delegato" (ad esempio un fratello maggiore). Al di la di questo, come abbondantemente dichiarato in precedenza, diversi giochi non sono consigliati ad un pubblico particolarmente giovane non perché potrebbero oggettivamente indurre ad una folle violenza, ma perchè potrebbero suggestionarne ed alimentarne i timori. Pertanto dire che Resident Evil 2 sia uno strumento oggettivo di induzione alla violenza è ideologicamente scorretto e privo di una solida base. Dire invece che potrebbe spaventare oltremodo un pargolo di sei o sette anni è più corretto e coerente, con un discorso improntato proprio sulla psicologia degli individui più giovani. Potremmo continuare a parlarne per ore ma il nodo continuerebbe a tornare al pettine con pragmatica puntualità, mettendo in evidenza i punti deboli di una serie di idee psico - filosofiche che mi spingono in ultima analisi a condividere la frase riportata in apertura di articolo. Chi toglie Resident Evil 2 dagli scaffali perché istiga i bimbi alla strage non ha capito, non capisce e non capirà mai niente.