Kingdom Come Deliverance: l'avventura semi-seria di Enrico di Boemia
L'epica cavalleresca di Kingdom Come: Deliverance ci ha ispirati nella composizione di un poemetto in ottave che racconti la vicenda di Enrico di Boemia.
Nel poemetto che Arace dedica all'ascesa cavalleresca del giovane Enrico di Boemia è facile trovare reminiscenze del ciclo carolingio e della materia di Bretagna. Anche se, in questo caso, l'impasto che solitamente mescolava racconti d'avventura, di magia e d'amore vira bruscamente in direzione del realismo, eliminando d'un colpo l'elemento prodigioso per concentrarsi su una dimensione più terrena, laica e folcloristica. Verrebbe quasi da mettere in diretta connessione il poemetto dell'Arace, più che con le Chansons de Geste di Carlo Magno e dei paladini francesi, con l'opera - più tarda - dell'Ariosto, che nel suo Orlando Furioso racconta appunto le furie amorose dell'eroe bretone. È un diverso tipo di amore, tuttavia, quello che anima il nostro Enrico: un amore terreno (o terricolo?), profano, incarnato dalle vigorose ragazze dei bagni e dalla formosa Teresa. Eppure è proprio questo sentimento che resta il primo motore delle gesta, epiche e al contempo farsesche, narrate dagli endecasillabi (tutti meravigliosamente piani, con accenti di quarta e sesta), in un componimento che assomiglia ad un rutilante simulatore di vita medievale.
Prefazione a cura di Francesco Fossetti
L'Enrico Sfortunato (Le avventure semi-serie di Enrico il boemo)
Kingdom Come Deliverance: l'avventura semi-seria di Enrico di Boemia
L'epica cavalleresca di Kingdom Come: Deliverance ci ha ispirati nella composizione di un poemetto in ottave che racconti la vicenda di Enrico di Boemia.
Nel poemetto che Arace dedica all'ascesa cavalleresca del giovane Enrico di Boemia è facile trovare reminiscenze del ciclo carolingio e della materia di Bretagna. Anche se, in questo caso, l'impasto che solitamente mescolava racconti d'avventura, di magia e d'amore vira bruscamente in direzione del realismo, eliminando d'un colpo l'elemento prodigioso per concentrarsi su una dimensione più terrena, laica e folcloristica.
Verrebbe quasi da mettere in diretta connessione il poemetto dell'Arace, più che con le Chansons de Geste di Carlo Magno e dei paladini francesi, con l'opera - più tarda - dell'Ariosto, che nel suo Orlando Furioso racconta appunto le furie amorose dell'eroe bretone. È un diverso tipo di amore, tuttavia, quello che anima il nostro Enrico: un amore terreno (o terricolo?), profano, incarnato dalle vigorose ragazze dei bagni e dalla formosa Teresa. Eppure è proprio questo sentimento che resta il primo motore delle gesta, epiche e al contempo farsesche, narrate dagli endecasillabi (tutti meravigliosamente piani, con accenti di quarta e sesta), in un componimento che assomiglia ad un rutilante simulatore di vita medievale.
Prefazione a cura di Francesco Fossetti
L'Enrico Sfortunato (Le avventure semi-serie di Enrico il boemo)
I
Canto d'arme, d'amor e meretrici,
di fabbri che si fecer cavalieri,
d'epoche buie e di giorni felici,
di nobili atti e d'altri poco seri,
d'una storia che affonda le radici
nella terra contesa dai poteri
di Venceslao ch'era ‘l re del mondo
e del suo fratellastro Sigismondo.
II
Narro le gesta d'Enrico di Boemia
ch'arse d'amor per la bella Teresa
e fuggì a lungo da una vita astemia.
Col giocatore creò grand'intesa
intr'a quel gioco ove calma si premia.
Nella sua prima e roboante impresa
da prode cavalier scagliò letame
sulla dimora d'un tedesco infame.
III
Al suo villaggio viveva allegrotto
con in testa soltanto ‘l fondoschiena
di Teresa, e di birra un barilotto,
col qual placar la sua sete oscena.
Di tale accidia poi pagò lo scotto
e disse addio alla sua vita amena
quando tentò di fermare, ma invano,
l'arrivo del barbarico cumano.
IV
Corse al galoppo lontano dal nido:
mentre il nemico feroce incombeva,
lo colse un dardo. E non fu di Cupido.
Sotto al suo sguardo la gente cadeva:
a ciascun morto si levava un grido
e ogni speranza in lui s'estingueva.
Sentì nel ventre montare una rabbia
com'una belva ch'è tenuta in gabbia.
V
Senza denaro e pregno d'umiltà,
tutto l'opposto d'un signor abbiente,
vagava Enrico implorando pietà.
Ma l'unica risposta fu "pezzente!"
da chi ansimar lo vedeva in città,
lercio, ferito, zoppo e puzzolente.
Decise allor di divenir ladrone
mandando in vacca senno e religione.
VI
Mosso dal desiderio di ricchezze
e armato di sottili grimaldelli
compì diversi furti e nefandezze.
Di giorno bazzicava nei bordelli
per cercar tante docili carezze
ma finiva prigioniero di duelli
dove a parlar eran calci e cazzotti,
lividi e schiaffi, mani e denti rotti.
VII
Dopo una notte passata all'addiaccio
vide dei bagni che parevan fogna
pieni di donne dal grosso avambraccio
pronte a donar quel ch'ognuno abbisogna.
Ma appropinquandosi udì un campanaccio,
e anch'una voce ch'urlava "vergogna!".
Sulla croce, così, giurò solenne
di partir verso la gloria perenne.
VIII
Brandì adunque una spada luccicante
ma non sapeva, ahimè, tirar di scherma
né possedeva un fisico prestante.
Quando colpiva con la man malferma
veniva giù ‘l Paradiso e ogne sante.
Pur non badando a la salute inferma
vestì l'usbergo e la cotta di maglia.
e a capofitto si lanciò in battaglia.
IX
Poi vigoroso s'involò a la pugna
lottando forte per riconquistare
il proprio onor che la morte ripugna.
E coraggioso continuò a duellare
finché ferito non gettò la spugna.
Fortuna volle che prima d'andare
contro la falce che la vita strappa
brindato aveva con un po' di grappa.
X
La sua missione ancor non è finita
in questa vasta landa medievale.
Noi siam pronti a riprender la partita
ogni qual volta ‘l desider c'assale.
E simil storia mai vista né udita
tesse le fila d'un regno immortale.
Solo preghiamo non resti un miraggio
un gioco rimirar di tal lignaggio.
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