L'emozione di giocare a Zak McKracken con il suo autore David Fox

Fabio "Kenobit" Bortolotti ci parla del retro-streaming su Zak McKracken, e della grande opportunità di scambiare quattro chiacchiere con il suo creatore.

L'emozione di giocare a Zak McKracken con il suo autore David Fox
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"Perché guardare uno sconosciuto che gioca, quando posso giocare io? Non vi capisco. Con tutta la roba che c'è da giocare, perdete tempo su Twitch?"

L'abbiamo sentita tutti, questa critica al mondo dello streaming. Nell'era dei saldi di Steam e dei backlog infiniti, del resto, può sembrare una reazione naturale, specie per chi non ha più dodici anni e deve far convivere le responsabilità della vita adulta con la voglia di tenere in mano un controller. Il tempo libero è una risorsa preziosa, eccetera eccetera. Lo streaming, però, è molto più che "guardare qualcuno che gioca". Lo streaming è la final form del concetto di godersi un gioco in compagnia, sul divano, chiacchierando tra amici. È come quando andavo dal mio vicino di casa a guardarlo giocare a Zelda, perché lui aveva lo SNES e io no. Solo che il suo divano ha ottocento posti e per un miracolo dell'acustica riesco a parlare contemporaneamente con tutti quelli che ci sono seduti sopra. Il videogioco non si esaurisce con l'atto di premere pulsanti e levette analogiche, esattamente come la passione del calcio non si esaurisce con tre calci al pallone in oratorio. Ci piace parlare di videogiochi, ci piace riviverli insieme, ci emozioniamo per i gesti atletici.

Come spesso succede, però, per capire realmente qualcosa bisogna vivere l'esperienza sulla propria pelle. Da ora in poi, quindi, quando qualcuno mi ripeterà le solite lamentele da nonno Simpson sullo streaming, gli mostrerò questo video, registrato questo mercoledì sul canale Twitch di Everyeye, direttamente dallo studio di Kenobisboch Productions (che poi è casa mia).

Abbiamo giocato a Zak McKracken, in versione Amiga, dall'inizio alla fine. Zak è un gioco difficile e pieno di tranelli e punti morti, quindi già il poterlo vedere compresso nell'arco di tre ore, un po' come un film, ha un suo perché. Dopo la intro, però, ci siamo giocati l'asso nella manica: abbiamo chiamato David Fox su Skype. David Fox è un adorabile vecchietto californiano, che per puro caso nella vita ha creato Zak McKracken e ha collaborato a buona parte dei grandi capolavori punta e clicca dell'era di LucasFilm Games (o LucasArts, a seconda degli anni). Ho avuto l'onore e il piacere di lavorare con lui su Thimbleweed Park, del quale ho curato la traduzione italiana, e dopo averlo incontrato alla GDC sapevo che era una persona squisita, oltre che una miniera inesauribile di aneddoti sul passato della industry.

E quindi era lì con noi, su schermo, grabbato direttamente dalla finestra di Skype, a raccontarci di quando compilava le build di Zak McKracken per C64, dell'esperienza di lavorare allo Skywalker Ranch, dei feedback di George Lucas e della passione per le avventure grafiche di Steven Spielberg. Finita la breve intervista e chiusa la conversazione di Skype, è successo qualcosa di magico: invece di tornare alla sua giornata, David si è seduto sul nostro divano virtuale, a guardarsi il longplay di Zak insieme a noi, chattando con gli oltre seicento spettatori accorsi per l'evento. Mentre noi proseguivamo nell'avventura, l'autore del gioco era lì in chat a raccontare retroscena assurdi, regalandoci un prezioso spaccato del mondo dei videogiochi di trent'anni fa. Ci ha raccontato che in una delle prime bozze della copertina della conversione di Zak per FM Towns (un home computer giapponese), Annie indossava un vestitino cortissimo.
Quando la Annie del mondo reale, sua moglie, vide la copertina, si arrabbiò moltissimo, e la produzione decise di vestire la protagonista con dei più morigerati jeans. Ci ha raccontato di quando ha incontrato Douglas Adams per una sessione di brainstorming per lo sviluppo del videogioco di Labyrinth. Ci ha detto che il primo disco che ha comprato fu "The Doors", e che ha apprezzato molto Portal, ma non ha finito Portal 2 per colpa del motion sickness. Cose così.

È stata un'intervista spontanea, guidata dai fan di vecchia data e da chi è troppo giovane per conoscere un'avventura grafica del 1988. Nella mia carriera di giornalista ho fatto tante interviste, ma mai ne ho vista una così ricca di amore e personalità. Forse perché non era un'intervista, bensì una chiacchierata sul divano, tra amici virtuali che condividono una passione. Viva Twitch. E grazie a Everyeye per l'ospitalità.

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