Speciale L'insostenibile leggerezza dell'RPG

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Speciale L'insostenibile leggerezza dell'RPG
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Once upon a time...

Anno 1913. Un simpatico omino, chiamato H.G Welles, pubblica Piccole Guerre, il nonno del wargame 3D come noi oggi lo conosciamo (mi auguro che vi sia noto perlomeno il celebre Warhammer; se pur sfruttando l'11% della vostra materia grigia non capite di cosa sto parlando, bhè, sappiate che si tratta di una sorta di "gioco da tavolo" dove ogni giocatore comanda e gestisce un esercito estremamente personalizzabile di miniature fantasy o fantascientifiche, nel tentativo di raggiungere determinati obiettivi decisi a priori). Nel suo libro, Welles insegnava come ricreare la guerra in salotto, armati solo di primitivi soldatini e di tanta fantasia. Con il passare degli anni, il wargame attira nuovi appassionati e conseguentemente si arricchisce di regole aggiuntive, nuovi modellini, nuove ambientazioni. Basandosi probabilmente sul leggendario War Games del 1962, il bollettino della società Castle & Crusade pubblica nel 1972 un regolamento dedicato alla simulazione di guerra medievale battezzato Chainmail. Il tomo riportava le firme di due ragazzi destinati a diventare famosi: Gary Gigax e Jeff Perren. Narra la leggenda che modificando ed espandendo Chainmail nel corso di svariate sessioni di gioco, Gary Gigax ebbe una geniale intuizione: creare un gioco che lasciasse molta più libertà d'azione ai giocatori e che permettesse loro di aggirarsi per sinistri e oscuri labirinti sotterranei. L'idea si concretizzò nel 1974, quando assieme a Dave Arneson diede alle stampe la prima, mitologica, edizione di D&D, denominata all'epoca Dungeons & Dragons: Rules For Fantastic Wargames Campaignes Playable With Paper And Pencil And Miniature Figures. Nacque il primo gioco di ruolo della storia, e per nostra somma gioia i regolamenti seguenti ebbero titoli più corti.

Definizioni

Non ci soffermeremo nell'analizzare la successiva evoluzione del gioco di ruolo nel corso degli anni, vi basti sapere solo che gli RPG classici possono essere attualmente raggruppati in tre categorie abbastanza distinte ma, volendo, complementari: Sistema Tradizionale, Sistema Storytelling e Sistema Diceless.
E' innanzitutto necessario definire in maniera semplice il gioco di ruolo:

Gioco che consente ai giocatori di impersonare (a vari livelli interpretativi, si va dalla sola interpretazione astratta fino a quella fisica) svariate entità, ognuna (presumibilmente) coerente con l'ambientazione di gioco, dotata di tratti peculiari e personalità ben precisa, sottostante a determinati vincoli dettati dal regolamento (riportati generalmente in una "scheda") e con background e obiettivi definiti o quantomeno definibili. Giocare ad un gioco di ruolo è come interpretare una parte a teatro, con l'unica differenza che il giocatore NON conosce né l'intera trama dello "spettacolo" (o avventura o compagna) né particolari che il personaggio che interpreta NON può conoscere per coerenza con il suo background.

La definizione di cui sopra è lungi dall'essere perfetta ma cercheremo di farcela bastare. Vediamo ora brevemente, prima di passare agli "RPG videoludici", le differenze fra le tre categorie entro cui si possono classificare gli RPG classici.

Sistema Tradizionale: Nel gioco di ruolo tradizionale, le regole detengono una funzione fondamentale per il corretto svolgimento della sessione. Se da una parte questo avvantaggia la corretta risoluzione di ogni possibile eventualità, dall'altra spesso inficia pesantemente la scorrevolezza della narrazione. Sistemi del genere presentano spesso problemi come il powerplay (giocatori che tendono a rendere i loro personaggi delle indistruttibili macchine da guerra) e quello di una certa macchinosità di fondo, che limita pesantemente la fantasia del Master (colui che "narra" gli eventi e interpreta tutti i personaggi secondari con cui i giocatori si troveranno ad interagire). Sono generalmente RPG apprezzati dai giocatori più inesperti o da chi non desidera "concentrarsi troppo" sull'interpretazione. Vedremo più avanti che la maggioranza degli RPG videoludici si basano su questo Sistema. Qualche esempio di gioco appartenente a questa categoria si ha con:D&D, AD&D,Martelli Da Guerra, Cyberpunk, Shadowrun, GURPS,ecc.

Nota: ognuno dei giochi menzionati presenta un diverso bilanciamento fra regole e ambientazione, tanto che alcuni potrebbero sconfinare in altre categorie anche a seconda della condotta del Master (che ad esempio potrebbe infischiarsene delle regole per favorire la scorrevolezza...Tali pratiche sono tutt'altro che rare nel mondo degli RPG, quindi non prendete per oro colato tutto quello che vi sto raccontando...).

Sistema Storytelling: Ritenuto generalmente un "sistema avanzato", ha la pregevolissima caratteristica di concentrarsi principalmente sullo sviluppo dell'ambientazione e sull'interpretazione dei giocatori rispetto ai loro personaggi. Le poche regole che ci sono, coprono le eventualità più caratteristiche dell'ambientazione a cui fanno riferimento e lasciano al Master la facoltà di improvvisare in tutti gli altri casi. Non più costretto da rigidi regolamenti, il Master può anche permettersi di incentrare un'intera sessione sulla narrazione e sui dialoghi fra i personaggi. I giochi che sfruttano questo sistema, affrontano generalmente tematiche "adulte" o comunque favorevoli ad un gioco di stampo più interpretativo che regolistico. Celebre esempio è la collana dedicata al World Of Darkness della White Wolf , che comprende: Vampire : The Masquerade, Mage - The Ascension, Wraith - The Oblivion, Werewolf - The Apocalypse, Changeling - The Dreaming
Hunter - The Reckoning, e Demon - The Fallen .
Impossibile non nominare anche il GDR più "pesante" e discusso della storia (ma per quel che mi riguarda, il più affascinante) Kult: Reality Is A Lie, talmente "estremo" nei contenuti che alcuni dei suoi supplementi furono ritirati dal mercato. Notevole anche The Call Of Cthulhu, basato sui racconti del Solitario di Providence, H.P. Lovecraft. Il nostro confronto con gli RPG videoludici riguarderà soprattutto l'attuale impossibilità tecnica di replicare questo tipo di approccio al GDR.

Sistema Diceless: Per certi versi simile o addirittura sovrapponibile al Sistema Storytelling, il Sistema Diceless di distingue per una caratteristica fondamentale: la totale mancanza di dadi. Il che non significa necessariamente l'impossibilità di determinare casualmente alcuni eventi, anzi, ci sono alcuni sistemi che sfruttano carte, tarocchi o altro e che garantiscono dei risultati di gioco molto diversi da quelli ottenibili con l'utilizzo di un semplice valore numerico. Emblematico il caso di Everway, che tramite evocative illustrazioni, dava spunti a Master e giocatori per continuare a "creare" il mondo di gioco in maniera coerente. Ad ogni modo in questo approccio le regole non hanno praticamente nessuna importanza, caratteristica che lo avvicina notevolmente ad una sorta di teatro improvvisato. Molti giochi Storytelling possono essere adattati a Diceless senza difficoltà, ma il genere presenta anche giochi nativi come Amber o il già citato Everway.

Oriente e occidente:due diverse scuole di pensiero

Concluse le doverose premesse, passiamo ad un argomento che più si addice alle pagine di Ring: la trasposizione videoludica degli RPG. Fin dai tempi del Commodore 16 (probabilmente anche prima, ma per manifesta non-esistenza non posso confermare) ci furono innumerevoli tentativi di trasportare su video il complesso mondo dei giochi di ruolo. Ora, questo articolo non si propone di analizzare nascita e storia dell'RPG per console/computer, ma piuttosto di determinare perché al giorno d'oggi, anche avendo a disposizione macchine potentissime, siamo ancora molto distanti dalla riproduzione di un vero gioco di ruolo. Se ne può sicuramente discutere a lungo, ma penso che ogni navigato giocatore possa confermare senza esitazione che il vero scopo di un RPG è in primo luogo quello di favorire interpretazione e trama, e solo successivamente quello di simulare qualcosa.
Tale principio venne bellamente ignorato nel corso degli anni, tanto che ambedue le principali correnti di pensiero sugli RPG videoludici (occidentale e orientale) tendono piuttosto a concentrarsi sulla simulazione che non sull'interpretazione, seppur con alcune sostanziose differenze.

Per favorirne l'analisi mi avvarrò di due celebri saghe rappresentative di ciascuna categoria: la serie Baldur's Gate per gli uomini dell'Ovest e quella di Final Fantasy per il popolo dell'estremo oriente. Badate bene che quello che dirò avrebbe lo stesso valore anche rapportando titoli come la saga di Ultima o quella di Diablo con Secret Of Mana, Chrono Trigger, Dragon Quest, Valkyrie Profile, Breath Of Fire et similia.

Dunque, partiamo dalla concezione euro-americana di RPG videoludico: è un dato di fatto come Baldur's Gate consenta una sostanziosa personalizzazione dell'avatar. All'inizio del gioco siamo chiamati a dargli un nome, un sesso, un volto (scegliendo fra varie opzioni/immagini/modelli), una classe di appartenenza e a stabilirne le caratteristiche di base. Pur dovendo osservare pedissequamente le regole imposte da AD&D (d'altra parte il gioco si avvale della licenza ufficiale del celebre GDR), siamo liberi di creare un personaggio del tutto nuovo, che non "è mai esistito" prima che noi decidessimo di crearlo. Modelliamo il nostro avatar nella maniera che più ci aggrada dando il via anche ad una serie di spiacevoli conseguenze: se prima che noi mettessimo mano all'editor il nostro personaggio non è mai "vissuto", che schifo di caratterizzazione psicologica potrà avere?
Prendiamo per vero il fatto che anche nel gioco di ruolo classico sia regola comune che ogni giocatore crei il suo personaggio dal nulla (in realtà non è sempre così, anzi). Se da una parte i giocatori godono di un certo potere nello sviluppo del proprio alter ego (come può accadere in Baldur's), spesso sono anche subordinati alle necessità del Master (ad esempio, una campagna ambientata nelle miniere di mithril può presupporre tutti personaggi nani). Ad ogni modo, anche un personaggio appena creato dovrebbe avere un proprio background e conseguenti obiettivi primari e secondari (es. vendicare l'assassinio della famiglia brutalmente trucidata da un clan rivale e abbandonare le proprie terre in cerca di fortuna per riabilitare il nome in declino della casata di appartenenza), elementi CHE DECIDE IL GIOCATORE e che possono essere attivamente inglobati nell'avventura (fra un evento e l'altro, il Master può decidere di disseminare indizi sui presunti colpevoli), cosa che non trova nessun parallelo nei videogiochi. Il personaggio videoludico occidentale è spesso così neutro che di più c'è solo il bagnoschiuma della Roberts. Tutto questo per ovvie necessità di trama (che non si può modificare a seconda del passato di ogni ipotetico personaggio creato), mentre in un vero RPG il personaggio del giocatore "ha già vissuto" anche se è stato appena creato, e i suoi trascorsi tendono ad influenzare sia il suo presente che il suo futuro.
E' sicuramente vero che nel corso del gioco le circostanze ci costringeranno a decidere per una certa condotta piuttosto che per un'altra (dandoci la sensazione di manovrare un personaggio rispettivamente buono/malvagio/bastardo/avido/caritatevole, ecc..), ma nonostante tutto, questo tipo di approccio evade più di un requisito fondamentale fra quelli elencati nella definizione di RPG (Gioco che consente ai giocatori di impersonare svariate entità [...] ognuna [..] coerente con l'ambientazione di gioco, dotata di tratti peculiari e personalità ben precisa, sottostante a determinati vincoli dettati dal regolamento (riportati generalmente in una "scheda") e con background e obiettivi definiti o quantomeno definibili). Ci sono alcuni sotterfugi che i programmatori spesso hanno usato per ovviare a questo problema: paradigmatico il caso di Planetscape: Torment, dove il personaggio si risveglia e non ricorda più nulla del suo passato. Caso plausibile, certo, ma per quanto tempo si potrà ricorrere al trucchetto dell'eroe che non si ricorda una mazza?
Oltretutto, la vera e propria condotta di gioco si avvicina troppo all'approccio ruolisticamente chiamato EUMATE (Entra Uccidi Mostro Arraffa Tesoro Esci), in voga spesso fra i giocatori inesperti e adattabile SOLO al Sistema Tradizionale (l'EUMATE è praticamente inesistente negli altri due Sistemi). Va comunque dato atto a Baldur's Gate e colleghi di rappresentare piuttosto bene l'universo di AD&D e ambientazioni derivative, con la possibilità di raccogliere migliaia di oggetti, compiere subquest di varia natura (quasi tutte incentrare sul combattimento, purtroppo), guadagnare punti esperienza, risolvere le questioni in modi anche molto diversi fra loro e arruolare i membri del party a seconda delle necessità. Ad ogni modo, questa "Via dell'RPG videoludico all'occidentale" non permette altro che non sia la simulazione del solo regolamento e della parte più superficiale dell'ambientazione di un GDR basato sul Sistema Tradizionale: pur spesso impreziositi da una trama interessante, è quasi del tutto assente la libertà d'azione che dovrebbe contraddistinguere un RPG appartenente ad uno qualsiasi dei tre Sistemi.
Leggermente più vicino al Sistema Storytelling appare invece l'approccio di una saga come Final Fantasy e dei migliaia di giochi simili prodotti da svariate case Giapponesi fino ad oggi. Sarebbe più giusto dire che i giapponesi tendono ad utilizzare un sistema "misto" fra quello Tradizionale e quello Storytelling, pur favorendo nettamente il primo a dispetto del secondo. Se è vero infatti che molti RPG giapponesi propongono punti esperienza, collezione di armi, oggetti, incantesimi o complesse meccaniche di avanzamento in modo più o meno simile alle controparti occidentali (cambia lo stile, ma la sostanza è quella), è anche vero che nella stragrande maggioranza dei casi tali giochi possono vantare una caratterizzazione dei personaggi di gran lunga più profonda ed una trama generalmente più complessa, fantasiosa ed epica rispetto alle produzioni euro-americane (spesso anche grazie al fatto di non doversi basare necessariamente su un archetipo di "mondo di gioco" già esistente). Prendiamo qualche eroe tipico della saga: Cloud sarebbe stato lo stesso se il suo passato non fosse stato tanto tormentato? Ma soprattutto, se Cloud non avesse avuto QUEL passato, lo svolgimento di FF7 sarebbe stato lo stesso? E Tidus avrebbe avuto un senso se avessimo potuto crearlo noi dall'inizio? E' forse un caso che, in FFX, Tidus dica "Questa è la MIA storia"? E' palese come lo stesso Sakaguchi voglia sottolineare questa differenza fra i due modi di intendere il videogioco, ed a questo proposito è essenziale una sua dichiarazione divenuta celebre:"Non penso di poter fare un buon action game, preferisco raccontare storie".
Ecco qui la chiave.
Il gioco di ruolo in primo luogo deve raccontare storie, anzi, meglio, deve CREARE storie con l'aiuto di tutti i giocatori coinvolti.
Ovviamente Sakaguchi esagera, ogni episodio di Final Fantasy ci racconta certamente una bella storia, ma ci costringe troppo spesso a combattere per ingannare il tempo. E questo è purtroppo un grave difetto di tutti gli RPG di stampo nipponico (e non solo), quello di rendere valida l'equazione "gameplay di un RPG = tanti combattimenti + compravendita di armi/oggetti + un paio di enigmi insulsi". Nel prossimo paragrafo vi dimostrerò che esistono numerose situazioni che vengono totalmente escluse dagli RPG per computer/console per pigrizia creativa e per insuperabili (?) limiti hardware.

Venezia by night

Prendiamo ora in analisi il background perfettamente plausibile di un personaggio di Vampiri: I Secoli Bui, versione medievale di Vampiri : La Masquerade:

"Valentino Venier nasce a Venezia nell'anno del Signore 1167 d.C. La sua famiglia, i Venier, appartiene alla casta dei piccoli mercanti di spezie, molto diffusa all'epoca. Valentino cresce in una condizione economica abbastanza soddisfacente, tanto che il padre, Mario, si può permettere l'acquisto di una lussuosa abitazione nelle vicinanze di Piazza San Marco (divenuta poi residenza fissa della famiglia), una villa nell'entroterra veneto e decine di ettari di terra lavorati da contadini al suo servizio. All'età di 5 anni Valentino inizia ad essere seguito da un maestro che lo inizia alla scienza e alla filosofia. Pochi anni più tardi un secondo maestro si aggiunge al primo con il compito di rendere Valentino un provetto musicista. Valentino impara a suonare la fidula e l'arpa, sua grande passione.
Il 12 giugno 1180 d.C. la madre viene rinvenuta annegata in un canale. Viene accusato di omicidio Gustavo Tonon, grande rivale del padre, che però viene rilasciato per mancanza di prove. Valentino rimane sconvolto dall'accaduto e da quel momento viene tormentato ininterrottamente da incubi e visioni. Il padre, anche lui molto provato, si rinchiude in sé stesso e si dedica esclusivamente ai suoi affari, corrodendo drasticamente il rapporto padre - figlio che fino a quel momento non si era mai incrinato.
All'età di 20 anni inizia a frequentare Caterina Valdor, una splendida ragazza di Venezia proveniente da una famiglia di rinomati mercanti di stoffe, con la quale si sposa due anni dopo. Caterina si ammala però durante la gravidanza di un male incurabile e perisce durante il parto, portandosi con sé anche Roberto, il figlio appena nato di Valentino.
Sconvolto, Valentino, abbandona il padre e la sua città natale per viaggiare senza meta in tutta Europa, alla ricerca di un buon motivo per continuare a vivere. Dopo aver girovagato a lungo, giunge finalmente a Parigi, dove ha occasione di conoscere e di conversare con alcuni dei più importanti filosofi dell'epoca. E' qui che si stabilisce per alcuni mesi, guadagnandosi da vivere come trovaliere. E' a Parigi che viene a conoscenza della morte del padre, defunto di morte naturale il 6 dicembre 1190. Valentino mantiene i rapporti con la famiglia di Caterina, scrivendo periodicamente corpose lettere e concedendo loro anche qualche sporadica visita.
Durante la sua permanenza in città conosce Vladimir Enrique, attore di teatro drammatico e grande appassionato d'arpa. Fra i due nasce un'amicizia molto forte, tanto che Vladimir, soccorrendo un Valentino ormai moribondo dopo esser stato assalito per strada da un malintenzionato, decide di rivelargli la sua vera natura, cioè quella di vampiro del clan Cappadocio. Vladimir abbraccia Valentino per sottrarlo alle braccia della morte, ma la gioia di Valentino per questa sua nuova condizione non dura a lungo: con il passare dei giorni si rende conto di essere diventato un mostro assetato di sangue umano. Come se la sua profonda disperazione non fosse sufficiente, anche Vladimir lo abbandona: durante un furioso combattimento con Sebastian Sundin, un Cainita Malkavo di ottava generazione, Vladimir soccombe e viene prosciugato.
Sono passati 8 mesi dall'accaduto, ma Valentino non riesce ancora a farsene una ragione, e medita vendetta. Inoltre non si è ancora abituato alla sua condizione di vampiro, e, quando può, si ciba di animali. Conosce solo superficialmente i compiti del suo clan, ma non è molto interessato allo studio della morte. Sogna di poter tornare a vivere a Venezia e rimpiange, ogni giorno di più, la sua condizione di mortale."


Già ad una rapida analisi mi sembra palese che esistano pochissimi videogiochi che possano vantare fra le loro fila un personaggio tanto realistico e complesso (ma, vi faccio notare, descritto in meno di 40 righe). Tralasciamo pure l'ambiente nel quale il nostro Valentino è cresciuto, e trasportiamo la sua vicenda in un qualsiasi mondo fantasy pseudo-medievale: perché quasi nessun viggì ci mette nei panni di un personaggio così pregno di carisma? Le risposte sono abbastanza ovvie, e cioè che pur rappresentando un'entità interessante, l'applicazione in termini di gameplay del background di Valentino è pressoché nulla. E' ovvio che non è il personaggio adatto per affrontare centinaia di scontri casuali o di subquest per ricevere particolari oggetti in cambio. Nonostante tutto, le potenzialità espressive del veneziano sono enormi: basti pensare alla condizione nella quale si trova il nostro neo-cainita, costretto a cibarsi dei suoi simili contro la sua volontà, traumatizzato per la perdita di moglie, figlio e maestro, desideroso di vendetta nei confronti di Sebastian e, soprattutto, condannato a vivere per sempre senza motivi che lo spingano a desiderarlo.
Non è difficile immaginare Valentino Venier come protagonista di un film drammatico o di un libro, e allora perché è così complesso immaginarlo come protagonista di un videogioco?
La risposta è piuttosto semplice, e si può riassumere prendendo atto dell'inadeguatezza del modello strutturale del videogioco come noi oggi lo conosciamo.
Gli RPG sono costretti entro rigidi argini da una scarsa spinta innovatrice di matrice commerciale/economica (quanti anni sono che ci vengono riproposti in modi sostanzialmente identici?) ma anche da grossi limiti di programmazione e dell'hardware su cui il software è destinato a girare. Perché al nostro personaggio non è concesso di fare la pipì in mezzo alla strada? In un vero RPG si può, e ad ogni azione corrisponde una reazione appropriata (che ne so, il poliziotto lì vicino tenta di arrestarvi per atti osceni in luogo pubblico). Perché non posso insultare un paesano che non sopporto? Perché non posso decidere IO cosa far dire al mio personaggio, senza avvalermi di frasi preconfezionate?
Provate a pensare alle potenzialità di una tale applicazione: il paesano che abbiamo insultato potrebbe spargere la voce e far si che in paese il nostro eroe venga visto con diffidenza, o il poliziotto potrebbe dar luogo ad un divertente dialogo dove dobbiamo tentare di convincerlo che in realtà stavamo annaffiando un povero fiore morente.
Cosa serve dunque per raggiungere tali risultati, senza che i programmatori impieghino 10 anni per sviluppare un gioco che preveda tutte le nostre possibili azioni?

Ritenta sarai più fortunato

Prima di passare alla soluzione del problema, credo sia doveroso fare una breve panoramica su alcuni giochi che in un certo senso si avvicinano di più al concetto di RPG che vorrei veder realizzato...
Va innanzitutto spezzata una lancia in favore dei MMORPG come Ultima Online o Phantasy Star Online. Pur sostanzialmente privi di una "solida trama di fondo" che possa coinvolgere in termini epici il giocatore (nessuno ha notato delle similitudini a livello di storia fra FFX e Il Signore Degli Anelli?), godono del grosso vantaggio di dare all'utente una discreta libertà d'azione e la possibilità di far dire al proprio personaggio quello che si desidera. Che questo poi risulti macchinoso (scrivere con la tastiera mentre si gioca è un flagello, anche se l'introduzione della componente vocale potrebbe essere la soluzione definitiva a questo problema) e spesso privo di poesia (Giocatore 1: "Ehi, andiamo a fare il culo a qualche non morto, che mi servono 2000 PX?"; Giocatore 2: "Si, ma aspettiamo anche ErPatata che è andato a ciulare oggetti ad un niubbo che ha appena iniziato a giocare") è un altro discorso, ma l'idea è sicuramente vincente.
Certo c'è la necessità di interagire con altri giocatori, e la cosa può essere più un difetto che un pregio (per i motivi esposti sopra). Manca ancora una reale libertà d'azione (nel senso che ci è permesso fare solo determinate cose) e la possibilità di partecipare ad una storia realmente coinvolgente (sorry, NON considero coinvolgente pompare il personaggio).
Personalmente ritengo che Shen Mue (1&2) di Yu Suzuki sbatta sul tavolo diverse idee che molti RPG di stampo nipponico (ma anche occidentale) dovrebbero rielaborare ed ampliare (in quanto spesso solo abbozzate), a partire dalla cura maniacale con cui sono riprodotti gli ambienti (basti pensare alla quantità di negozi in cui è bello anche solo entrare a chiedere informazioni), l'opportunità di interagire con ogni abitante, la necessità di lavorare per guadagnarsi il pane, la possibilità di perdere tempo e soldi semplicemente intrattenendosi nei vari locali o quella di influenzare la trama a seconda delle scelte di gioco.
Molto deludente l'adattamento videoludico di Vampiri La Masquerade,esempio lampante di come NON si dovrebbe rovinare un RPG basato sul Sistema Storytelling: pur tecnicamente valido e supportato da una trama interessante, il gioco si riduce ad un mero clone di Diablo in 3d, caratteristica peraltro lontanissima dalla filosofia di fondo del manuale White Wolf.
Attendiamo con speranza Bloodlines.

Format c: for cortex

Il futuro è nell'intelligenza artificiale, o quasi. Se questa conclusione sembra forse troppo ovvia, bisogna anche vedere perché la questione non è così facile come sembra. Cercherò di essere sintetico e chiaro, ma mi sto apprestando ad esporvi qualche interessante concetto di informatica, quindi mi auguro una certa elasticità mentale da parte vostra.
Poniamoci intanto un importante interrogativo: perché è difficile far pensare un computer come noi?
A questo risponderemo in seguito, per il momento concentriamoci sul QUANTO è difficile far pensare un computer come noi. Per presentarvi la questione, mi aiuterò con il celebre "Problema del Commesso Viaggiatore" che sarà ben noto a tutti gli ingegneri all'ascolto.

Un commesso viaggiatore deve visitare un certo numero di città (N); conosce la lunghezza (o il tempo o il costo, a seconda dei casi) dello spostamento necessario per recarsi da una città all'altra: vuole determinare il percorso più breve (o più veloce o più economico) che gli permetta di partire da casa sua e di farvi ritorno dopo aver visitato ogni città una sola volta. Come può fare?

Ora, senza entrare troppo nel dettaglio, vi basti sapere che, supponendo ad esempio il numero di città uguale a 6 (N=6), il numero di cammini possibili (non necessariamente più brevi, veloci o economici) è 446.
Per N=7, la cifra sale a 2678. E così via, in progressione esponenziale.
Va detto che il suddetto problema, rappresentato su carta, può essere risolto (perlomeno finché N è abbastanza basso) da un essere umano in pochissimi secondi, effettuando minimi calcoli, semplicemente perché la nostra capacità razionale ci consente di scartare a priori tutte le possibilità palesemente inaccettabili. Provate ad immaginare il suddetto problema per un N molto grande: per risolverlo un computer sarebbe costretto ad effettuare migliaia (quando non milioni) di calcoli, mentre una persona qualsiasi potrebbe essere in grado di trovare la soluzione effettuando al più qualche decina di passaggi.

Celebrate the New Skin

Appare quindi evidente come sia improponibile adottare l'attuale tecnologia per simulare il pensiero umano : se per risolvere un problema relativamente semplice come quello appena esposto sono necessarie montagne di conti, come è possibile pensare di avvicinare la macchina al nostro modo di pensare, così poco definito e in continuo subbuglio? I nostri processi logici sono poco prevedibili e spesso soggetti a migliaia di stimoli diversi, quindi il problema è tutt'altro che elementare.

E' tempo di iniziare a parlare di Reti Neurali.
Innanzi tutto, cos'è una Rete Neurale? In parole semplici, può essere definita come una struttura artificiale che può produrre risultati intelligenti, simulando il funzionamento della mente.
Ma perché il nostro cervello è così potente (parlo di quello dei redattori di Ring)? Per almeno tre ragioni fondamentali:
a) elevatissimo numero di neuroni
b) elevatissimo numero di dendriti, che generano reti di collegamento tra i neuroni
c) elevato numero di vescicole e funzionamento analogico delle stesse, il che vuol dire che la quantità di sostanze chimiche rilasciate variano impercettibilmente a seconda dei segnali ricevuti e dalla direzione da cui provengono e concorrono a generare infinitesime sfumature di valore e combinazioni con altre sinapsi e dendriti

So che vi state addormentando, cercherò di concludere qui la parentesi biologica: il ragionamento, quindi, avviene tramite il percorso che le scariche elettriche effettuano all'interno del cervello e tra un neurone e l'altro. I sentieri seguiti dai segnali vengono determinati in base all'apprendimento, secondo determinate mappe neurali. Come questo sia possibile, non lo so, ma credetemi, la meccanica tramite cui funziona la vostra materia grigia è circa questa.
Una Rete Neurale artificiale è composta, similmente al nostro cervello, da neuroni. Ciascun neurone è un'entità di elaborazione di valori a sé stante (ma connessa con tutte le altre) e presenta un vettore di ingresso, una funzione di trasformazione, un livello soglia e un valore di uscita. I neuroni vengono generalmente disposti in strati, da cui il nome Reti Neurali Gerarchiche. Il numero di neuroni da disporre su ciascun livello non dipende da qualche legge o regola di costruzione delle Reti, ma dall'esperienza che si è accumulata nel corso del tempo. Non esistono certezze per le Reti Neurali, ma solo dati empirici, esperienza e una certa dose di intuito che deriva dalla familiarità con il problema che si vuole risolvere. Ciascun neurone elaborerà i dati tramite una funzione caratterizzata da una data forma e da parametri che possono essere modificati. La modifica avviene in sede di addestramento della rete, ovvero nel momento in cui la rete impara, generalmente effettuata automaticamente dalla rete stessa e non subordinata agli utenti o ai programmatori. E' ovvio che utilizzando una Rete Neurale per gestire un RPG, sarà necessario un addestramento preventivo da parte dei programmatori, per impedire che all'inizio del nostro gioco l'AI sia di basso livello e che si porti a soglie accettabili solo dopo prolungate sessioni di gioco. Una volta che un neurone ha elaborato un risultato, il valore viene trasmesso ad uno, più o tutti i neuroni dello strato successivo, basando il criterio di scelta sulle precedenti esperienze.
La Rete Neurale sopra descritta, può essere realizzata sia a livello hardware (ciascun neurone sarà un piccolo processore connesso ad altri esemplari simili tramite piste di ingresso/uscita) che software (ogni neurone sarà un processore virtuale, ovvero una procedura che, giunto il suo turno, effettuerà le elaborazioni che le competono). Ambedue questi approcci presentano svantaggi e vantaggi che dovrebbero essere attentamente vagliati da un'eventuale team di sviluppo hardware/software, ma che io non vi starò ad elencare per misericordia nei vostri confronti.

titolo]Here Again[/titolo]
Appaiono ad ogni modo evidentissimi i vantaggi che l'utilizzo delle Reti Neurali potrebbe portare al mondo dei videogiochi (e non solo), magari incrociandolo con quello dei Sistemi Esperti, entità informatiche in grado di specializzarsi in determinati argomenti. Opportunamente addestrata, una Rete Neurale potrebbe permettere un dialogo libero paragonabile solo a quello ottenibile giocando con un altro giocatore (risponderebbe in modo coerente alle nostre sollecitazioni verbali) o ancora farebbe agire i PNG e l'ambiente di gioco nella maniera più logica rispetto al mondo di cui fanno parte, senza appesantire il lavoro dei programmatori che dovrebbero preoccuparsi solo di addestrare bene la Rete e di creare un'interfaccia utente-rete-gioco flessibile e potente.
Per il momento questa è solo fantascienza, ma chissà che un giorno gli RPG su computer/console non possano davvero raggiungere e superare i loro vecchi fratelli cartacei, aggiungendo oltre all'esperienza "creativa" pure quella audiovisiva.

"Ci siamo sbarazzati di quel che era brutto. Ci resta da creare il bello"
Oscar Wilde

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