La morte veste sempre di nero, un racconto di Monster Hunter

Tutti noi abbiamo una "storia" che ci lega a Monster Hunter: quello che segue è un racconto di caccia, dolore, morte, vendetta.

La morte veste sempre di nero, un racconto di Monster Hunter
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • Nascosto tra le foglie spesse degli arbusti che vegetano sulle rive di un misero ruscello, osservo una macchia di sempreverdi, attendendo che i loro rami si muovano indicandomi che qualcosa li sta attraversando. Quel triste fiumiciattolo quasi disseccato scorre sfiancato verso una valle spoglia sulla cui erba gialla, torturata dalla siccità, a un centinaio di passi dal mio rifugio, sorgono quei pini che fisso senza mai distrarmi, mentre il sudore cola dietro la spessa pelle conciata e i minerali forgiati che compongono il mio elmo. Fa molto caldo, potrei bere una bevanda fresca, ma preferisco conservarla per dopo, per quando infine la bestia arriverà. Sono certo che giungerà, perché tutto ha sete: la terra, le piante, gli animali, gli uomini e i mostri, persino i più grandi e malvagi, soprattutto loro. Laddove crescono quegli alberi storti l'avaro ruscello si arresta, in un paludoso laghetto che conserva le acque tra le sue anse, offrendole all'assetato che arrivi per berle. Ma nessun animale giungerà quel giorno per dissetarsi, sono tutti morti, ho visto le carcasse degli ultimi bullfango e dei velociprey che abitavano questa triste valle. Solo qualcuno di questi corpi putrefatti indicava il segno di un banchetto che non fosse quello miserabile degli insetti. La creatura che li ha uccisi lo ha fatto per piacere, li ha assassinati per dimostrare la sua regale superiorità, monarca dell'estinzione fino al giorno in cui non ci sarà più nulla da massacrare e la bestia passerà oltre, diffondendo la morte altrove. So che arriverà e sebbene io sia nascosto so che essa intuirà la mia presenza, poiché mi odia come io odio lei.

    Il sole arde nel cielo azzurro, un grande inquisitore crudele e solitario. È quasi ora che quell'astro bruciante cominci la sua discesa verso l'orizzonte lontano, segmentato dalle montagne, per porre fine a questo straziante mezzogiorno di fuoco. Un uccello che sorvola la pianura per poi fuggire verso altri cieli più gentili lancia un richiamo stridulo, di disappunto, e proprio durante quella brutta melodia volatile ecco muoversi piano le fronde dei pini laddove si coniugano all'ingresso di una stretta, sordida gola nella quale nessun cacciatore sano di mente oserebbe entrare. Qualcosa striscia lentamente, verminoso e silente, tra le fronde. Verso l'acqua. Se volesse, quella macchia nera potrebbe limitarsi ad accarezzare i rami senza che questi si muovano in alcun modo, grazie alla sua terrificante destrezza, tuttavia vuole che sia a conoscenza del suo avvento perché è venuta per me, sebbene non sappia dove sono, non ancora. Riesco a intuire il suo muso, o forse lo immagino solo, perché la conosco bene. Quella cicatrice antica che le segmenta l'abominevole grugno lupesco per arrestarsi poco prima delle palpebre, come un serpente pietrificato sul punto di mordere l'occhio giallo; le zanne inferiori lucide di saliva velenosa, incontaminate nel loro osceno biancore e quelle superiori, stalattiti mortali. Vedo una sua zampa anteriore poggiarsi sul terreno affogato dagli aghi di pino con i tre immani artigli e il punto in cui dall'arto si sviluppa una tetra ala. Vedo il suo corpo nero tenebra. I nargacuga, le bestie alla cui specie questo mostro appartiene, preferiscono agire di notte. Non il mio Narga. Questo vecchio obbrobrio sceglie sempre le fiamme del mezzogiorno, come se volesse che l'oscurità del suo corpo rilucesse con più spaventosa efficacia, brillando macabro di tutta la non-luce che lo ammanta in una sfrontata sfida alla luminescenza.
    Ora la bestia sta bevendo, sciacquando dalle sue fauci resti di carne marcia, frammenti d'ossa e tendini sfilacciati. È questo il momento. Non preparo neppure una palla-pittura per tracciarla, poiché il mostro non fuggirà mai finché uno di noi non sarà morto. La mia spada lunga, un'Autentica Affettatrice Demoniaca, è già affilata e i fulmini che potenziano la sua lama la avvolgono di barlumi paglierini. Trangugio un seme armatura e uno demoniaco senza godermi il loro gusto inebriante né l'immediata estasi. Fa molto caldo ma non ho ancora una reale necessità di potenti refrigeranti. Le pozioni sono allineate lungo la cintura che sigilla la falda della mia armatura di Fatalis, non mi servono antidoti perché sono immune al veleno. Non c'è nessuno ad accompagnarmi, la bestia li ha uccisi tutti: la dolce Frannie dai capelli rossi spezzata insieme al suo arco, il grande Bauron i cui brandelli sono oggi sepolti sotto il suo spadone a guisa di lapide, l'astuto Beryl dall'occhio veloce che non vede più, l'amata Zenda della quale conservo l'ancora tagliente Stella d'Alatreon. Persino Pilgrix, il mio fedele felyne, giace tra la polvere, insepolto ma non obliato. Oggi sono un cacciatore solitario. Se sopravvivo lo sarò per sempre.
    Mi sollevo dal mio nascondiglio. Estraggo la spada. Urlo una sfida che risuona debole sotto il sole indifferente ma che le orecchie del mostro accolgono, inviandola alla trachea, trasformandola in un agghiacciante ruggito di risposta, un suono assordante e cacofonico che mi fa fischiare i timpani e tempesta di brividi la mia pelle accaldata.

    Il Nargacuga, l'apoteosi di ogni nargacuga, squarcia il velo della pineta e si proietta in tutta la sua scempia, nera crudeltà sull'erba essiccata dai raggi del sole maledetto. Corro verso la bestia ed essa balza, planando subito dopo sulle ali che, per un battito delle mie ciglia esaltate dallo scontro imminente, concedono un insperato sollievo agli steli morenti.

    [Frattanto, in un altro mondo, la lucina blu sul bordo inferiore di un Nintendo 3DS cambia colore e diventa rossa. La persona seduta su una panchina all'ombra di un'antica quercia che tiene in mano l'oggetto nero dal duplice schermo non se ne accorge. Non può rendersi conto di questa fatale variazione cromatica perché la sua Autentica Affettatrice Demoniaca si sta muovendo nell'esecuzione di un terribile affondo...]

    Che in realtà è una finta, perché ritraggo l'arma, afferro la lama con la sinistra corazzata e mi proietto sotto il ventre del mostro, eseguendo una lunga capriola e schivando una zampata che avrebbe tagliato in due una colonna di marmo. Il mostro si aspetta che mi sottragga di nuovo al suo attacco, perché è balzato in aria per schiacciarmi con il peso del suo corpo e stordirmi. Ma io resto immobile, sollevo la spada verso l'alto e mentre quel corpo smisurato cade su di me vedo la lunga lama immergersi dentro la carne nera del petto. Mi abbasso nella posizione di un improbabile inchino, poggiando l'elsa a terra. La lama è fermata dalle costole della creatura ma il corpo del mostro non riesce a schiacciarmi, sebbene mi inondi con una cascata di sangue.

    Quel sangue mi inebria, è tossico ma non mi fa alcun effetto, lo bevo mentre ritiro la mano destra serrata sull'elsa, estraggo la lama, mi getto a terra e rotolo via. Quando mi rialzo sono a pochi metri dal Nargacuga e comincio subito a correre lontano da lui, finché le forze me lo permettono. Mi giro e vedo il mostro balzare volando verso di me, ma ho un lungo momento per preparare il prossimo attacco. Miro alla sua ala, desidero che la bestia non si sollevi più in volo con tanta agilità, voglio romperla. Balzo indietro nel momento in cui il grande Narga impatta sul suolo riarso. Intuivo che non mi avrebbe colpito di nuovo con gli artigli e ho indovinato: il mostro ruota rapidamente su se stesso e mi attacca con la coda. Retrocedo ancora e riesco ad evitare la tremenda frustata. Ma ho ottenuto ciò che volevo. Ora vedo la parte più morbida delle sue ali, mi avvento su quella sinistra e produco una serie di fendenti baluginanti con una velocità che non ho mai neanche pensato di avere. La lama della mia Autentica Affettatrice Demoniaca prima diventa bianca, gialla e poi rossa. Il mostro ruggisce mentre la membrana dell'ala si infrange sotto la cascata incessante dei miei colpi scarlatti ed elettrici. Urlo anch'io, di trionfo. E mi dimentico per un poco, che risulta quasi definitivo, di chi ho davanti, della sua incalcolabile furia, della sua diabolica cattiveria. Il ruggito di dolore del Narga si trasforma -senza che neanche io possa realizzare il suo movimento subliminale- in un morso feroce. La creatura nera mi afferra al fianco e solo la rigidità della mia armatura di Fatalis consente che le sue fauci non mi taglino a pezzetti. La gravità di quel morso fa vacillare i miei sensi ma il dolore, la rabbia e le gemme magiche che impreziosiscono gli schinieri, l'elmo, la cotta e i gambali mi tengono magicamente desto, seppure confuso. Il Narga scuote il muso e mi lancia lontano, illudendosi che io sia agonizzante.
    Non so calcolare quanto tempo sia passato da quando ho sentito la mia ragione estinguersi come una fiammetta di candela al vento, finché la sento risorgere, come se un'anima pia avesse posto un riparo per proteggerla proprio prima che l'aria veloce la dissolvesse; credo che ne sia trascorso comunque pochissimo, l'attimo di una breve vertigine. Ma quando mi rialzo è l'orrore. La bestia ora è infuriata, gli occhi ferini, dapprima del giallo dell'orina di un anteka malato, ora sono vermigli, due astri rossi che sottraggono potenza al sole pomeridiano, ne svalutano la brutta lucentezza con infinita perfidia. L'unica mia speranza di salvezza è sorbire una pozione curativa, ma la domanda è quando? Oppure, dove? Il grande Narga potrebbe attaccarmi proprio mentre consumo la necessaria panacea, e distruggermi. Da qualche parte ho una bomba fumogena. Tento di prenderla, gli occhi rossi della bestia sono sempre più vicini. Sta arrivando. Lancio un coltello! Un gesto istintivo che fortunatamente risulta efficace. La lama non ferisce la bestia, le procura solo un passeggero malessere alla narice. Ma basta il gesto di levarsela dal naso per consentirmi una stanca schivata.

    Proprio nella curva posteriore del cinturone, vicino alla mia spina dorsale, trovo l'agognata bomba fumo e la scaglio senza preoccuparmi che il miasma coinvolga anche me. Mi bruciano gli occhi, tossisco, ma riesco a curarmi con una pozione massima. Sono di nuovo in piedi e combattivo. Per qualche istante invisibile. La fumosa nube sparisce e riesco ancora a vedere. Sollevo la spada lunga per mettermi in posizione di guardia. Solo per essere artigliato con inenarrabile crudeltà dal Nargacuga furioso, che nel frattempo mi è giunto alle spalle, con un balzo solo rapido e non fulmineo a causa dell'ala martoriata. La vita che scorre in me è tuttavia possente grazie alla miracolosa pozione appena ingerita e il mostro non mi abbatte. Riesco a reagire. Corro a velocità disumana attorno al colpo della bestia e ancora in movimento assesto un fendente discendente alla sua lunga coda. Poi uno ascendente e di nuovo discendente. Su e giù. Più forte ancora, finché la lama perde il filo. Ma non mi importa. La coda prova ad alzarsi per calare serpentina su di me e allontanarmi. Ma quando sta per colpirmi la mia lama spezza l'osso e la coda cade a terra, agitandosi, finché non giace inerte e inoffensiva. Anche la grande bestia è sofferente, vacilla e poi collassa su se stessa. So che ho pochissimo tempo per finirla, se riuscirò mai a finirla, ma comincio a flagellarle il ventre già ferito con tutta la mia rabbia e l'Autentica Affettatrice Demoniaca si stinge ancora di soprannaturale vermiglio. Ora il re di tutti i Nargacuga strilla, vorrei che piangesse, ma strilla di rabbia e dolore e c'è qualcosa di patetico in tutto ciò, sembra un poogie prima di essere macellato. Gli occhi dell'odiato mostro sono di nuovo gialli, in essi colgo la paura e la consapevolezza della morte imminente; la mia spada vi si sta per immergere, per trovare il suo cervello malvagio e sadico, è sul punto di spegnerlo con la punta scintillante e acuminata...

    [La luce rossa sul bordo inferiore del 3DS ora lampeggia freneticamente, come un cuore impazzito prima di un infarto. Una pulsazione, un'altra e poi una ancora, l'ultima. Ecco quindi le tenebre. I due schermi sono neri e sulla loro inutile superficie si rispecchiano due occhi dapprima increduli, poi delusi, infine disperati. Il ragazzo, o la ragazza, non mi è dato di saperlo, resta fermo a lungo, seduto su quella panchina a fissare l'oggetto inanimato, spento di suoni e colori. Poi, quando il sole estivo tramonta e le ombre si allungano sui viali e i prati del parco, mentre i cani abbaiano e i palloni rotolano come hanno sempre rotolato, insensibili al dolore del nostro personaggio e alla tragedia che si è consumata, egli o ella si alza dalla panchina. Sale sulla sua bicicletta, dopo avere infilato il defunto 3DS nella tasche. Pedala fuori da quella verde e ombrosa oasi metropolitana e afflitto dalla sconfitta e da un'elettronica ingiustizia si immette nel corso di una strada trafficata. E' distratto quando, sollecitato dal movimento, il 3DS esaurito comincia a spostarsi pericolosamente lungo l'orlo della tasca. Continua a pedalare e arriva a casa, abbattuto, per cenare svogliato e inappetente. A lungo si interrogherà sulla fine della sua console, a lungo soffrirà per l'amaro destino di Feif, il suo cacciatore. Non saprà mai che il 3DS è caduto in strada, poco dopo demolito dalle ruote di un'automobile nera.]

    Lontano, nel nostro mondo, è calata la notte. Nascosto al buio di una tenebra senza luna sotto le fronde di una pineta che cresce solitaria sull'erba morta di una pianura desolata, l'apoteosi di ogni Nargaguga sta dormendo ma vive. Verrà il momento in cui essa recupererà le sue forze e abbandonerà quella pianura dove ormai ha ucciso tutto ciò che può essere ucciso. Poco più in là, vicino ai resti della coda del mostro nero dormiente, giace il corpo dell'ultimo cacciatore che osò sfidare la bestia e quasi la sconfisse. La malasorte e la nera crudeltà della natura resero solo quell'uomo, così nessuno verrà a cercare il suo cadavere e le mosche si faranno largo tra le carni, depositando le loro larve fino a quando di quell'eroe sfortunato non rimarranno sole le ossa, la lunga spada e l'armatura.

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