Speciale La storia di Shenmue

Ripercorriamo la storia del capolavoro di Yu Suzuki: come è nato Shenmue, cosa ha significato per l'industria del videogioco e perché è da considerare come il primo grande colossal dell’era moderna.

Speciale La storia di Shenmue
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  • Ci sono titoli che hanno cambiato per sempre la storia dei videogame, che hanno segnato profondamente le nostre vite, ci hanno coinvolto e appassionato, ci hanno fatto piangere e urlare. Titoli che hanno segnato una strada che altri poi hanno seguito, portando i videogame verso vette sempre più elevate. Opere che ci hanno cambiato, toccandoci nel profondo, contribuendo in qualche modo a farci diventare le persone che siamo. Ecco, ci sono quei titoli, e poi c'è Shenmue. Sì, Shenmue è senza ombra di dubbio uno dei videogame più importanti degli ultimi quindici anni, il primo videogame moderno, quello che ci ha fatto capire che i videogiochi potevano essere qualcosa di davvero unico, speciale, diverso e migliore di un film, diverso e migliore di un libro. Shenmue è un titolo di una potenza straordinaria, la cui eredità ci appare oggi più forte che mai, nonostante il fallimento del Dreamcast, le poche copie vendute, la realtà di una Sega che è solo uno sbiadito ritratto della gloria che fu. Ecco la sua storia.

    E così la saga ebbe inizio...

    È il 1999. È l'anno dell'entrata in vigore dell'euro, della prima puntata dei Griffin, della morte di De André, di Star Wars La Minaccia Fantasma, di Fight Club e di The Matrix. È anche l'anno del massacro di Columbine, quando due giovani studenti aprono il fuoco uccidendo 13 persone per poi suicidarsi. E mentre l'opinione pubblica americana puntava il dito contro Doom, Quake e i videogiochi in generale, in Giappone usciva, a dicembre, Shenmue per Sega Dreamcast. Un gioco che parla di dolore, di vendetta, di amore. Un viaggio alla ricerca della pace interiore, per un giovane ragazzo che di colpo è costretto a diventare uomo. Dopo i fasti degli anni '80 e gli ottimi risultati ottenuti dal Megadrive, la casa giapponese è tra le prime a esplorare le potenzialità della grafica 3D con il cabinato Model 1, una scheda che darà vita ad alcuni capolavori indimenticabili come Virtua Racing e soprattutto l'eccezionale Virtua Fighter del 1993, il primo picchiaduro tridimensionale ad arrivare in sala giochi. Forte del successo dei suoi coin op, Sega decide di anticipare i tempi e lanciare subito il Sega Saturn, che doveva essere la versione casalinga della Model 1. Nonostante alcuni titoli grandiosi, da Nights a Panzer Dragoon e tanti altri, il Saturn non riesce a conquistare il pubblico. Il successo della PlayStation e del Nintendo 64, insieme alla mancanza di supporto delle terze parti e, secondo alcuni, all'assenza di un gioco di Sonic, relegarono il Saturn a una piccola nicchia. Yu Suzuki, nel frattempo, sperimenta con la grafica tridimensionale, convinto che quel passaggio sarà fondamentale per i videogame. Il creatore di Out Run e After Burner aveva intuito le potenzialità delle tre dimensioni. Tutto sarebbe cambiato: la presenza di una telecamera, di un punto di vista unico su un modo di gioco tridimensionale, trasformava il suo lavoro in quello, essenzialmente, di un vero e proprio regista. In quegli anni Virtua Fighter è al picco della sua popolarità.

    C'è una fortunata serie di cabinati in sala giochi, ci sono gadget, c'è persino un cartone animato in tv (che, vi dirò, non era nemmeno così pessimo). Akira e soci sono delle vere star, così Yu Suzuki e Sega cominciano a pensare a uno spin off, un action rpg dedicato ad Akira che sarebbe stato uno dei titoli di punta per il Sega Saturn. È il 1996 e il progetto è in piena produzione, esistono già le prime alpha, quando Suzuki e il suo team decidono di andare in Cina per studiare meglio le ambientazioni e la storia delle arti marziali. Lì, Suzuki decide di cambiare il concetto del gioco: non più un titolo basato su Virtua Fighter e Akira, ma un titolo totalmente nuovo, per il momento conosciuto con il nome di Project Berkeley.

    Un modo nuovo di sviluppare videogame

    Il progetto entra nella sua fase più delicata. Suzuki ha un sogno, vuole creare un videogame come non si era mai visto prima, una storia drammatica e appassionante, che si svolge in un mondo vivo, reale, che va avanti anche senza di noi. Per realizzarlo, chiama nel suo team talenti da altri media: sceneggiatori, registi, scrittori. Arrivano persone dall'industria del cinema e della tv. Masahiro Yoshimoto, che firmerà la storia di Shenmue, ha una carriera di successo come sceneggiatore di tanti film e programmi tv in Giappone, tanto per fare un esempio. Project Berkeley nel frattempo cambia nome e pelle, al posto di Akira arriva Ryo (ma rimane il polsino in onore del personaggio di Virtua Fighter) e così nasce Shenmue.

    "Ma il più grande merito di Shenmue, e anche il suo più grande difetto, era un altro: Shenmue era la negazione del videogioco per come lo avevamo inteso fino ad allora"

    Come confidato da Yu Suzuki durante la Game Developers Conference del 2014, la trama era già stata più o meno decisa: sarebbe stato un gioco diviso in quattro atti. Il lutto per la morte del padre, la partenza verso la Cina, il combattimento con Randi e infine un nuovo inizio, un cambio di prospettive per il protagonista. Un viaggio intenso e drammatico, ma che su Saturn rischiava di starci troppo stretto. Suzuki parla con Sega, è ovviamente a conoscenza dell'arrivo del Dreamcast e delle difficoltà del Saturn. Nonostante il progetto fosse già in avanzata fase di sviluppo, i vertici Sega acconsentono alle richieste di Suzuki. Una decisione che, ironicamente, condannò Shenmue al fallimento commerciale, ma al contempo lo fece diventare uno dei classici di sempre della storia dei videogame. Il passaggio al Dreamcast causò ritardi ma soprattutto fece lievitare a dismisura i costi: si parla di una cifra compresa tra i 50 e i 70 milioni di dollari. Un'enormità oggi, figurarsi sedici anni fa. Eppure, senza la potenza del Dreamcast, una console che era realmente avanti per i suoi tempi, Shenmue non sarebbe stato davvero Shenmue.


    Il primo grande colossal dell'era moderna

    Shenmue esce su Dreamcast a dicembre del 1999. La scena iniziale, quella in cui il perfido Lan Di uccide il padre di Ryo per impossessarsi di un antico specchio, rimane una delle più forti della storia dei videogame. Ryo abbandona la sua casa e decide di partire per trovare Lan Di e vendicarsi. La sua avventura comincia a Yokosuka, in Giappone, dove scopre che la gang locale dei Mad Angels è collegata all'uomo che ha ucciso suo padre. Per investigare, Ryo comincia a lavorare al porto come pilota di muletti. Il suo viaggio lo porterà fino a Hong Kong: in Shenmue II Ryo capirà che ci sono cose più importanti della sua sete di vendetta. In particolare, l'incontro con la giovane Shenhua, una ragazza che Ryo aveva già visto in sogno, cambierà totalmente la sua vita. Non vi sveliamo altro, nella speranza che questo articolo vi spinga a recuperare uno dei grandi classici dei videogame.

    Shenmue fu una rivoluzione da tutti i punti di vista. Prima di tutto, tecnicamente su console non si era visto niente del genere. Per darvi un riferimento, solo un anno prima arrivava Metal Gear Solid sulla PlayStation. Un capolavoro senza se e senza ma, ma tecnicamente i personaggi avevano i capelli tagliati con l'accetta e volti praticamente senza occhi o labbra. Ecco, quello era il materiale a cui eravamo abituati in quegli anni. L'arrivo di Shenmue fu come aprire una finestra sul futuro dei videogame, su quello che da lì a un paio d'anni sarebbe arrivato grazie alla prima Xbox ma soprattutto grazie alla PlayStation 2. Shenmue è stato il primo grande colossal dell'era moderna dei videogame, quello che di fatto ha aperto la strada a un modo di sviluppare i videogiochi che oggi è diventato uno standard per le grandi produzioni. Suzuki dovette gestire un team enorme, circa 300 persone, con un budget come detto tra i 50 e i 70 milioni di dollari. Tutto fu realizzato senza scendere a compromessi, cercando la massima qualità possibile. La colonna sonora, ad esempio, conteneva brani per oltre due ore, registrati dall'orchestra filarmonica di Tokyo diretta dal compositore Takenobu Mitsuyoshi (autore di una marea di colonne sonore di classici Sega, da Daytona USA a Virtua Fighter), con la collaborazione del musicista Yuzo Koshiro.

    Il mondo di gioco, quasi un open world, era talmente grande e talmente pieno di cose da fare che il team di sviluppo passò quasi un anno intero a correggere bug su bug, per assicurarsi che tutto funzionasse per il meglio. GTA III era ancora lontano dall'uscita, ma Shenmue ne anticipava contenuti ed idee. La libertà di movimento, il fatto di far parte di un mondo che sembra poter andare avanti a prescindere dalle nostre azioni. Senza dimenticare l'introduzione dei quick time event, quelle sequenze particolarmente scenografiche e spettacolari dove bisogna premere i tasti che compaiono su schermo per "andare avanti": un'evoluzione di Space Ace e Dragon's Lair, che con Shenmue diventa un sistema moderno ed efficace per permettere ai giocatori di interagire anche con le sequenze filmate. Dopo Shenmue, tanti, tantissimi useranno i QTE. Ma il più grande merito di Shenmue, e anche il suo più grande difetto, era un altro: Shenmue era la negazione del videogioco per come lo avevamo inteso fino ad allora.


    La forza del quotidiano

    Se è vero che Shenmue è giustamente considerato come il primo grande colossal dell'era moderna (del resto, il Dreamcast è stata la prima console dell'era moderna), la sua reale forza però stava in qualcos'altro. In Shenmue non si sparava, non si uccideva nessuno. Le arti marziali non erano ritratte come in un normale picchiaduro: erano un mezzo, una filosofia, uno strumento di vita. C'è un grande rispetto per la storia e le tradizioni: le arti marziali, in Shenmue, non sono uno strumento di vendetta, ma un aiuto costante, un punto di riferimento per Ryo e la sua vita. Sono gli insegnamenti del padre, sono i valori su cui Ryo costruirà il suo futuro, in un viaggio che lo porterà a diventare uomo. Shenmue non è un gioco d'azione, rinnega tutti gli standard a cui i videogame del tempo ci avevano abituato. In Shenmue c'era il dramma, certo, c'era la partenza, l'abbandono della propria casa e la sete di vendetta, il grande antagonista cattivissimo Lan Di: tutti temi cari ai videogame. Ma il modo in cui si svolgeva il gioco era completamente diverso, molto più dilatato, molto più verosimile e personale. In Shenmue potevi parlare con tutti, dovevi trovarti un lavoro, potevi bussare a ogni porta, fermarti in sala giochi per una partita a Hang On, sostare al pub per un giro di freccette, improvvisare una corsa con i muletti al porto, spendere qualche yen in uno dei distributori così diffusi in Giappone.

    Il ritmo è lento, compassato. Eppure, la sensazione che ti trasmetteva quel gioco era unica ed emozionante: mai come prima ti sentivi parte di quel mondo virtuale, mai come prima ti convincevi che tu, pad alla mano, eri davvero Ryo Hazuki. Era una sensazione forte, totalizzante, forse il più grande punto di forza di Shenmue ma anche il suo più grave difetto: il pubblico, ai tempi, probabilmente non era ancora pronto. Oggi il realismo e la maturità di Shenmue non ci suonano strani, siamo abituati a titoli simili, ma ai tempi fu davvero un fulmine a ciel sereno. Un modo completamente nuovo e diverso di raccontare una storia. Molti non lo capirono, ma chi lo giocò se ne innamorò. Due anni dopo arrivò il seguito: era più grande dell'originale e con più scene d'azione, un ritmo più serrato. Suzuki lo realizzò cercando di creare un titolo che potesse piacere a un maggior numero di persone, senza però tradire l'impostazione del primo capitolo. Le scarse vendite, appena 1,2 milioni di copie su Dreamcast, fecero di Shenmue un fallimento commerciale. Eppure, ancora oggi, a quindici anni di distanza, la forza innovatrice di Shenmue echeggia con una forza dirompente. Dirompente come le urla e gli applausi che si sono levati dalla Coliseum Sports Arena di Los Angeles, quando Yu Suzuki è salito sul palco di Sony per annunciare Shenmue III.


    E se volessi rigiocarlo?

    Magari siete giovani, magari ai tempi avete preferito aspettare l'arrivo della nuova PlayStation invece di acquistare il fantastico Dreamcast. Qualunque sia la vostra ragione, se non avete giocato Shenmue vi siete persi una delle pagine più importanti della storia dei videogame. Certo, giocarlo oggi non avrebbe la stessa efficacia, ma se volete recuperare avete solo due possibilità. La prima è prendervi un bel Dreamcast usato e i due Shenmue. C'è un problema: le quotazioni di uno Shenmue originale e del suo seguito superano spesso con allegria i cento euro. Significa che per portarvi tutto a casa, console compresa, probabilmente vi serviranno almeno 300 euro. Il piano B è di giocarlo sulla prima Xbox o su Xbox 360. Potrete provare Shenmue II in una versione leggermente migliorata rispetto all'edizione Dreamcast: per non perdervi nulla della trama, nel gioco è incluso anche il film del primo Shenmue (che si trova facilmente anche su YouTube), circa un'ora e mezza con tutte le cutscene del gioco. I costi, in questo caso, sono nettamente inferiori (basta un giro su Ebay). Purtroppo non c'è altro modo, perché Sega dall'uscita su Xbox ha calato il sipario su Ryo Hazuki e compagni. Yu Suzuki ha recentemente dichiarato che, in occasione dell'uscita del terzo capitolo (prevista per il 2017), gli piacerebbe molto realizzare una versione remastered dei primi due titoli. Ma c'è un problema: i diritti di Shenmue I e II sono di Sega, e per il momento la casa di Sonic non ha rilasciato alcun commento a riguardo. Una cosa è certa: tra il successo della conferenza E3 di Sony e quello della campagna Kickstarter di Shenmue III, non esiste momento migliore di questo per realizzare una versione remastered dei primi due capitoli. Incrociamo le dita.

    Shenmue 3 Non serve vendere milioni di copie per lasciare davvero il segno. Shenmue ha venduto un ventesimo di un Call of Duty a caso, eppure è lassù, a occupare un posto altissimo nell’Olimpo dei videogame. Shenmue è stato il primo grande colossal dell’era moderna, ha anticipato quel concetto di open world che GTA III avrebbe poi reso uno standard. Shenmue è un capolavoro, una meravigliosa finestra sulla cultura asiatica, sul fascino delle arti marziali, un viaggio alla ricerca della pace interiore, una storia drammatica che si innesta in un mondo vivo, reale, fatto di mille trame che s’intrecciano e dove la nostra, di storia, non è necessariamente la più importante. Ai tempi, era un titolo avanti di almeno un paio d’anni e questo forse fu il suo maggior difetto: il pubblico, probabilmente, non era ancora pronto. Il suo seguito ci ha portato nell’incredibile Hong Kong, ci ha fatto conoscere Shenhua, ci ha fatto storcere il naso di fronte a quel finale che non era un finale neanche un po’. Ora, per fortuna, arriverà il terzo episodio. Yu Suzuki ha sempre detto che la storia di Ryo Hazuki è composta da 11 capitolo: i primi due Shenmue ci hanno raccontato i primi cinque capitoli. Vedremo cosa farà il terzo. Una cosa è certa: non sarà la stessa cosa. Non aspettatevi da Shenmue III le stesse ambizioni, la stessa carica innovatrice del primo episodio. Quella Sega purtroppo non c’è più. Shenmue III sarà sicuramente un progetto più piccolo, ma non per questo meno emozionante. Per citare le parole di Shenhua, è ora che questa saga continui...

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