La storia di Far Cry, a metà tra realismo e follia

La storia di Far Cry inizia nei primi anni 2000 fino ad arrivare ai giorni nostri con il prossimo debutto di Far Cry 6, in uscita a ottobre.

Everyeye Expo: la storia di Far Cry
Speciale: PC
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  • PS4
  • Xbox One
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • PS5
  • Stadia
  • Xbox Series X
  • Mancano ormai pochi mesi al debutto ufficiale di Far Cry 6, quando scenderemo nei panni di Dani Rojas al fianco dei ribelli della Libertad, per tranciare di netto la lunga mano di Anton Castillo. La dittatura de El Presidente sull'isola di Yara è destinata a cadere, dalle coste caraibiche alle vie della capitale Esperanza. In occasione dell'ormai imminente sesto capitolo numerato, quale migliore occasione per riscoprire origini e sviluppi della saga di Ubisoft? Preparatevi dunque a un viaggio attraverso territori selvaggi, avamposti brulicanti di soldati e sanguinari personaggi ubriachi di potere.

    Di speranze e dinosauri

    Prima di Far Cry, c'è la storia di un appassionato di programmazione motivato a guadagnarsi il suo biglietto d'ingresso nell'industria. Cevat Yerli, ragazzo tedesco di origini turche, ha da sempre mostrato il suo innato talento nella manipolazione di stringhe di codice. Un informatico brillante notato dai professionisti sin dai tempi della scuola, ma anche un giovane sfortunato, giacché la prima opportunità lavorativa arriva da un'azienda che fallisce poco prima di assumerlo. Una nuova chance si ripresenterà più in là nel tempo, dopo l'iscrizione al college e tante bollette salate per avere internet in casa. È proprio nei meandri dei primi vagiti del web che Cevat trova altri appassionati hardcore come lui. Un incontro che lo porta a "fondare" Crytek e, con soldi in prestito e un bagaglio di speranze, viaggiare in seguito verso l'E3 losangelino per far vedere alle aziende una sua demo.

    L'impatto con il suolo americano è un concentrato di disgrazie: inizialmente il visto per gli States non è valido e, giunti a LA, Yerli e i suoi compagni vengono salassati per una misera stanza nel sottoscala di un hotel; l'organizzazione dell'Electronic Entertainment Expo richiede inoltre un pagamento di 250 dollari per ogni ingresso (lasciando il gruppo al verde) e l'aspirante programmatore, ignaro della cultura delle fiere di settore, si presenta in vestito elegante per fare bella figura. Intorno a lui visitatori in t-shirt e pantaloncini lo guardano straniti, e i rappresentanti della aziende lo bollano come uno strambo senza dargli l'occasione di parlare.

    Giunti allo stand di NVIDIA, Cevat Yerli perde la pazienza: "Per l'amor del cielo! Veniamo dalla Germania! Dovete guardare la nostra demo!".

    Quella tech demo, denominata X-Isle, lascia i rappresentanti NVIDIA stupefatti. Yerli riceve la proposta di realizzare un software di benchmark per tutte le schede grafiche previste l'anno prossimo, e subito dopo un'altra azienda offre un ulteriore accordo. Quella compagnia è Ubisoft, e vuole assolutamente realizzare un videogioco sfruttando quel magnifico livello di dettaglio. È la nascita di Far Cry.

    L'isola degli uomini bestia: Far Cry

    Con l'ausilio del neonato CryEngine, Crytek pubblica unicamente su PC il primo episodio di Far Cry sotto il marchio di Ubisoft. Per lungo tempo sviluppatori e publisher ragionano sull'idea di implementare una modalità multiplayer alla produzione, ma optano alla fine per una campagna principale da affrontare in singolo. Ad attirare il pubblico ci avrebbe pensato il comparto tecnico, uno dei migliori mai visti per l'epoca.

    L'enorme distanza visiva migliora la soddisfazione nell'uso di fucili da cecchino e armi a lungo raggio, la fisica realistica regge perfettamente il confronto con un successo commerciale come Half-Life 2, e tra illuminazione curata in modo maniacale, pregevoli superfici acquatiche e shader avanzati, Far Cry diventa per gli appassionati un gioco che supera i limiti tecnici della sua stessa generazione.

    Un altro elemento caratterizzante nell'esordio di Far Cry è l'ambientazione. La maggior parte degli FPS di successo vedeva setting ristretti e lineari, mentre il gioco di Crytek si pone all'esatto opposto, calando il protagonista su un'isola selvaggia sconfinata e ricca di opportunità per colpire i nemici: via mare, via terra, scivolando alle spalle di un soldato grazie a un rudimentale sistema stealth o spingendo perfino un masso su un accampamento nemico. La pubblicazione su PC era il prezzo da pagare per avere tutta questa offerta ludica ed estetica in anticipo sui tempi, lo scotto per avere un assaggio di futuro. Se Far Cry risulta ottimo dal punto di vista grafico e di gameplay, lo stesso non si può dire della sua narrativa. Su questo aspetto Crytek aveva tergiversato, temendo che l'iperrealismo risultasse noioso per l'utenza: ecco quindi che il protagonista, Jack Carver, è un ex berretto verde ispirato ai cliché dei film d'azione hollywoodiani; a fare da contraltare troviamo lo scienziato pazzo Gerge Wilhelm Krieger che, con i suoi esperimenti, crea il suo piccolo esercito di creature mutanti (per approfondire, recuperato il nostro speciale sui villain di Far Cry).

    Il cambio di registro, così in contrasto a un'infrastruttura capace di esaltare il realismo degli scontri, viene mal digerito dai giocatori, ma a rallentare la strada di Far Cry verso il successo è soprattutto la sola pubblicazione su PC. Ubisoft, poco tempo dopo, acquista la proprietà intellettuale da Crytek, e tenta l'approccio su console con quelli che, in futuro, verranno considerati capitoli spin-off esterni alla saga.

    Stiamo parlando del porting del primo capitolo con il sottotitolo Instincts e del sequel Evolution; tralasciando i compromessi tecnici necessari all'approdo su altre piattaforme, lo studio francese non comprende che è soprattutto il realismo e la libertà d'approccio delle meccaniche a distinguere Far Cry, e sceglie di dare al protagonista doti sovrumane scatenate dal siero di Krieger, calate per giunta in contesti più lineari. Per dare linfa vitale a una produzione con quelle potenzialità era necessario fare tabula rasa di Jack Carver e di tutto il resto.

    L'AK47 è la livella sociale: Far Cry 2

    Quando arriva il momento di realizzare il primo sequel numerato di Far Cry, Ubisoft ha tutte le responsabilità creative dell'operazione: Crytek aveva infatti ceduto proprietà intellettuale e tecnologia (il CryEngine, dopo opportune modifiche, diventa Dunia Engine) per non apparire come uno studio ristagnante su avventure "sicure". A capo del progetto di Montreal c'è Clint Hocking, dopo il buon risultato raccolto con Splinter Cell: Chaos Theory, subito chiamato a definire una direzione per i lavori.

    "Non volevamo riutilizzare il setting dell'isola tropicale", racconta Hocking a IGN India. "Tutti i sequel per console erano ambientati in quel contesto, e sospettavamo che Crytek stesse realizzando un prodotto con quelle atmosfere. Perché non sfruttare qualcosa di totalmente inedito?". Una domanda lecita, ma con una risposta non scontata da trovare. Il team creativo prende in esame qualsiasi soggetto in un periodo di brainstorming turbolento, dal continente artico al pianeta Marte, per poi scegliere infine l'Africa. Nella terra separata dall'equatore, un piccolo paese fa da teatro a una guerra civile tra membri dell'esercito reale, rimasti a spartirsi il potere governativo dopo la fuga del proprio sovrano.

    Il giocatore è un mercenario come tanti, scelto tra un set di nove personaggi preimpostati, che decide di recarsi nel cuore del conflitto per arricchirsi. La missione principale è uccidere lo Sciacallo, un ex marine senza scrupoli ormai diventato trafficante d'armi che vende a entrambe le fazioni coinvolte. Pur con uno screen time risicato, lo Sciacallo è diventato per molti il primo grande villain della serie: il simbolo di un'avventura più matura e concentrata sulle oscurità della guerra, quando le vite umane sono una merce come un'altra da consumare per il tornaconto di pochi.

    Passando all'impianto ludico, ritorna il realismo apprezzato nel capitolo d'esordio: il giocatore adesso deve stare attento alla manutenzione delle armi, che potrebbero abbandonarlo durante uno scontro, e può sfruttare le fiamme per dar fuoco a interi campi brulicanti di soldati. Come se non bastasse, il mercenario scelto contrae la malaria, e le pillole per rallentare i sintomi della malattia non sono facili da reperire. Ubisoft Montreal costruisce il proprio sandbox attorno al concetto de "l'uomo pianifica, Dio ride", ossia l'idea che anche la strategia più minuziosa può cader vittima del fato: per esempio le già citate fiamme, propagandosi rapidamente, potrebbero scatenare un inferno a cui è impossibile sfuggire.

    Gli sviluppatori vogliono quindi mettere sotto pressione il giocatore, costringerlo a reagire con tutte le sue forze a un ambiente ostile. Il mix di libertà d'approccio, setting inedito e toni maturi rendono Far Cry 2 un prodotto ben accolto da critica e pubblico, capace di raggiungere il milione di copie vendute in appena tre settimane. Non tutto funziona alla perfezione, e un design delle missioni piuttosto piatto e qualche bug di troppo precludono al titolo l'eccellenza. Ciononostante, per molti utenti il secondo episodio della serie resterà un picco qualitativo mai più ripetuto.

    Il tormentone della follia: Far Cry 3

    Seppur con un buon risultato, quando inizia lo sviluppo di Far Cry 3 il team creativo di Ubisoft Montreal viene rivoluzionato subito dopo l'avvio dei lavori: Clint Hocking viene dapprima assegnato a un altro progetto per poi lasciare l'azienda e passare a LucasArts, il narrative director saluta i colleghi per unirsi a Relic Entertainment e il creative director Josh Mosquiera abbandona la barca per un'assunzione in Blizzard.

    A occuparsi del terzo capitolo è quindi un gruppo di giovani talenti forse allo sbaraglio, ma anche liberi da qualsiasi preconcetto legato al franchise. Per comprendere le difficoltà dello sviluppo, basta recuperare la testimonianza del level design director di Far Cry 3, Mark Thompson: costruire una mappa aperta, infatti, non permette a uno specifico spazio di "esistere". Per esempio non si possono prevedere coperture perfette quando un manipolo di soldati o un animale selvaggio appare casualmente in un'area, e quella specifica zona deve risultare interessante anche a una seconda visita. Il punto dell'ambientazione, tornata alle isole tropicali con l'arcipelago delle Rook Island, è che tutto deve essere organico, ossia percepito come coerente e unito dal giocatore. Thompson e il suo team si impegnano nel generare un mondo naturale con limitazioni artificiali, e iniziano a selezionare elementi che, al bisogno, possono diventare coperture improvvisate in caso di scontri inaspettati.

    Il Dunia Engine, eredità di Far Cry 2, favorisce un lavoro di questo tipo e aiuta il team a costruire e sperimentare rapidamente le migliori soluzioni. Questa volta, però, Ubisoft Montreal vuole lavorare sui dettagli: laddove il continente africano appariva spoglio, l'arcipelago deve essere un ricco concentrato di elementi credibili. Sul fronte della storia, invece, viene esclusa la possibilità di affrontare gli eventi in co-op, dato che la narrativa trasmette un forte senso di solitudine (la modalità cooperativa vede altri personaggi in una linea temporale differente).

    Il protagonista Jason Brody è infatti uno studente americano come tanti che, in vacanza verso Bangkok insieme ai suoi amici, finisce nelle grinfie dei pirati di Vaas Montenegro, sottoposto del signore della guerra Hoyt Volker. Solo e con i suoi cari ancora in pericolo, Jason è costretto a maturare e migliorare in fretta per sopravvivere alle Rook Island.

    Sangue di DragoFinita la produzione Ubisoft sollecita lo studio a creare contenuti aggiuntivi per il gioco, chiedendo espressamente "qualcosa di inaspettato". Il team, ormai stanco e al lavoro su altri giochi, era scocciato dal dover seguire stilemi "reali" e coerenti. Era tempo di stravolgere tutto, e Dean Evans propone un'avventura totalmente assurda ispirata all'estetica degli anni ‘80: un cattivo stereotipato, un eroe tutto muscoli e testosterone e draghi robot da cavalcare. Lo sviluppo, imbastito come se il contenuto fosse una mod di Far Cry 3, ha portato al DLC standalone Blood Dragon, anch'esso largamente apprezzato dal pubblico.

    A fronte di un intreccio drammatico, gli sviluppatori hanno un'altra problematica da affrontare: come legare il pathos degli eventi a una struttura open world che rischia di annacquare tutto con le necessarie attività collaterali? La scelta di Ubisoft è quella di far sorgere un dubbio nel giocatore, ossia mettere in discussione la decisione stessa di fuggire dall'arcipelago. Se all'inizio l'utente vive l'incubo di Jason, man mano che passano le ore le priorità mutano, al pari delle capacità del protagonista, che accrescono rendendolo una perfetta macchina da guerra. Un one man army che passa da preda a cacciatore, soprattutto quando decide di fronteggiare il folle Vaas, rimasto nella memoria collettiva come il villain più amato della serie. Ecco quindi che il finale chiede di compiere la scelta ultima: salvare gli ostaggi e tornare alla banale normalità o abbracciare la via del guerriero lasciandosi alle spalle la civiltà? Grazie alla fusione di tutti questi elementi, compreso un impasto ludico che premia lo stealth senza negare la possibilità di mettere a ferro e fuoco accampamenti interi, Far Cry 3 segna l'esplosione commerciale della serie, che diventerà la seconda più redditizia nel portfolio di Ubisoft.

    I want it all: Far Cry 4

    Il terzo capitolo segna un successo strepitoso, ma anche il limite da superare per Ubisoft che, nelle prime battute dei lavori su Far Cry 4, si lascia ingolosire dall'idea di riportare la medesima ricetta sugli scaffali: dal prosieguo delle avventure di Jason a una seconda storia ambientata nelle Rook Island, passando perfino per la tentazione di far ritornare Vaas Montenegro.

    Un proposito che secondo le cronache dura appena quattro giorni, il tempo necessario a capire su cosa puntare realmente. Il collettivo di Ubisoft Montreal si impone un dogma, ossia "volere tutto": grande narrativa, ambientazioni selvagge, animali da sfruttare negli attacchi ai soldati e alcuni, come l'elefante, perfino da cavalcare; ma anche nuovi veicoli da guidare e, soprattutto, una verticalità maggiore del level design. Prende quindi vita il Kyrat, una fittizia zona montuosa dell'Himalaya ispirata all'India, al Nepal e al Tibet. Un'area a tratti innevata, che giustifica pienamente l'introduzione di una corda per scalata, associata alla tuta alare del capitolo precedente. Di fatto viene applicata la formula di sicuro successo del "bigger and better", in cui riproporre tutti gli elementi ludici del terzo episodio ampliati dove necessario. Tuttavia il fantasma di un certo pirata aleggia ormai sulla saga. Vaas Montenegro, infatti, era rimasto nella memoria collettiva, e tutti i fan conoscevano a memoria il suo monologo sul significato di follia. Per cercare di andare oltre il villain ormai sinonimo della serie, Ubisoft pone Pagan Min come antagonista principale al giovane Ajay Ghale, che si reca nel Kyrat per spargere le ceneri della madre deceduta.

    Pagan Min è un dittatore sanguinario, un folle capace di uccidere un suo sottoposto a sangue freddo, ma anche un uomo collegato allo stesso Ajay da vicende personali. Senza scendere nei dettagli, questo aspetto è stato voluto dagli sviluppatori seguendo un preciso concetto, ossia quello di generare una tensione drammatica attorno all'antagonista. Era convinzione degli autori di Ubisoft che in un videogioco l'utente sa sempre che, prima o poi, avrà la meglio. Pagan Min è il tentativo di sovvertire a questa consuetudine dato che, di fatto, non si pone mai nella posizione di voler ferire personalmente Ajay.

    Ne è la dimostrazione un finale segreto che permette di terminare Far Cry 4 in venti minuti, semplicemente aspettando il villain restando seduti comodamente al suo tavolo. Un tentativo di scrittura complesso, non compreso da tutti, ma nonostante l'insorgere dei primi dubbi Far Cry 4 ottiene il premio di miglior shooter ai Game Awards del 2014 e bissa le vendite del predecessore. Per saperne di più vi rimandiamo alla recensione di Far Cry 4.

    Essere benedetti: Far Cry 5

    Dopo una breve parentesi con lo spin-off Primal, ambientato nell'età della pietra, iniziano a emergere alcuni difetti storici della serie, ossia degli elementi che iniziano a pesare per pubblico e critica: Vaas è ancora il villain più amato, mentre la progressione scandita da torri o punti di interesse da conquistare per mostrare porzioni della mappa appare stantia e riciclata. Ubisoft vuole dare uno scossone al franchise, dall'ambientazione alla narrativa, passando per l'infrastruttura ludica, senza cedere nulla sul fronte dell'ambizione.

    Per portare a termine questo compito viene composto un team di talenti: c'è per esempio Dan Hay, executive producer con un passato in Far Cry 3, mentre per la scrittura viene coinvolto Drew Holmes, collaboratore in Bioshock: Infinite e il suo DLC Burial at Sea. Il nuovo episodio non è ambientato in luoghi esotici o epoche lontane, ma nella cittadina di Hope County, in Montana, nel presente. Il territorio americano viene scelto per la sua straordinaria ricchezza e varietà naturale, e una delegazione di Ubisoft compie diverse ricerche sul campo per ricostruire i biomi con la tecnica della fotogrammetria. Le vicende, attingendo ai meandri più oscuri della società, vedono un gruppo religioso, gli edenisti, prendere il controllo della zona sotto gli il naso dell'opinione pubblica, fino a quando un'indagine sotto copertura non fa emergere il lato più violento e illegale della setta.

    Il tema della religione viene esaminato dagli sviluppatori con la collaborazione dell'esperto di culti Rick Alan Ross che, oltre a fornire dettagli storici su macabre vicende, sintetizza le caratteristiche dei fanatici religiosi in tre punti fondamentali: ogni gruppo ha un leader carismatico e totalitario che diventa in prima persona oggetto di culto; il gruppo ha un potere di persuasione coercitiva con cui abbatte le certezze di un individuo, facendo nascere in lui un'influenza indebita nei confronti del culto e del leader; infine, cosa da non sottovalutare, il gruppo è armato e pericoloso.

    Ubisoft tratteggia quindi il culto di Eden's Gate capeggiato dal profeta Joseph Seed, colui che sente la voce dell'onnipotente e guida la sua mano, e dai suoi fratelli Jacob, John e Faith. Ognuno rappresenta un'interpretazione malsana del concetto di fede, un credo indottrinato con l'uso sostanze psicotrope e punizioni corporali. Gli sforzi degli sviluppatori si concentrano anche nella progressione, con l'eliminazione delle ormai stantie torri radio da conquistare per sbloccare porzioni di mappa.

    Ubisoft tenta quindi di rompere i legami col passato, e questo aspetto viene percepito dall'utenza, che premia Far Cry 5 con il miglior lancio del franchise in termini di vendite. Tuttavia c'è altro da prendere in considerazione. Per aggiungere nuove meccaniche, gli sviluppatori inseriscono un vero e proprio "buddy system", che consente di avere compagno governato dall'intelligenza artificiale: da cecchini a piloti di aerei, passando per orsi grizzly e altri animali selvatici.

    Inizia a venir meno quel realismo storico del brand, sostituito dallo spettacolo di attacchi sempre più caotici e pirotecnici. Perfino la conclusione della trama principale risulta letteralmente esplosiva, e aprirà successivamente la strada allo spin-off post apocalittico New Dawn.

    Far Cry 6 Cosa è cambiato quindi in tutto questo tempo per Far Cry? Innanzitutto parte della sua identità, anche se questa non mai stata definita pienamente. Siamo passati da avventure in cui convivevano l'action senza fronzoli e il realismo delle meccaniche a scenari di guerra civile crudi e soverchianti, per poi scontrarci con diversi gradi di follia contrapposti da meccaniche tendenti all'esagerazione estrema. Far Cry è un po' di tutto: conflitti e adrenalina, esplosioni e caos per il solo gusto di scatenarlo, pazzia brutale e deliri di onnipotenza. E chissà cosa ci riserverà il futuro del franchise.

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