Life is Strange True Colors: emozioni ed empatia nei videogiochi

Abbiamo parlato di emozioni ed empatia con la psicologa Viola Nicolucci per portarvi alla scoperta dei poteri emotivi dei videogiochi.

Life is Strange True Colors: emozioni ed empatia nei videogiochi
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  • Nella storia d'esordio di Spider-Man su Amazing Fantasy #15, a firma di Stan Lee, Peter Parker impara dalla morte dello zio Ben un'amara lezione: da grandi poteri derivano grandi responsabilità. La vignetta finale del fumetto può essere connessa idealmente al percorso di Alex Chen nell'ultimo capitolo della pluripremiata serie videoludica. Se volete approfondire vi rimandiamo alla recensione di Life is Strange True Colors.

    Alex riesce a percepire con sovrumana limpidezza le emozioni altrui, da lei visualizzate come aure colorate che circondano il soggetto interessato. Non solo: il loro potere può entrare dentro di lei, prendendo possesso della sua mente. Come è comprensibile, la ragazza è spaventata da ciò che percepisce più come una maledizione che come una straordinaria capacità... con cui dovrà, però, imparare a fare i conti.

    Tutti noi dobbiamo imparare a gestire la nostra emotività, e il mondo videoludico può darci alcune brillanti lezioni. Ne abbiamo parlato con Viola Nicolucci, psicologa e psicoterapeuta con una formazione in neuroscienze, da anni impegnata nello studio della cyberpsicologia, disciplina che approfondisce l'impatto delle tecnologie digitali - inclusi i videogiochi - sugli esseri umani come singoli e nelle loro formazioni sociali. Seguiteci in questo viaggio: vi promettiamo che sarà affascinante.

    Persone fatte di pixel

    La giovane protagonista di Life is Strange: True Colors ha appena traslocato a Haven Springs, e nelle fasi iniziali dell'avventura si percepisce il suo impegno nell'inserirsi in questo nuovo contesto: una situazione in cui molti di noi possono riconoscersi, magari perché si sono trasferiti in una città diversa da quella d'origine per frequentare l'università, oppure perché hanno trovato lavoro in un luogo distante, fino ad allora sconosciuto.

    Metterci nei panni di Alex, persona diversa da noi (addirittura formata da pixel, non cellule) implica l'utilizzo delle nostre capacità di empatia cognitiva.

    Alex Chen, però, va oltre, e questo grazie ad un superpotere che porta all'ennesima potenza l'altra faccia della medaglia dell'empatia: gli studiosi parlano di empatia emotiva. "Si tratta della capacità di riconoscere e rispondere alle emozioni altrui", spiega Nicolucci, "e sicuramente rappresentare l'empatia come valore in un gioco è molto interessante".

    Materia potente e magmatica, le emozioni, così potente che Alex ha paura dei loro effetti su di lei, data la loro capacità di "contagiarla" e di condizionare le sue azioni. "Questo aspetto può consentire di affrontare il tema della capacità di autoregolazione delle emozioni", secondo la psicologa: un aspetto fondamentale, ad esempio, nelle professioni mediche. Un oncologo si trova spesso dinanzi a situazioni dolorose, obbligato a fornire diagnosi spiacevoli, che potrebbero togliere ogni speranza al paziente; un buon autocontrollo emotivo sarà, di fatto, la linea di demarcazione tra l'appendere il camice al chiodo e la prosecuzione della sua professione. Nell'esperienza professionale di Nicolucci, "le persone hanno poca consapevolezza delle emozioni, sia proprie che altrui. Proviamo emozioni - e soprattutto reagiamo ad esse - ma non siamo educati a riconoscerle e a dar loro un nome. Capire cosa proviamo potrebbe invece portarci a scelte e comportamenti migliori e a una maggiore comprensione dell'altro".

    Gli sviluppatori di Life is Strange: True Colors hanno scelto i colori come indicatore delle emozioni provate dai personaggi con cui Alex interagisce. È una scelta efficace, sebbene non nuova: Inside Out (2015), co-prodotto da Disney e Pixar, esplorava queste tematiche dando corpo a cinque emozioni fondamentali. Nella mente della piccola Riley Andersen, Gioia, Rabbia, Disgusto, Paura e Tristezza sono tutte caratterizzate da un colore specifico, che le rende facilmente riconoscibili per lo spettatore, anche grazie alle espressioni e ai toni di voce utilizzati da ognuno dei personaggi che rappresentano queste emozioni.

    Come ci ha ricordato Nicolucci nel corso della nostra intervista, nel caso di Inside Out i registi Pete Docter e Ronnie del Carmen si sono avvalsi della collaborazione di un professionista d'eccezione: il celebre psicologo Paul Elkman. La liaison Elkman-Pixar parte da lontano, e più precisamente da Toy Story (1995).

    Grazie a questa collaborazione, Pixar è riuscita, nel corso degli anni, ad elaborare un complesso database di espressioni facciali che stimolano il coinvolgimento e l'empatia dello spettatore: insomma, i decenni d'esperienza di Elkman, pioniere nello studio delle emozioni e delle espressioni facciali, sono un ingrediente fondamentale negli straordinari cocktail di Pixar! Anche gli sviluppatori di Life is Strange: True Colors, che pone al centro del gameplay e della storia proprio i sentimenti dei suoi protagonisti, hanno prestato una forte attenzione agli aspetti visivi dell'emotività.

    Alla scoperta dell'altro

    Il videogioco può quindi essere importante per promuovere e migliorare le capacità empatiche dei giocatori, anche se non mancano i falsi miti da sfatare. Ci pensa Nicolucci: "si pensa erroneamente che i videogiochi ‘riprogrammino' il cervello, ma in realtà il cervello è immerso negli stimoli. Interagendo con questi, impara, e l'apprendimento genera nuovi comportamenti".

    Possono aprirsi nuove finestre, insomma - nuove possibilità. Bisogna però tenere a mente, come ricorda la psicologa, che "l'esperienza videoludica è soggettiva: ogni giocatore ha la sua storia personale, che lo porterà a provare emozioni almeno in parte diverse".

    Queste molteplici risposte emotive possono essere interpretate, incoraggiate, ed essere oggetto di riflessione critica all'interno dei programmi d'insegnamento.

    "Negli Stati Uniti d'America non è inusuale usare i videogiochi a scuola per promuovere capacità sociali ed emotive, all'interno di programmi di Social and Emotional Learning (SEL)", ci spiega Nicolucci. Anche in Italia non mancano progetti pilota volti ad introdurre nei programmi ministeriali nuovi moduli didattici destinati a genitori, corpo insegnante e alunni per educare ad una migliore gestione delle emozioni, e il videogioco può ricoprire un ruolo di primo piano, tenendo a mente che "è fondamentale il ruolo di educatore, insegnante o psicologo per selezionare i titoli su cui lavorare, ma soprattutto per aiutare bambini e ragazzi a riflettere sui contenuti". In altre parole, la mediazione di un adulto autorevole è essenziale nella vita emotiva dei ragazzi, poiché, come afferma Nicolucci, "la sola esposizione ai contenuti non è sufficiente alla sensibilizzazione, né lo è il medium videoludico solamente per le sue caratteristiche immersive. È invece la presenza di un moderatore", prosegue, "ad aiutare i partecipanti nello sviluppo di un pensiero critico e di una sensibilità sui contenuti".

    Per fare ciò è essenziale aumentare la game literacy di insegnanti, psicologi e anche genitori: nel mondo videoludico, realtà come Ubisoft sono in prima linea nel fornire strumenti adeguati a grandi e piccini (ve ne abbiamo parlato nel nostro speciale sull'evento Ubisoft Keys to Learn 2021).

    D'altronde, è impossibile non cogliere il potenziale educativo (per tutti!) di videogiochi come Never Alone (2014), avventura puzzle platformer che mira a preservare i miti e le tradizioni del popolo Inupiat, nativo dell'Alaska. Tutto, in Never Alone, è basato sulla trasmissione intergenerazionale della conoscenza tramite la narrazione orale. In un mondo in cui le culture indigene sono messe a rischio dalla globalizzazione - anche se l'uomo è da sempre capace di spazzar via i nativi senza rimorsi né domanda: si veda il caso degli indiani d'America - operazioni come questa riescono ad eternare una cultura e a sensibilizzare il pubblico, promuovendo un atteggiamento di apertura verso la diversità. Se volete scoprire di più, trovate qui la nostra recensione di Never Alone.

    Persone, non numeri

    Dell'individualismo della società occidentale parla anche Nicolucci, che evidenzia la scarsa consapevolezza che molti hanno dell'altro e del diverso: "per questo sono favorevole all'uso di strumenti che ci aiutino a metterci nei panni degli altri", dice, e avventure come Life is Strange: True Colors sono una gradita aggiunta al parterre di videogiochi che incoraggiano un'indagine che non sia uno sguardo frettoloso e distratto sulle sensazioni ed emozioni altrui.

    La psicologa ci ha messi al corrente dell'utilizzo, in alcune scuole italiane, di Bury me, my Love (2019) per parlare della crisi dei rifugiati siriani, troppo spesso percepiti come anonimi numeri annunciati da un telegiornale. In questa avventura testuale si segue il cammino di Nour, una migrante siriana che abbandona la sua terra per tentare di raggiungere l'Europa. A connetterla con la sua famiglia e il suo Paese resta soltanto un telefono cellulare: il giocatore interpreta il marito, Majd, che le offre supporto e vicinanza (seppur virtuale) tramite una app di messaggistica. L'impatto delle scelte effettuate è significativo, visto che i finali possibili sono ben diciannove.

    Restando in Medio Oriente, si è appena conclusa la ventennale guerra in Afghanistan, e il ritiro completo delle truppe occidentali è terminato qualche giorno prima della scrittura di questo pezzo. September 12th: A Toy World (2003), serious game sviluppato da un team uruguaiano, è clamoroso e per nulla sottile nel modo in cui riesce a sintetizzare la futilità della War on Terror tramite il suo gameplay. Le bombe lanciate dal giocatore per eliminare i terroristi creano massicci danni collaterali, uccidendo, inevitabilmente, anche molti innocenti; i sopravvissuti, mossi dall'odio verso il nemico, diventano a loro volta terroristi.

    Non c'è modo di vincere, perché ben presto le nostre azioni avranno distrutto completamente il villaggio mediorientale che ospita gli obiettivi e saranno rimasti soltanto terroristi a camminare nella sua devastazione. Già le istruzioni iniziali avvertono il "giocatore": "questo non è un gioco. Non puoi vincere e non puoi perdere. Questa è una simulazione. Non ha fine. È già iniziata". L'unica scelta possibile? Puoi non sparare. E andare oltre: puoi spegnere il PC... e iniziare a discutere dei temi affrontati da September 12th, che ci mette a disagio per incoraggiarci a porci delle domande.

    Abbiamo avvertito lo stesso senso d'impotenza, seguito dal tentativo (inutile) di poggiare il controller per cambiare le cose, in una particolare situazione di The Last of Us Parte II (2020). Non è servito a niente, e alla fine molti fra noi hanno scelto di andare fino in fondo: la responsabilità di quei pugni è stata di Ellie, e anche nostra.

    Anche situazioni diverse da quelle di conflitto e migrazione possono essere meritevoli della nostra attenzione - perché, molto spesso, poggiamo un occhio inclemente anche su persone a noi vicine. Victorine, protagonista di Behind Every Great One (2018) si trova costantemente a subire il giudizio del marito, della sorella, della suocera, e basterebbe un po' d'empatia nei suoi confronti per aiutarla e per migliorare la sua situazione personale. L'empatia potrebbe mancare anche a chi la controlla: il giocatore. Sono molto diffusi, infatti, i pregiudizi nei confronti di chi si dedica al lavoro domestico.

    Impotenza e malattia

    Abbiamo già accennato all'importanza vitale del controllo delle emozioni per gli operatori nelle professioni mediche. Parlando più nello specifico di empatia, è impossibile non citare That Dragon, Cancer (2016), sviluppato dai genitori di Joel, bambino morto di cancro nel 2014.

    Si tratta di un viaggio emozionale intenso, e che inevitabilmente segnerà il giocatore: in alcune situazioni si sperimenta l'impotenza dinanzi alla malattia, e non si può far altro se non attendere che il bambino, sofferente a causa della chemioterapia, smetta di piangere, senza poter far nulla di utile per alleviare il suo (e il nostro) dolore.

    Si discute animatamente sull'opportunità di inserire dai trigger warning sui contenuti sensibili presenti all'interno dei videogiochi.

    Parte dei giocatori ritiene che si tratterebbe di spoiler capaci di rovinare l'esperienza, ma numerosi specialisti la pensano diversamente. È il caso di Kelli Dunlap, psicologa e Adjunct Professor di Game Design presso l'American University di Washington: nel corso dell'ultima Game Developers Conference, Dunlap ha sostenuto che, sebbene non esistano argomenti che i videogiochi non possano trattare, è dovere degli sviluppatori minimizzare l'impatto che esperienze emotive intense evocate dal videogioco possono avere sui giocatori. Nicolucci condivide questa impostazione: "sempre più professionisti della salute mentale stanno bussando alle porte della game industry per sensibilizzare gli studi di produzione a disegnare esperienze che siano etiche verso i giocatori. L'esposizione a simulazioni traumatiche non controllabili, dove il giocatore non ha potere di agency, può essere deleteria". Un esempio virtuoso? Hellblade: Senua's Sacrifice (2017) è ambientato in una società arcaica in cui la protagonista, affetta da una grave forma di psicosi, non può ricevere alcun trattamento psicologico, né tantomeno psichiatrico: l'avventura è una discesa negli Inferi della malattia mentale, ed è un'esperienza senz'altro disturbante, specie per persone con un determinato tipo di background.

    Nella schermata d'apertura si avverte il giocatore: "Questo gioco contiene rappresentazioni di psicosi". Non solo: si fornisce anche un link con i contatti di diversi centri per la salute mentale, a seconda dello Stato di appartenenza. "C'è una tendenza a sottovalutare il fatto che i videogiocatori possano aver subito dei traumi", spiega Nicolucci, "si tratta solo di dare al videogiocatore il potere di scegliere per sé". Senza suggerire alcuna censura - ma fornendo chiarezza.

    Una maggiore attenzione alla comprensione del prossimo e alla drammatica situazione che stiamo vivendo in questo momento di pandemia potrebbe aiutare i giocatori a tenere dei rapporti più sani con gli sviluppatori, persone in carne ed ossa impegnate in un lavoro che può essere spesso sfibrante, specie se connotato dal crunch time che contraddistingue alcuni dei più blasonati studi al mondo.

    Sono tristemente noti gli episodi di tossicità dell'utenza in occasione dei numerosi rinvii che giochi celebri, annunciati, in alcuni casi, da diversi anni, stanno subendo anche a causa delle difficoltà vissute dai game developers nel mantenere un flusso di lavoro efficiente e costante in questo periodo difficile: giusto per fare un esempio tra molti, Alanah Pearce, Game Writer presso Santa Monica Studios, ha subito minacce di morte e di stupro in seguito al rinvio al 2022 di God of War Ragnarok, la cui uscita era stata annunciata per quest'anno. Metterci nei panni degli sviluppatori ci aiuterebbe senz'altro a percepire il reale valore delle nostre parole, che sono dotate di peso e sostanza, a dispetto di quello che alcuni pensano. Parlavamo di Behind Every Great One; è recentissima l'uscita della raccolta Essays on Empathy (2021), pubblicata da Devolver Digital e incentrata su dieci titoli sviluppati da Deconstructeam, i creatori dell'avventura della casalinga Victorine.

    Dieci storie diverse, tanti personaggi in cui immedesimarci, tra cui anche gli sviluppatori, protagonisti di un documentario sullo studio e su come siano nati i videogiochi proposti. Essays on Empathy è il miglior titolo possibile per un'operazione che rompe i muri tra utenza e sviluppatori e, con delicatezza, ci offre una prospettiva diretta e onesta sulla vita di chi crea avventure virtuali.

    Non siamo però nuovi a vicende negative sulla falsariga di quella accaduta a Pearce, episodi che hanno un impatto rilevante sul benessere psicologico delle vittime.

    Gli sviluppatori di No Man's Sky (2016), Hello Games - e in particolare il fondatore dello studio, Sean Murray - sono stati bersaglio di una vera e propria campagna d'odio da parte dei giocatori, delusi dal (pur magnifico, fin dall'inizio) universo procedurale videoludico. Che oggi, dopo tantissime aggiunte e miglioramenti e un enorme lavoro da parte del team, profuma più che mai d'infinito e libertà. Alla domanda su quali siano i personaggi videoludici verso cui prova più empatia, Nicolucci ci ha dato una risposta meravigliosa: "vengo da una famiglia di artigiani e artisti. Se c'è qualcuno con cui mi sento empatica sono i lavoratori dell'industria, che creano un sogno per il pubblico".

    Life is Strange: True Colors, insieme ad altre avventure videoludiche, fornisce ai giocatori un contesto sicuro per esercitare la propria empatia, riflettere sulle emozioni e imparare a controllarle. Senza pretesa d'esaustività, speriamo che questa carrellata di videogiochi, tra cui spiccano numerosi indie, vi abbia incuriosito... e magari emozionato. Ringraziamo la psicologa e psicoterapeuta Viola Nicolucci per la sua disponibilità e per il suo impegno nello studio e nella divulgazione del videogioco come importante mezzo educativo. Vogliamo chiedervi: quali sono i videogame che hanno risvegliato in voi le emozioni più intense? Vi aspettiamo per discuterne nello spazio dedicato ai commenti!

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