Mad Box: la folle storia di una console mai uscita

Nel 2019 Slightly Mad Studios annuncia Mad Box, console destinata diventare una delle più fugaci meteore della recente storia videoludica.

Mad Box: la folle storia di una console mai uscita
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Quasi tre anni fa, su queste stesse pagine, l'improbabile annuncio di un nuovo pretendente - si fa per dire - alla corona della next-gen videoludica ci spinse a lasciarci in una corposa serie di considerazioni sulla fattibilità di tale impresa, promossa non da un gigante dell'industria tecnologica ma da un'azienda relativamente piccola e senza alcuna esperienza nello sviluppo di hardware da gioco. Parliamo ovviamente di Slightly Mad Studios e della loro Mad Box, probabilmente una delle più fugaci meteore della recente storia videoludica.

La folle proposta di Slightly Mad Studios

Era il due gennaio del 2019 quando, con la prevedibilità di una pioggia di marmotte nel deserto del Sahara, gli Slightly Mad Studios annunciarono il loro ingresso nel mercato dell'hardware da gioco con Mad Box, "la console più potente mai concepita". Con una sventagliata di tweet ad alto tasso di entusiasmo, il CEO dello studio londinese delineò il "folle" profilo tecnologico della sua macchina da salotto: giochi in 4K, frame rate fino a 120 fps e totale compatibilità con i principali headset per la realtà virtuale, ovviamente con prestazioni paragonabili a quelle che avrebbero avuto i PC di fascia alta nel giro di due anni.

Irrefrenabile, Ian Bell si disse determinato a rivoluzionare il "micro-oligopolio" di Sony, Microsoft e Nintendo, e dichiarò di avere già dei contatti nel mondo della manifattura per portare a compimento l'impresa, il tutto con la prospettiva di raggiungere il mercato entro tre anni e con un prezzo competitivo rispetto alle proposte next-gen della futura concorrenza. Proposte che al tempo, vale la pena di precisarlo, non erano ancora state ufficialmente presentate.

A poco meno di due anni dall'inizio dell'attuale generazione videoludica, insomma, uno studio di medie dimensioni specializzato in racing game, senza alcun precedente nella progettazione hardware, e con risorse estremamente limitate in relazione alle altissime soglie d'ingresso del mercato console, lanciò pubblicamente un guanto di sfida ai colossi inamovibili dell'industria. Avete presente la storia di Davide e Golia? Ecco, ora prendete la parola "fionda", sostituitela con "besciamella" e avrete comunque un duello più equilibrato di quello che gli Slightly Mad Studios si apprestavano ad affrontare.

Per dovere di cronaca, Ian Bell precisò che la sua azienda non era l'unica promotrice del progetto, che stando alle parole del CEO poteva contare su alcuni importanti partner, presumibilmente disposti a scommettere notevoli somme sulla buona riuscita di Mad Box. A prescindere dall'opulenza finanziaria di questi associati, rimasti ignoti, oggi come allora è quantomeno difficile credere che gli Slightly Mad Studios avessero delle concrete possibilità di raggiungere i propri obiettivi, a maggior ragione considerando ciò che successe in seguito.

L'unica console sconfitta dal gaming on demand

Il 19 marzo del 2019, a meno di tre mesi dall'annuncio di Mad Box, Google celebrò il suo ingresso nel mercato videoludico presentando al pubblico Stadia, una piattaforma di cloud gaming pensata per offrire agli utenti un punto di accesso al gioco che non fosse legato a nessuno specifico hardware. In questa sede eviteremo di soffermarci sulle sorti del servizio in questione, le cui ambizioni sono state fortemente ridimensionate rispetto ai piani iniziali, ma pare che l'avvento di Stadia abbia avuto un impatto dirompente sul futuro di Mad Box.

Stando alle dichiarazioni di Nathan Bell, l'online marketing director di Slightly Mad Studios, la presentazione di Stadia convinse due dei loro principali investitori a tirarsi indietro per valutare opportunità più allettanti. "Il futuro del gaming non è in una scatola", disse Phil Harrison sul palco della GDC 2019: una frase che apparentemente generò un certo scompiglio tra i partner dello studio britannico, che di punto in bianco si ritrovò senza un'ampia fetta delle risorse necessarie per portare avanti il suo progetto.

Di fatto Mad Box è stata la prima console casalinga a perdere la battaglia contro il cloud gaming, e senza neanche scendere in campo. Nel giro di una settimana il team fu inoltre costretto a rimettere in discussione il nome da dare alla sua - sempre meno plausibile - super console. Il 25 marzo la registrazione del marchio Mad Box fu contestata da una società francese, un piccolo studio di sviluppo chiamato Madbox, che giustificò l'opposizione spiegando come la somiglianza tra i brand avrebbe potuto generare un po' di confusione tra le file del pubblico.

In tutta onestà, abbiamo dei forti dubbi sull'effettiva sussistenza di questo rischio, ed è probabile che nel discernere le due cose gli utenti non avrebbero faticato più di quanto non serva per distinguere un trapano da uno sgabello, ma la compagnia decise comunque di ritirare la richiesta per evitare ulteriori problemi. Il 5 aprile nel 2019, quindi, l'azienda non aveva più né un nome né risorse per il proprio progetto, il tutto ad appena un trimestre dal reveal.

A maggio Bell dichiarò di essere alla ricerca di un nuovo nome per la console, ma era chiaro che il folle sogno dello studio inglese era già condannato all'oblio. Se all'inizio l'arrivo sul mercato di Mad Box era probabile quanto una vittoria alla lotteria di Capodanno, a questo punto le possibilità di riuscita erano le stesse che ha lo scrivente di conquistare la corona di Miss Muretto di Alassio.

Vi lascio qualche istante per metabolizzare le immagini mentali dell'incoronazione. Bene, andiamo avanti. Dopo otto mesi di totale silenzio sul progetto, gli Slightly Mad Studios vennero acquisiti da Codemasters, successivamente diventata una sussidiaria di Electronic Arts: un duplice passaggio di consegne che portò Mad Box ad occupare un posticino nel limbo delle console mai prodotte, un luogo lastricato di rimpianti e promesse infrante dove si agitano gli spiriti di macchine improbabili come il Konix Multisystem o l'Atari Cosmos.

Non sarà certo il più edificante dei finali, ma siamo piuttosto certi che, malgrado tutto, il fallimento "embrionale" di Mad Box sia stata una benedizione per gli Slightly Mad Studios, che con tutta probabilità non sarebbero riusciti a sopravvivere allo schianto contro i titani dell'industria. Sia come sia, non sapremo mai quanta sostanza ci fosse davvero dietro ai proclami di Ian Bell, ma se oggi dovessimo scommettere diremmo "non molta".
E voi che ne pensate?