Microsoft vs FTC: una vittoria storica, ma è davvero finita?
La vittoria di Microsoft contro l'FTC è il risultato di un dibattimento che, spesso e volentieri, si è concentrato sugli aspetti sbagliati della questione.
Dopo mesi di battaglie legali, botta e risposta al vetriolo, polemiche multiformi e indiscrezioni di portata variabile, il processo di acquisizione di Activision Blizzard da parte di Microsoft potrebbe aver finalmente raggiunto le sue battute conclusive. La recente sentenza del tribunale di San Francisco sembra infatti aver segnato un punto di svolta per la vicenda, sebbene la strada verso la chiusura dell'accordo non sia ancora libera da ostacoli. In attesa di scoprire, di qui a qualche giorno, se la telenovela più popolare della gaming industry sarà rinnovata per un'altra stagione, approfittiamo dell'occasione per tirare le somme sull'ultima tappa di questa storia irta di controversie.
Un conflitto combattuto su tre fronti
Prima di entrare nel vivo della questione, permetteteci di diradare ogni traccia di romanticismo erroneamente adesa al discorso in fieri. Immaginateci come uno zio che alla vigilia di Natale, sospinto da un mix di barolo e nichilismo proletario, svela ai nipotini che il signore di rosso vestito è solo un sottoprodotto della Coca-Cola Company. Questo subito prima di trincerarsi in un rigoroso silenzio stampa, in realtà frutto di una improvvisa letargia da frittura.
Messo da parte questo discutibile accostamento, torniamo quindi a specificare l'ovvio: il procedimento che ha visto contrapporsi Microsoft ed FTC, coinvolgendo più o meno direttamente altri attori dell'industria videoludica, ha esposto un mosaico di dinamiche che non possono essere soppesate in termini di "giusto o sbagliato", o considerando il "bene" dei consumatori come un elemento di valore assoluto. Discorsi di questo genere, che siano o meno figli di una certa partigianeria, hanno poco a che vedere con la battaglia legale appena terminata, che ha posto al centro del contenzioso gli equilibri competitivi del mercato e i proventi che ne derivano.
D'altronde è stata la stessa FTC a dare questo taglio al dibattimento, focalizzandosi sulle conseguenze che l'acquisizione di Activision avrebbe avuto sugli altri protagonisti della gaming industry - Sony in primis - e marginalizzando fin troppo le sue ripercussioni sull'utenza. Si tratta di una linea coerente con la rotta tracciata da Lina Khan dopo la sua elezione a presidente della Commissione, coincisa con un'incrementata aggressività nei confronti delle grandi compagnie, in particolar modo del settore tecnologico, promotrici di pratiche potenzialmente monopolistiche.
Tra gli obiettivi chiave della Khan c'è proprio quello di mettere in atto azioni preventive in grado di anticipare l'insorgenza di dinamiche fortemente anticompetitive, anche riscrivendo quello che è stato il paradigma dell'antitrust statunitense negli ultimi cinquantanni, modellato attorno al concetto di "consumer welfare". In soldoni, il fatto che un'iniziativa commerciale favorisca il consumatore, almeno nel breve termine, per la nuova FTC non rappresenta un elemento sufficiente per sorvolare sui rischi a carico del libero mercato.
Senza nulla togliere alla legittimità di questa visione, è ormai più che evidente come questa disposizione abbia intaccato la solidità delle argomentazioni dell'FTC agli occhi del giudice Jacqueline Scott Corley, che nell'enunciare il suo verdetto non solo ha definito l'affare Mictosoft/Activision positivo per i giocatori, ma ha anche chiarito quanto i continui riferimenti alle testimonianze e alle rivendicazioni di Sony non abbiano giocato in favore della tesi dell'accusa. Questo con la complicità dell'atteggiamento tendenzialmente aggressivo di Jim Ryan, divenuto il portavoce dell'opposizione nei confronti dell'acquisizione.
Jim Ryan, CEO di Sony Interactive Entertainment
Phil Spencer, CEO di Microsoft Gaming
Di contro, in aula gli avvocati di Microsoft sono riusciti a consolidare l'idea che la strategia adottata dalla dirigenza di Redmond fosse sostanzialmente "reattiva", ovvero delineata sulla base della condotta esclusivista portata avanti dai suoi principali concorrenti. In questo senso, stando alle dichiarazioni di Phil Spencer, anche l'acquisizione di Bethesda sarebbe stata - almeno in parte - una reazione al rischio di perdere Starfield, apparentemente tra i candidati all'esclusività su PlayStation 5 e pertanto un concreto pericolo per il posizionamento di Xbox su mercato.
A supporto di questo assunto, il CEO Satya Nadella ha dichiarato che di per sé Microsoft non crede nell'esclusività, ma che si tratta di un fattore necessario per mantenersi competitivi nel mercato console. È indubbio come la carenza di esclusive nella passata generazione, unita alla pubblicazione multipiattaforma di Minecraft e all'approdo di Halo Infinite oltre i confini dell'ecosistema di Microsoft (il gioco è disponibile su Steam), abbia aggiunto solidità alle affermazioni di Nadella, sebbene la versione proposta dal CEO sia ovviamente discutibile e parziale.
Il punto, vale la pena di ribadirlo, non è tanto quale delle parti in causa abbia ragione - un concetto estremamente vacuo nel quadro di discussione - ma chi sia riuscito a perorare meglio la propria causa, minando al contempo le argomentazioni della controparte. Un discorso che riguarda da vicino anche un altro dei nodi chiave del processo, ovvero il dibattito sul futuro di Call of Duty.
L'unicorno di Activision
Chiamato a testimoniare dall'FTC, l'economista Robin Lee ha spiegato come un'eventuale esclusività della serie potrebbe portare Microsoft ad ampliare del 5,5% la sua fetta del mercato console, intaccando gli introiti annuali di Sony per centinaia di milioni di dollari. D'altronde i documenti presentati dall'azienda giapponese, e censurati in maniera piuttosto approssimativa, confermano come circa un milione di possessori di PlayStation giochino esclusivamente a Call of Duty, e che altri sei milioni trascorrono il 70% del loro tempo in-game seminando pallottole tra le maglie del franchise.
Dal canto suo l'esperto convocato da Microsoft, la dottoressa Elizabeth Bailey, ha definito alquanto limitato il modello presentato da Lee, citando la presenza sul mercato di altri competitor di valore (fps multigiocatore come Battlefield, Overwatch o Counter-Strike) con l'obiettivo di ridimensionare la rilevanza di Call of Duty nella cornice dell'industria. Seppur opinabile, la posizione della Bailey ha guadagnato vigore grazie alla testimonianza di Nadella, che ha ribadito come revocare la natura multipiattaforma della serie di Activision sarebbe una mossa dissennata sia dal punto di vista strategico che da quello economico, a maggior ragione considerando gli enormi guadagni generati da ogni iterazione al di fuori dell'ecosistema di Xbox. Se è pur vero che Microsoft potrebbe, in linea teorica, sfruttare Call of Duty per danneggiare attivamente il giro di affari di Sony, l'apertura alla firma di un accordo decennale (ribadita a più riprese) per la permanenza del franchise in casa PlayStation contribuisce a ridimensionare questa minaccia. In fondo lo stesso Jim Ryan non sembra credere nella possibilità di una svolta verso l'esclusività, come emerso da alcuni scambi di mail messi agli atti, ma è chiaro che anche una futura inclusione della serie nell'offerta del Game Pass potrebbe avere conseguenze tangibili sugli equilibri tra le due "superpotenze".
Tutelare gli interessi di Sony non è però compito dell'antitrust e, come anticipato, è stata proprio l'eccessivo focus sullo scontro tra PlayStation ed Xbox a minare la saldezza della tesi presentata dall'FTC. Non è certo un caso se molte altre commissioni hanno fatto della "questione cloud" il nodo centrale delle richieste fatte a Microsoft, costringendo il gigante a concordare misure correttive per garantire l'accesso ai titoli di Activision Blizzard tramite altri servizi di gaming on demand.
A tal proposito, proprio in queste ore si sono riaperte le trattative con la CMA britannica che, dopo la sentenza sfavorevole dell'FTC, sembra essere molto più propensa a ridiscutere il suo veto, anche se questo punto risulta ancora piuttosto fumoso. Sebbene un report di CNBC parlasse infatti di un accordo già delineato, vincolato ad una ristrutturazione dell'operazione, un comunicato ufficiale della commissione lascia intendere che la cosa potrebbe richiedere ancora qualche tempo, ma questo non vuol necessariamente dire che Microsoft salterà l'appuntamento del 18 luglio con la chiusura della fusione.
L'ostacolo principale sembrerebbe però essere di nuovo l'FTC, che solo poche ore ha depositato un appello con l'obbiettivo di ribaltare la sentenza del giudice Jacqueline Scott Corley, e prolungare il blocco imposto all'affare Microsoft-Activision. Sorvolando sulle probabilità di un via libera da parte della corte federale, al momento non è chiaro se sussistano i tempi tecnici per ottenere un nuovo ordine restrittivo, ed è quindi del tutto plausibile che l'acquisizione vada comunque in porto. I giochi non sono ancora chiusi, insomma, ma allo stato dei fatti è lecito supporre che entro il 18 luglio assisteremo alla conclusione (almeno parziale) di una vicenda che, nel bene e nel male, ha segnato una tappa storica dell'industria.
Microsoft vs FTC: una vittoria storica, ma è davvero finita?
La vittoria di Microsoft contro l'FTC è il risultato di un dibattimento che, spesso e volentieri, si è concentrato sugli aspetti sbagliati della questione.
Dopo mesi di battaglie legali, botta e risposta al vetriolo, polemiche multiformi e indiscrezioni di portata variabile, il processo di acquisizione di Activision Blizzard da parte di Microsoft potrebbe aver finalmente raggiunto le sue battute conclusive. La recente sentenza del tribunale di San Francisco sembra infatti aver segnato un punto di svolta per la vicenda, sebbene la strada verso la chiusura dell'accordo non sia ancora libera da ostacoli. In attesa di scoprire, di qui a qualche giorno, se la telenovela più popolare della gaming industry sarà rinnovata per un'altra stagione, approfittiamo dell'occasione per tirare le somme sull'ultima tappa di questa storia irta di controversie.
Un conflitto combattuto su tre fronti
Prima di entrare nel vivo della questione, permetteteci di diradare ogni traccia di romanticismo erroneamente adesa al discorso in fieri. Immaginateci come uno zio che alla vigilia di Natale, sospinto da un mix di barolo e nichilismo proletario, svela ai nipotini che il signore di rosso vestito è solo un sottoprodotto della Coca-Cola Company. Questo subito prima di trincerarsi in un rigoroso silenzio stampa, in realtà frutto di una improvvisa letargia da frittura.
Messo da parte questo discutibile accostamento, torniamo quindi a specificare l'ovvio: il procedimento che ha visto contrapporsi Microsoft ed FTC, coinvolgendo più o meno direttamente altri attori dell'industria videoludica, ha esposto un mosaico di dinamiche che non possono essere soppesate in termini di "giusto o sbagliato", o considerando il "bene" dei consumatori come un elemento di valore assoluto. Discorsi di questo genere, che siano o meno figli di una certa partigianeria, hanno poco a che vedere con la battaglia legale appena terminata, che ha posto al centro del contenzioso gli equilibri competitivi del mercato e i proventi che ne derivano.
D'altronde è stata la stessa FTC a dare questo taglio al dibattimento, focalizzandosi sulle conseguenze che l'acquisizione di Activision avrebbe avuto sugli altri protagonisti della gaming industry - Sony in primis - e marginalizzando fin troppo le sue ripercussioni sull'utenza. Si tratta di una linea coerente con la rotta tracciata da Lina Khan dopo la sua elezione a presidente della Commissione, coincisa con un'incrementata aggressività nei confronti delle grandi compagnie, in particolar modo del settore tecnologico, promotrici di pratiche potenzialmente monopolistiche.
Tra gli obiettivi chiave della Khan c'è proprio quello di mettere in atto azioni preventive in grado di anticipare l'insorgenza di dinamiche fortemente anticompetitive, anche riscrivendo quello che è stato il paradigma dell'antitrust statunitense negli ultimi cinquantanni, modellato attorno al concetto di "consumer welfare". In soldoni, il fatto che un'iniziativa commerciale favorisca il consumatore, almeno nel breve termine, per la nuova FTC non rappresenta un elemento sufficiente per sorvolare sui rischi a carico del libero mercato.
Senza nulla togliere alla legittimità di questa visione, è ormai più che evidente come questa disposizione abbia intaccato la solidità delle argomentazioni dell'FTC agli occhi del giudice Jacqueline Scott Corley, che nell'enunciare il suo verdetto non solo ha definito l'affare Mictosoft/Activision positivo per i giocatori, ma ha anche chiarito quanto i continui riferimenti alle testimonianze e alle rivendicazioni di Sony non abbiano giocato in favore della tesi dell'accusa. Questo con la complicità dell'atteggiamento tendenzialmente aggressivo di Jim Ryan, divenuto il portavoce dell'opposizione nei confronti dell'acquisizione.
Jim Ryan, CEO di Sony Interactive Entertainment
Phil Spencer, CEO di Microsoft Gaming
Di contro, in aula gli avvocati di Microsoft sono riusciti a consolidare l'idea che la strategia adottata dalla dirigenza di Redmond fosse sostanzialmente "reattiva", ovvero delineata sulla base della condotta esclusivista portata avanti dai suoi principali concorrenti. In questo senso, stando alle dichiarazioni di Phil Spencer, anche l'acquisizione di Bethesda sarebbe stata - almeno in parte - una reazione al rischio di perdere Starfield, apparentemente tra i candidati all'esclusività su PlayStation 5 e pertanto un concreto pericolo per il posizionamento di Xbox su mercato.
A supporto di questo assunto, il CEO Satya Nadella ha dichiarato che di per sé Microsoft non crede nell'esclusività, ma che si tratta di un fattore necessario per mantenersi competitivi nel mercato console. È indubbio come la carenza di esclusive nella passata generazione, unita alla pubblicazione multipiattaforma di Minecraft e all'approdo di Halo Infinite oltre i confini dell'ecosistema di Microsoft (il gioco è disponibile su Steam), abbia aggiunto solidità alle affermazioni di Nadella, sebbene la versione proposta dal CEO sia ovviamente discutibile e parziale.
Il punto, vale la pena di ribadirlo, non è tanto quale delle parti in causa abbia ragione - un concetto estremamente vacuo nel quadro di discussione - ma chi sia riuscito a perorare meglio la propria causa, minando al contempo le argomentazioni della controparte. Un discorso che riguarda da vicino anche un altro dei nodi chiave del processo, ovvero il dibattito sul futuro di Call of Duty.
L'unicorno di Activision
Chiamato a testimoniare dall'FTC, l'economista Robin Lee ha spiegato come un'eventuale esclusività della serie potrebbe portare Microsoft ad ampliare del 5,5% la sua fetta del mercato console, intaccando gli introiti annuali di Sony per centinaia di milioni di dollari. D'altronde i documenti presentati dall'azienda giapponese, e censurati in maniera piuttosto approssimativa, confermano come circa un milione di possessori di PlayStation giochino esclusivamente a Call of Duty, e che altri sei milioni trascorrono il 70% del loro tempo in-game seminando pallottole tra le maglie del franchise.
Dal canto suo l'esperto convocato da Microsoft, la dottoressa Elizabeth Bailey, ha definito alquanto limitato il modello presentato da Lee, citando la presenza sul mercato di altri competitor di valore (fps multigiocatore come Battlefield, Overwatch o Counter-Strike) con l'obiettivo di ridimensionare la rilevanza di Call of Duty nella cornice dell'industria. Seppur opinabile, la posizione della Bailey ha guadagnato vigore grazie alla testimonianza di Nadella, che ha ribadito come revocare la natura multipiattaforma della serie di Activision sarebbe una mossa dissennata sia dal punto di vista strategico che da quello economico, a maggior ragione considerando gli enormi guadagni generati da ogni iterazione al di fuori dell'ecosistema di Xbox. Se è pur vero che Microsoft potrebbe, in linea teorica, sfruttare Call of Duty per danneggiare attivamente il giro di affari di Sony, l'apertura alla firma di un accordo decennale (ribadita a più riprese) per la permanenza del franchise in casa PlayStation contribuisce a ridimensionare questa minaccia. In fondo lo stesso Jim Ryan non sembra credere nella possibilità di una svolta verso l'esclusività, come emerso da alcuni scambi di mail messi agli atti, ma è chiaro che anche una futura inclusione della serie nell'offerta del Game Pass potrebbe avere conseguenze tangibili sugli equilibri tra le due "superpotenze".
Tutelare gli interessi di Sony non è però compito dell'antitrust e, come anticipato, è stata proprio l'eccessivo focus sullo scontro tra PlayStation ed Xbox a minare la saldezza della tesi presentata dall'FTC. Non è certo un caso se molte altre commissioni hanno fatto della "questione cloud" il nodo centrale delle richieste fatte a Microsoft, costringendo il gigante a concordare misure correttive per garantire l'accesso ai titoli di Activision Blizzard tramite altri servizi di gaming on demand.
A tal proposito, proprio in queste ore si sono riaperte le trattative con la CMA britannica che, dopo la sentenza sfavorevole dell'FTC, sembra essere molto più propensa a ridiscutere il suo veto, anche se questo punto risulta ancora piuttosto fumoso. Sebbene un report di CNBC parlasse infatti di un accordo già delineato, vincolato ad una ristrutturazione dell'operazione, un comunicato ufficiale della commissione lascia intendere che la cosa potrebbe richiedere ancora qualche tempo, ma questo non vuol necessariamente dire che Microsoft salterà l'appuntamento del 18 luglio con la chiusura della fusione.
L'ostacolo principale sembrerebbe però essere di nuovo l'FTC, che solo poche ore ha depositato un appello con l'obbiettivo di ribaltare la sentenza del giudice Jacqueline Scott Corley, e prolungare il blocco imposto all'affare Microsoft-Activision. Sorvolando sulle probabilità di un via libera da parte della corte federale, al momento non è chiaro se sussistano i tempi tecnici per ottenere un nuovo ordine restrittivo, ed è quindi del tutto plausibile che l'acquisizione vada comunque in porto. I giochi non sono ancora chiusi, insomma, ma allo stato dei fatti è lecito supporre che entro il 18 luglio assisteremo alla conclusione (almeno parziale) di una vicenda che, nel bene e nel male, ha segnato una tappa storica dell'industria.
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