Migliori e peggiori trend sui videogiochi del decennio

Nell'industria dei videogiochi , in questo decennio, ci sono stati trend positivi che hanno segnato il mercato, e altri che vorremmo dimenticare.

Top e Flop trend videogiochi del decennio
Speciale: Multi
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Dopo aver dedicato un'ampia pagina ai migliori videogiochi dell'ultimo decennio, tra liste, approfondimenti e classifiche personali, è giunto il momento di prendere i migliori e i peggiori trend che hanno animato l'industria videoludica in questo ampio lasso di tempo. Tecnologie, servizi, modelli commerciali e fenomeni culturali che, nel bene e nel male, hanno lasciato un segno indelebile nelle cronache del videogioco dal 2010 ad oggi, contribuendo in qualche modo a quello che ora è il presente del medium.

Migliori Tendenze Videogiochi

Servizi
La rapida evoluzione delle infrastrutture di rete che ha contraddistinto gli ultimi vent'anni ha provocato importanti cambiamenti anche per quel che riguarda la "gaming culture". La proliferazione delle esperienze online ha nel tempo offerto - e imposto - alle grandi compagnie di settore cambiamenti consistenti tanto nel modello di business, quanto sul fronte dei servizi al pubblico. Da una parte abbiamo assistito alla crescita forsennata del mercato digitale, giustificata da un miglior rapporto costi/benefici per i publisher, dall'altra abbiamo cominciato a dare per scontati "complementi" ludici come liste amici, gruppi di gioco, app integrate e chat vocali, su un percorso di espansione della dimensione social del videogioco.

Mutamenti che hanno ridefinito la cultura dell'intrattenimento digitale, aprendo la strada a un'ampia gamma di servizi in abbonamento. Siamo dunque passati dal pagamento di quote d'accesso per il gioco in rete, magari con l'incentivo di una manciata di titoli "gratuiti" su base mensile, a proposte che comprendevano un'intera libreria a disposizione dell'utenza pagante. Electronic Arts fu tra i primi a promuovere questo genere di offerte con l'esordio di EA Access nel 2014 (solo su Xbox One), segnando l'inizio di un trend che, nell'attuale generazione, ha raggiunto l'apice con il Game Pass di Microsoft.

L'importanza di questo servizio per il presente e il futuro commerciale di Xbox è una vivida testimonianza come, nell'attuale, la creazione di un "ecosistema" atto ad accogliere nel migliore dei modi le esigenze della community sia diventato un nodo essenziale per il successo delle macchine da gioco. Per questo motivo ci sentiamo di inserire l'ampliamento dei servizi al giocatore tra i migliori trend dell'ultimo decennio, e di riconoscerlo come uno dei fronti "più caldi" per la battaglia generazione alle porte.

Gaming in streaming
Strettamente connesso al precedente passaggio di questa lista, il gaming on demand rappresenta il prossimo passo evolutivo sul percorso segnato dalla crescente digitalizzazione dei contenuti vista in questo decennio. Partendo da servizi "sperimentali" come OnLive e Gaikai, lanciati tra 2010 e 2011, le tecnologie di streaming videoludico sono rimaste dietro le quinte per gran parte della decade, attirando però investimenti sempre più massicci da parte dei colossi del settore.

Un progresso silenzioso che ha visto Sony vestire i panni del pioniere con PlayStation Now annunciato nel 2014, e arrivato da noi solo nel 2019, a 4 anni dalla conclusione dei test oltreoceano. Nel frattempo anche Xbox, Nvidia e Google si erano affacciati sul panorama del gioco in streming con tre proposte (xCloud, GeForce Now e Stadia) tanto diverse quanto stimolanti, che promettevano di svincolare la fruizione videoludica dal possesso di uno specifico hardware da gioco. Ora che tutti i servizi succitati sono disponibili (quantomeno in versione beta), non possiamo fare a meno di intravedere nel cloud uno spiraglio su un futuro promettente che, nel prossimo decennio, potrebbe cambiare totalmente la nostra concezione di gaming.

Realtà virtuale
Rimasta per lungo tempo un sogno proibito per diverse generazioni di giocatori, la realtà virtuale ha cominciato ad affacciarsi concretamente sul mercato videoludico solo nel 2012, quando Palmer Luckey lanciò la campagna Kickstarter di Oculus Rift. Nel giro di 4 anni erano ormai centinaia le compagnie al lavoro su progetti VR, sebbene i costi degli headset fossero ancora piuttosto lontani dalla portata del grande pubblico.

In questo senso, un contributo essenziale per la diffusione della realtà virtuale, e per il pieno riconoscimento delle sue potenzialità, arrivò da Sony con la presentazione di PSVR: un visore economico che, seppur tecnicamente inferiore rispetto a Oculus e VIVE, ha permesso a tantissimi utenti di avvicinarsi a questo nuovo modo di intendere il gaming. Pur trattandosi di una tecnologia tutto sommato giovane, la crescita della nicchia VR lascia presagire che non si tratti dell'ennesimo fuoco di paglia hi-tech. Se infatti Sony ha già confermato che la realtà virtuale è parte integrante delle sue strategie future, in generale il trend sembra tuttora vitale e capace di intercettare investimenti sempre maggiori.

eSport
L'origine del fenomeno eSport coincide con l'età dell'oro degli arcade, quando realtà come Twin Galaxies promuovevano eventi capaci di radunare folle adoranti e di trasformare i giocatori in vere e proprie rockstar. Negli anni ‘90, con la diffusione di internet e del gioco online, anche gli sport digitali assunsero tratti molto differenti rispetto a quelli dei primordi, e il panorama competitivo vide un notevole incremento delle sponsorizzazioni e dei premi assegnati in coda agli eventi.

Malgrado tutto, però, queste manifestazioni ancora faticavano a garantirsi una platea tale da attirare, in pianta stabile, le attenzioni dei grandi investitori. Il punto di svolta arriva all'inizio dello scorso decennio, con l'esplosione delle piattaforme di live streaming, che diventano ben preso una portentosa cassa di risonanza per gli eSport, ora capaci di suscitare l'interesse di un pubblico sempre più vasto e diversificato. Con montepremi milionari per gli eventi più importanti, un giro d'affari in continua crescita, e sempre più riconoscimenti da parte delle istituzioni agonistiche "tradizionali", lo sport digitale entra nel 2020 come uno dei trend positivi della scena videoludica.

Live Streaming
Per quanto venga naturale collegare il fenomeno "live stream" alla piattaforma di video-sharing più popolare al mondo, il colosso YouTube, nella realtà dei fatti Google non offrì la possibilità di trasmettere in diretta fino al 2013, se non in casi particolari. Ad aprire le danze fu invece il progetto sperimentale di una startup californiana che nel 2007 mise online Justin.tv, un sito internet dove praticamente chiunque poteva avviare e portare avanti un palinsesto di dirette con qualsiasi connotazione tematica. Il successo dell'impresa fece sì che la giovane azienda, ora ben più danarosa, lanciasse uno portale spin-off dedicato esclusivamente al gaming.

Ben presto il neonato Twitch non solo divenne la principale fonte di reddito della compagnia, ma fornì alla platea un nuovo strumento per condividere la propria passione, un mezzo di comunicazione che si sarebbe rivelato essenziale per l'industria a tutti i livelli. Otto anni più tardi, i giganti del live streaming videoludico sono ora più che mai un punto di riferimento per i giocatori di tutto il mondo, gli addetti ai lavori e le società del settore, con un giro di affari miliardario.

Remake/Remastered
Esploso a cavallo tra le ultime due generazioni, il fenomeno dei remaster è indubbiamente uno stato indubbiamente uno dei trend più cavalcati - e fruttuosi - dell'ultimo decennio. Le ragioni sono in realtà piuttosto semplici: da una parte c'è la spinta garantita dal cosiddetto "effetto nostalgia", che spinge i giocatori a desiderare di rivivere piacevoli esperienze del passato, mentre dall'altra c'è un modello produttivo che garantisce ottime entrate con investimenti ben meno significativi rispetto quelli richiesti dallo sviluppo ex novo.

Sebbene i remake non seguano alla lettera quest'ultimo assioma (basti pensare a prodotti come Resident Evil 2 o Shadow of the Colossus), resta il fatto che si tratta, in linea di massima, di investimenti sicuri che permettono a un publisher di rimpinguare le proprie casse e infoltire le lineup, lasciando ulteriore spazio di manovra ai team al lavoro su progetti inediti. A tal proposito, la maggiore presenza di queste produzioni nell'ultima decade è per molti versi la conseguenza dell'aumento della complessità media dei cicli di sviluppo, che ora possono coinvolgere centinaia di persone e richiedere budget milionari. Detto questo, siamo curiosi di scoprire come si evolverà in futuro questo trend, specialmente alla luce del concetto di "transizione morbida" che pare essere uno leitmotiv della prossima generazione.

Tendenze Flop Videogiochi

Microtransazioni
Il moderno concetto di "microtransazione" si affacciò sul panorama videoludico nel 2005, quando Microsoft offrì a publisher e sviluppatori la possibilità di distribuire tramite il Marketplace di Xbox contenuti aggiuntivi a basso costo. L'idea era quella di permettere ai giocatori di evitare l'acquisto di interi pacchetti scaricabili, frazionando l'offerta con una serie di piccole transazioni per singoli oggetti di gioco. Il risultato più eclatante di questa nuova strategia è ormai tristemente noto: quando nell'aprile del 2006 Bethesda inaugurò il supporto post lancio di Oblivion, i giocatori si videro proporre diversi set di armature per cavalli al prezzo di 2 dollari e mezzo.

Malgrado le polemiche, il contenuto schizzò ai vertici delle classifiche di vendita del Marketplace. Il successo di questa prima impresa impossibile (le armature per cavalli erano oggetti estetici senza alcun effetto in-game) diede l'ispirazione a diverse altre compagnie del settore, che nel tempo rielaborarono il concetto in diversi modi. Dal mercato asiatico degli MMO arrivò (con MapleStory) l'idea delle loot box con contenuti casuali, app come Farmville fondarono il proprio modello di business sulla vendita dei cosiddetti "salvatempo", e ben presto questa forma di monetizzazione si diffuse a macchia d'olio in tutta la scena free-to-play.

Dopo il 2010 questo modello cominciò lentamente a "contaminare" la scena tripla A, principalmente sul versante multiplayer, fino a quando nel 2017 la presenza di loot box nella campagna de La Terra di Mezzo: L'Ombra della Guerra scatenò uno scandalo che, assieme a quello innescato dalle microtransazioni di Star Wars: Battlefront 2, contribuì a stigmatizzare definitivamente questa pratica. Questo non vuol dire che le microtransazioni siano scomparse, ma solo che la community è molto meno incline ad assecondare questo genere di operazioni, che restano comunque ascritte tra i peggiori trend dell'ultimo decennio.

3D
La breve infatuazione del pubblico videoludico per il 3D stereoscopico copre un arco di tempo lungo solo sei anni, dal 2010 al 2016. Sull'onda dell'entusiasmo innescato dal ritorno in auge di questa tecnologia nei primi anni 2000, quando il 3D cominciò a diffondersi nuovamente al cinema, diversi produttori di TV lanciarono sul mercato prodotti in grado di offrire quell'esperienza nel salotto di casa.

Complice la scomodità - e il prezzo - delle soluzioni proposte, che tra l'altro non garantivano benefici particolarmente significativi in termini di godibilità dei contenuti multimediali, la "bolla 3D" esplose nel giro qualche anno, annientando definitivamente l'interesse dell'industria videoludica nei confronti di questa tecnologia. Dal canto loro gli sviluppatori furono ragionevolmente felici di non dover più sacrificare la potenza di calcolo delle GPU (il 3D richiede il doppio dei calcoli per il rendering delle geometrie) per un effetto che non aveva mai contribuito più di tanto all'immersività delle esperienze ludiche. Una parentesi interessante di cui probabilmente ci scorderemo presto.

Toys-to-life
Esploso nel 2011 con l'esordio sul mercato della serie Skylanders, il filone Toys-to-life fu per molti versi una vittima del suo stesso successo. Dopo gli incredibili risultati commerciali registrati da Activision, compagnie come Disney (Disney Infinity) e Warner Bros. (LEGO Dimensions) cominciarono ad assaltare furiosamente questa particolare nicchia ibrida, riempendo gli scaffali con tonnelate di statuine collezionabili e titoli pubblicati a cadenza annuale.

Tutti i concorrenti puntavano alla medesima platea con una quantità soverchiante di prodotti, e finirono per saturare il mercato in tempi record, con la complicità di una sostanziale mancanza di innovazione nella formula proposta. Un problema cui Ubisoft tentò di ovviare nel 2018 con Starlink, ma a quel punto l'interesse per quella tipologia di esperienze era già ai minimi termini, e la qualità della produzione non era sufficiente per riaccenderlo. Gli unici sopravvissuti al fallimento dei Toys-to-Life sono gli Amiibo, probabilmente perché le statuine di Nintendo non sono mai state legate a un singolo titolo, ma producono effetti diversi a seconda del gioco utilizzato.

Cut content DLC
Vicina, se non altro in termini concettuali, al problema delle microtransazioni, la consuetudine di tagliare importanti contenuti di gioco per distribuirli come DLC a pagamento è una delle piaghe più dolorose dell'industria.

Lo sanno bene tutti quei giocatori che nel 2012, tra febbraio e marzo, videro arrivare sugli scaffali ben tre giochi colpiti dal medesimo problema: Street Fighter X Tekken aveva un buon 30% del roster disponibile su disco ma bloccato dietro un paywall, Mass Effect 3 esordì con un companion e una missione riservati ai possessori della Collector's Edition (acquistabili a parte con una decina di euro), e Asura's Wrath risultava addirittura monco del finale, poi distribuito al prezzo di 7 euro. Sebbene questa pratica vergognosa sia sempre meno diffusa, non possiamo fare a meno di inserirla tra le pagine peggiori del decennio appena trascorso.

Downgrade
Nell'ambito videoludico, come in molti altri, le prime impressioni sono spesso determinanti. Una consapevolezza che spinge le compagnie del settore a confezionare trailer d'annuncio in grado di comunicare appieno tutte le potenzialità dei propri titoli, in modo da massimizzare l'impatto sul pubblico. A tutto c'è un limite, però, che in questo caso si manifesta quando il gioco finale sembra quasi la brutta copia di quello inizialmente presentato.

Da Watch Dogs a Aliens: Colonial Marines, passando per Dark Souls 2, la pratica del downgrade si è fatta particolarmente frequente nell'ultimo decennio, man mano che la complessità tecnica dei titoli rendeva sempre più difficile rispettare le promesse iniziali. Parliamo di una strategia comunicativa discutibile e controversa, che spesso finisce col generare un ragionevole moto di sdegno tra le file della community, arrivando perfino a compromettere il successo commerciale di un titolo. Sia chiaro: il processo di ottimizzazione può richiedere sacrifici piuttosto consistenti sul versante grafico, ma in molti casi resta consigliabile giocare al ribasso.

Early Access infinito
Nel 2013 Valve lanciò ufficialmente il suo programma Early Access: un modello di distribuzione che permetteva agli studi di vendere i propri titoli in versione alpha o beta, per intercettare fondi da investire nel processo di sviluppo. Un'iniziativa lodevole, che a dirla tutta era la riposta di Steam alla proliferazione sullo store di prodotti ben al di sotto degli standard qualitativi di un titolo fatto e finito.

Per quanto i programmi di Early Access, da tempo disponibili anche su altre piattaforme, siano un buon modo per sostenere direttamente un progetto considerato promettente, offrendo un supporto concreto ai team indipendenti, è facile intuire come quest'investimento fiduciario rappresenti una pericolosa arma a doppio taglio.

Non esiste infatti nessuna garanzia concreta che il gioco acquistato raggiunga mai la versione 1.0, e le vendite accumulate in fase di accesso anticipato possono perfino rivelarsi un comodo rifugio per i team meno virtuosi. Vi basti pensare che al momento Steam ospita 4.716 titoli in Early Access, alcuni dei quali sono in questo stato da più di sei anni. Il caso più eclatante è probabilmente quello di Godus: il gioco ideato da Peter Molyneaux è tuttora disponibile per l'acquisto, sebbene lo studio 22cans abbia da tempo abbandonato lo sviluppo.