Migliori videogiochi di Dragon Ball: da Budokai Tenkaichi a FighterZ

L'uscita di Dragon Ball FighterZ si avvicina: partiamo quindi per un viaggio alla riscoperta dei più importanti videogiochi dedicati all'opera di Toriyama.

Migliori videogiochi di Dragon Ball: da Budokai Tenkaichi a FighterZ
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Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Switch
  • Quello tra Dragon Ball ed il mondo del gaming è un sodalizio che va avanti ormai da più di trent'anni: sin dagli albori dell'intrattenimento interattivo, non a caso, l'influenza dello shonen di Toriyama ha dato vita ad una pletora stracolma di opere su licenza, distribuite praticamente su qualsiasi hardware esistente con l'intenzione di omaggiare la materia di partenza o semplicemente di "cavalcare l'onda" di un successo inarrestabile.
    Una fama che, ancora oggi, continua a tenere tutti i riflettori puntati su di sé, sia grazie alla serie Super attualmente in corso di trasmissione sulle reti giapponesi ed italiane, sia tramite l'imminente arrivo di Dragon Ball FighterZ, uno straordinario picchiaduro in 2.5D che sembra intenzionato con tutte le forze ad aggiudicarsi la corona di miglior videogioco dedicato alle avventure di Son Goku.
    Per farlo, però, dovrà scontrarsi con tutte le altre produzioni uscite nel corso degli ultimi tre decenni, alcune dei quali non certo indimenticabili, mentre altre dotati di un livello combattivo da non sottovalutare. Prima di poter esprimere un giudizio definitivo sul nuovo lavoro di Arc System Works, pertanto, ho deciso di passare in rassegna tutti i tie-in che sono stati capaci di lasciare un segno (nel bene e nel male) all'interno della mia memoria. Mettiamoci quindi comodi sulla nuvola d'oro e diamo inizio al nostro viaggio lungo i più importanti "archi narrativi" che compongono la saga videoludica di Dragon Ball.

    Arco delle origini

    Ci vorrebbe davvero la Stanza dello Spirito e del Tempo per elencare tutti i primissimi titoli tratti dal manga di Toriyama. Accantonando tutte le opere "minori" diffuse sul leggendario Famicom e sul SEGA Mega Drive, facciamo un balzo al 1996, anno nel quale i miei ricordi iniziano a farsi molto più nitidi e Dragon Ball Z: Ultimate Battle 22 giunge sugli scaffali europei della PlayStation One. Ora come ora, non posso che guardare a questo piccolo picchiaduro in due dimensioni con un po' di nostalgia e di tenerezza: per chi vi scrive, Ultimate Battle 22 è stato il primo gioco a marchio Dragon Ball su cui abbia mai messo le mani. Potete provare a capire, quindi, quale forza d'attrazione esercitasse un simile prodotto su un bambino di sei/sette anni che stava crescendo, e cresce ancora, a latte, biscotti e Sfere del Drago. A ripensarci col senno del poi, era un disastro su quasi tutti i fronti, specialmente su quello della giocabilità, che ha saputo mettere davvero a dura prova la resistenza dei miei poveri pollici. Si trattava comunque di problemi che, al tempo, non mi ponevo minimamente, estasiato dalla possibilità di giocare nei panni di Goku, Vegeta, Freezer e persino del mitico Great Saiyaman. Cosa potevo "desiderare" di più? La risposta sarebbe arrivata circa un anno dopo, con Dragon Ball Z: The Legend.

    Meno "accattivante" sul fronte visivo (quantomeno di primo acchito) il gioco si rivelò comunque decisamente più piacevole da approcciare rispetto al suo predecessore: il gameplay "a squadre", le brevi sequenze più dinamiche durante l'attivazione dei super colpi, ed infine una modalità storia che ripercorreva le tre saghe della serie Z rubarono tantissime ore di studio ai miei compiti delle elementari. Lo stesso accadde, poco tempo dopo, con il sopraggiungere di Dragon Ball GT: Final Bout. Partendo dal presupposto che non ho mai avuto un buon rapporto con questo anime "apocrifo", nemmeno quando ero un poppante, c'è da dire che il gioco riuscì inaspettatamente ad intrattenere molto a lungo me ed i miei amici, attratti come eravamo da due aspetti fondamentali della produzione: anzitutto l'eccezionale sigla animata d'apertura, che ancora oggi fa invidia alle animazioni di Super, ed in secondo luogo quell'indefinibile amore per il trash che alberga un po' in tutti noi.

    Final Bout era un picchiaduro abominevole, inutile negarlo: la resa in 3D dei personaggi faceva più male agli occhi di uno spillone nella pupilla, mentre il sistema di combattimento era di una lentezza, una macchinosità ed una legnosità indescrivibili. Tuttavia, tra i personaggi giocabili, trovavano spazio anche Pan ed il Super Saiyan di quarto livello, con i quali prendere a calci il grosso sedere di Baby Vegeta. Ed è per questo che il fanciullo interiore che è in me, a distanza di anni, lo ricorda ancora con affetto. Così come ricorda la sequenza di tasti da premere nel menù di gioco per sbloccare sin da subito tutti i lottatori...

    Arco dell'ascesa

    C'è un unico filo conduttore che accomuna la seconda ondata di opere a tema Dragon Ball, capaci scandire il periodo della mia adolescenza: la parola "Budokai", chiaro riferimento al torneo di arti marziali che ha sempre fatto da sfondo alle peripezie dei protagonisti. Le due trilogie delle serie Budokai e Budokai Tenkaichi, allo stato attuale - almeno fino all'arrivo di FighterZ - incarnano di certo il punto più alto mai raggiunto da una trasposizione videoludica del capolavoro di Toriyama.

    Il mio contatto iniziale con il primo Budokai (poi riproposto, insieme al terzo capitolo, in una HD Collection per PlayStation 3 ed Xbox 360), è stato alquanto estasiante, sia per la bellezza visiva (e l'accuratezza delle cutscene), sia per l'utilizzo di un combat system che rendeva finalmente giustizia alla spettacolarità dell'anime. Peccato soltanto che lo Story Mode si concludesse con la saga di Cell, lasciando in disparte quella di Majin Bu (con annessi tutti i magnifici personaggi che ne fanno parte).
    Ho dovuto attendere gli altri due capitoli per avere una visione "completa" delle gesta dei Guerrieri Z. Merito non solo di un grandissimo numero di eroi, ma anche di un cel shading delizioso, che finalmente sostituì la grezza modellazione poligonale degli scorsi episodi, avvicinando la produzione alla gloria visiva dell'anime. Budokai 3, in particolare, segnò un profondo spartiacque per tutti i tie-in a venire.
    Lo stesso modello di riferimento contro cui fu costretto a confrontarsi il secondo trittico succitato, quello di Budokai Tenkaichi, che conobbe nel terzo episodio il culmine della raffigurazione videoludica di Dragon Ball. Budokai Tenkaichi 3 è stato a lungo - e forse lo è ancora - la concretizzazione in formato digitale del mio amore per il Re degli Shonen: l'opera contiene in sé un concentrato di mastodontico fanservice declinato in una formula di gioco incredibilmente genuina, fresca, vivace e sovrabbondante.

    Dalla prima serie con Goku ancora bambino, passando per Z e GT, fino ad arrivare agli OVA: nulla è stato trascurato, con l'obiettivo di dar forma ad una bibbia interattiva che, per ogni appassionato, è la realizzazione di un desiderio tanto, troppo ambito. Avevo 17 anni quando Budokai Tenkaichi 3 si insinuò all'interno della mia PlayStation 2 nel 2007, esattamente un decennio dopo aver provato Ultimate Battle 22. Per chi, come il sottoscritto, era "diventato grande" in compagnia del Dragon Ball cartaceo, animato e ludico, si trattava di un regalo perfetto: la summa assoluta di una passione immortale.

    Arco della decadenza

    Dopo Budokai Tenkaichi 3, nella mia esperienza personale, è iniziato un periodo (molto lungo) di insoddisfazione: forse la mia fame di Dragon Ball era già sazia in abbondanza, o forse le successive incarnazioni interattive del franchise erano troppo pigre e poco originali da stimolare di nuovo il mio appetito.

    A prescindere dalle motivazioni, l'ultimo capitolo per PlayStation 2 che ebbi modo di provare, ossia Infinite World, mi lasciò con un vago senso di insignificanza nel palato: da una parte troppo simile concettualmente al gameplay di Budokai, e dall'altra poco incisiva nelle limitate innovazioni introdotte a livello ludico e tecnico. Aspettai insomma al varco il primo, vero episodio "next gen" per PlayStation 3, con conseguenze a metà tra la delusione e la noncuranza: Burst Limit non era effettivamente un pessimo picchiaduro, ma solo un mediocre tie-in, che ha svolto un annoiato compito di routine, riducendo inspiegabilmente il numero di guerrieri e gli eventi della trama (ancora una volta orfani del caro Majin Bu). E pensare che solo un anno dopo, su Wii, sarebbe uscito il gradevole Revenge of King Piccolo, un esperimento alquanto originale, che si distanziava dall'immaginario della serie Z (reiterato fino allo sfinimento) per tornare allo spensierato senso di avventura proprio della prima parte del manga.

    E mentre sulla console Nintendo veniva accolto quel piccolo gioiellino, su PS3 e Xbox 360 il brand dava segni di ripresa con i due capitoli di Raging Blast, ricadendo tuttavia ben presto in una spirale di ripetitività con l'anonimo Ultimate Tenkaichi ed il confusionario Battle of Z. Quest'ultimo, in particolare, era stato ideato e sviluppato con il solo intento di lucrare spudoratamente sul lungometraggio La Battaglia degli Dei: dal canto mio, avevo fiutato il pericolo, ma venni comunque scioccamente irretito in una formula di gioco caotica e disorganica, imperfetta e raffazzonata. Posai quindi il pad, decidendo di congedarmi dalla versione digitalizzata del mio manga preferito. Non senza un pizzico di rammarico, nel ricordare di tanto in tanto, i fasti di Budokai Tenkaichi 3. Almeno finché una lieve fiammella di speranza non si riaccese sotto il nome di Xenoverse.

    Arco della rinascita

    Prima di catapultarmi nel reame dei multiversi e dei Time Patroller, però, vale la pena spendere un paio di parole d'encomio per la miniserie Raging Blast: i due titoli che la compongono, lanciati tra il 2009 ed il 2010 sulle console Sony e Microsoft della passata generazione, possedevano - vagamente - il sapore un po' annacquato della saga Tenkaichi. Il che, considerando le produzioni immediatamente precedenti e future, era già un traguardo non da poco.

    Si notava in filigrana un sistema di combattimento fulmineo e complesso (forse troppo...), con a corredo un novero di guerrieri che componeva un roster di tutto rispetto. Certo, non mancavano problemi (anche belli grossi) di telecamera e concatenazione dei colpi, ma nel complesso si respirava un'aria ancora intrisa di quella passione che, in seguito, è andata spegnendosi tristemente. Finché, come già accennato, il team DIMPS non ha deciso di dare un forte scossone al brand con Dragon Ball Xenoverse 1&2. Ben lungi dall'essere un dittico di picchiaduro tecnici, intensi e soddisfacenti, questa nuova iterazione ha avuto il pregio di imbastire una storyline finalmente del tutto originale, con un carico di fanservice smodato ed incalcolabile. Non era probabilmente ciò che i fan duri e puri si meritavano, ma era sicuramente quello di cui avevano bisogno: una ventata d'aria fresca, un combat system leggero e intuitivo, un pizzico di coraggio nella volontà di allontanarsi dalla timeline canonica e un cumulo di citazioni all'opera di partenza, grande almeno quanto quella dell'indimenticato Budokai Tenkaichi 3.

    Xenoverse 2, nello specifico, è un compendio totalizzante di Dragon Ball, un cosmo virtuale in continua espansione, come dimostrano le progressive aggiunte del team di sviluppo, intenzionato a muoversi di pari passo con l'avanzamento delle puntate di Super, attraverso l'inserimento nel roster sempre nuovi membri, tra cui spicca - ovviamente - l'invincibile Jiren il Grigio, paladino della giustizia dell'undicesimo universo. Ed il nostro "ultra istinto" ci dice che non è ancora finita...

    Arco del trionfo

    Ci sono momenti, in Dragon Ball FighterZ, in cui riaffiorano le memorie di ieri, riviste però con la maturità di oggi. Lo stesso, identico piacere del citazionismo a briglie sciolte, della grafica bidimensionale, della meraviglia di quando ero poco meno di un ragazzino, a cui si affianca la consapevolezza - data dalla maturità - di ciò che significa sperimentare un videogame nel senso più puro del termine. Per una volta - ed è un evento assai raro - la passione non acceca il giudizio critico, ed anzi si muove in simbiosi con un meccanismo ludico che sfiora la perfezione.

    Non c'è più bisogno di mascherare le magagne dietro il paravento dell'incanto fanciullesco (come con Ultimate Battle 22), né la necessità di nascondere con il fanservice un combat system un po' approssimativo o semplicistico (è il caso di Xenoverse e della serie Budokai Tenkaichi): in FighterZ tutto trova un suo bilanciamento, una sua coesione, una sua fusione. Il giocatore diventa fan, ed il fan diventa giocatore. Se la versione definitiva non ci riserverà spiacevoli sorprese, il lavoro di Arc System potrebbe rivelarsi il tie-in per eccellenza. Eppure, le nostre recenti prove ci hanno già rincuorato a sufficienza: ogni animazione è un omaggio sentito al capolavoro di Toriyama, ogni mossa finale un trionfo d'esaltazione, ogni combo un piccolo miracolo. Grazie, Sfere del Drago!

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