Mirror's Edge: quando il nemico è intorno a noi

Riscopriamo la particolare filosofia dietro il gioco DICE ed Electronic Arts. Perché in Mirror's Edge il vero villain è tutto ciò che ci circonda.

Mirror's Edge: quando il nemico è intorno a noi
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  • Pc
  • Il bianco accecante del cemento dei grattacieli rende difficile distinguere appigli e zone d'appoggio, per Faith. Nella febbrile, salvifica e al contempo mortale corsa che ne scandisce battiti e sospiri, le risulta quasi impossibile capire con certezza verso quale zona del tetto scappare, quale parete afferrare. Per fortuna in suo soccorso arriva la mano del level designer, che prontamente colora di un rosso acceso e sgargiante gli elementi dei livelli con cui potremo interagire per sfuggire al nemico. Gli spiriti più liberi possono però superare anche le regole imposte da questo demiurgo virtuale, esprimendosi in un vortice di salti, capriole, corse e atterraggi senza limiti e confini, scegliendo in assoluta libertà come interpretare e riscrivere il movimento in quegli spazi.

    Alla luce del rapporto costruito con il mondo di gioco in Mirror's Edge, l'opera di DICE assume dunque un doppio significato: ribellione contro le leggi totalitarie del contesto urbano in cui viene ambientato, e riscrittura delle regole imposte dai game designer. Questa lettura, infine, finisce per trasformare il mondo di gioco nel vero cattivo dell'avventura, e rende l'esperienza di Faith una metafora della ribellione attraverso la libertà del movimento. Vediamo il perché.

    Conosci il nemico, conosci te stesso

    La città di Mirror's Edge non ha nome, ma fin da subito si capisce che qualcosa non va per il verso giusto, in questa metropoli ossessionata dal controllo. Ci colpiscono subito l'impassibile staticità, la spettrale pulizia, l'anonimo decoro e la ripetitività delle architetture; segnali a loro modo disturbanti che ci trasmettono subito l'idea di un modo non soltanto irreale, ma addirittura asettico e ostile. Insomma il vero, principale nemico dell'opera. Questo elemento che in Mirror's Edge emerge con incredibile forza, a ben guardare, sembra essere in realtà una caratteristica quasi onnipresente nel videogioco tridimensionale e narrativo.

    Sebbene esistano numerosi antagonisti nella storia del videogame, è impossibile negare che spesso i pericoli che il giocatore deve affrontare siano originati proprio dai mondi e dai livelli in cui ci muoviamo: sì, il "nemico" di BioShock è Andrew Ryan, ma chi negherebbe il ruolo preponderante di Rapture nel concretizzare le sfide da affrontare e la tensione dell'esplorazione?

    Certo, la Caccia Selvaggia è l'antagonista principale di The Witcher 3, ma quanto ha influito il Velen nella nostra percezione di solitudine di fronte all'ignoto? Ovvio, ogni Souls ha un boss finale, ma se mi chiedessero il nemico principale del primo Dark Souls, non potrei che rispondere con "Lordran". L'interattività del videogioco rende i livelli e i mondi in cui interagiamo un elemento principe e costitutivo dell'esperienza, intorno al quale devono ruotare tutti gli altri; e non il contrario, come può accadere nel cinema. Quest'idea si trasforma in pratica di design in Mirorr's Edge, che si poggia su una sceneggiatura meno che banale e su personaggi incredibilmente stereotipati, e che di conseguenza fa risaltare incredibilmente il legame che si crea tra Faith, la nostra protagonista, e i livelli del gioco. È un legame atipico, che si trova sempre a metà tra la fiducia e il tradimento, tra la salvezza concessa da un appiglio intravisto all'ultimo secondo e la resa di fronte a un vicolo cieco.

    Ed ecco dunque che il rifiuto delle leggi comportamentali e di decoro di Faith si trasforma nel più grande affronto al nemico principale di Mirror's Edge, perché quel totalitarismo (come tutti i totalitarismi), prima che sulle regole e sull'uso della forza si basa sulla diffusione dei suoi valori culturali, protetti dalla fermezza cristallina e dalla falsa purezza dei bianchi grattacieli che sovrastano la città.

    È proprio riscrivendo l'uso degli spazi che Faith può completare la sua avventura nel modo più pratico, veloce e indolore, rifiutando la violenza su guardie probabilmente inconsapevoli, e ottenendo il massimo da luoghi pensati per impedire la libertà di movimento (e di pensiero). Ecco perché, sempre volendo guardare a Mirror's Edge con questa prospettiva, il finale del gioco contraddice, fino a tradire, i valori espressi fino a quel momento: una serie di sparatorie ed esplosioni violente e pacchiane, che rendono Faith goffa e scontata, facendoci dimenticare, anche se solo per qualche secondo, la splendida, muscolare sensualità della sua danza urbana. Considerando l'epoca di pubblicazione, quel 2008 in cui sulle console dominavano incontrastati gli sparattutto in terza e in prima persona e il dominio del sandbox era ancora lontano, forse potremmo perdonarne il finale decisamente poco ispirato, ma è difficile, rigiocandolo oggi, non rimanere con l'amaro in bocca per una conclusione che poteva sintetizzare con efficacia una splendida ribellione del corpo e dello spirito alle imposizioni comportamentali dei totalitarismi culturali.

    C'è però un dettaglio strutturale che rischia di moderare i significati del titolo, una trovata di game design a cui abbiamo accennato proprio in aperture, che in parte sconfessa il sottotesto "rivoluzionario" della produzione. Pensate al classico open world che vuole offrirci "libertà d'approccio" o "dare un peso alle nostre scelte", per poi rifilarci progressioni legate al livello e al tipo di armi che dobbiamo avere con noi, obbligandoci a seguire un percorso di evoluzione deciso dal designer.

    Ecco: i designer dell'avventura di Faith decisero all'epoca di non lasciare totalmente spaesati i giocatori, indicando il percorso da seguire con un rosso acceso, in netto contrasto con il bianco accecante delle architetture del gioco.

    La conseguenza concettuale di questa scelta era quella di tradire la libertà promossa dal nostro avatar: se Faith riscriveva le regole di movimento imposte dalle architetture, noi ci adeguavamo ai percorsi prestabiliti dai designer. Ed è qui che, al contrario di molte altre esperienze, Mirror's Edge rilancia la sua metafora di opera avversa al controllo degli spazi, con un mezzo forse imprevedibile ma potentissimo: le speedrun.

    Make your rules

    È osservando le decine di speedurn presenti su Youtube che ci rendiamo conto di come le entità che rappresentano il potere (gli invisibili architetti della città se prendiamo in esame il contesto narrativo, oppure i game designer se consideriamo invece il gioco stesso) perdono il controllo sul sistema, concedendone involontariamente una frazione ai comandati, che iniziano a governare se stessi e i propri spazi.

    Sfruttando meccanismi assimilati dopo ore e ore di gioco, in tantissimi hanno abbandonato i percorsi "rossi" suggeriti dai designer testando gli spazi e le regole del mondo e dei suoi livelli, scoprendo strade e modi di muoversi imprevedibili e personali, riuscendo a completare in pochi minuti sessioni pensate per durare ore, e arrivando persino a non dover sparare praticamente mai un colpo contro anima viva.

    Sebbene l'idea di disinnescare i percorsi pensati dai game designer sia comune a quasi tutte le speedrun, in moltissimi casi questa si lega semplicemente a un perfezionamento dei movimenti o a una conoscenza enciclopedica del livelli. Nel caso di Mirror's Edge, oltre a tutto ciò sono richieste anche una sperimentazione costante e la condivisione di questi nuovi modi di intendere i livelli alla loro radice.

    Inoltre, è anche grazie al contesto narrativo principale che questa modalità di consumo dell'opera assume un significato diverso, perché diventa metafora del percorso di Faith. È nella libertà creativa degli speedrunner che possiamo catturare lo spirito ribelle e indipendente di Faith, che si ricongiunge ai valori espressi dall'opera.

    Una volta posti di nuovo su binari convergenti giocatore e avatar, possiamo reinterpretare Mirror's Edge come una metaforica fuga da architetture e spazi opprimenti, mendaci nelle loro promesse di decoro e sicurezza, incredibilmente fragili e spiazzati di fronte alla risoluta intraprendenza del giocatore. Ed è proprio per questo, come dicevamo in apertura, che possiamo guardare a Mirror's Edge come a un punto di partenza per analizzare i mondi, gli spazi e i luoghi dei videogiochi come veri e propri protagonisti: descritti e curati spesso con maggiore attenzione del più dettagliato dei villain, e soprattutto elementi principali con cui interagiamo e, quindi, con cui ci emozioniamo.

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