Nintendo Labo per Switch: l'Art Attack della Grande N

Nintendo svela Labo, il nuovo punto d'incontro tra giocattoli e videogiochi, strizzando l'occhio ai più piccoli e non solo...

Nintendo Labo: Videogiochi di Cartone
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  • Non che servisse la controprova, ma la Grande N ancora una volta ha dimostrato di fare le cose davvero di testa sua. Senza seguire la strada di nessuno e senza rivolgere lo sguardo ad altri - meno che mai ai competitor diretti - se non forse ripensando in qualche misura a se stessa e alla sua centenaria storia di azienda che, prima di arrivare dov'è oggi, nasceva nel 1889 con le tradizionali carte da gioco Hanafuda e per poi passare attraverso i giocattoli (e i taxi e i love hotel, ma quelli sono altri discorsi per altre occasioni...).
    Nintendo Labo arriva così, come una tempesta tropicale in piena regola, di quelle che ti travolgono con una forza pari solo alla loro sconcertante imprevedibilità: un annuncio quasi random in una mattinata di metà gennaio come qualunque altra, per comunicare che verso sera sarebbe stato diffuso un video riguardante un nuovo modo di giocare con Switch. Un nuovo modo di giocare destinato soprattutto ai bambini, ma anche ai bambini un po' cresciuti. Così, con un fumoso annuncio su Facebook di giusto un paio di righe.

    Come ti decostruisco una console (senza nemmeno la colla vinilica!)

    Via, basta un attimo e Internet si scatena, sulla scia dell'hype e dell'entusiasmo che solo in prossimità dell'E3 o di Direct particolarmente attesi si raggiungono: pagine su pagine di speculazioni, cascate di tweet con speranze improponibili, fotomontaggi, deliri.

    Esattamente com'era avvenuto nel settembre del 2005, all'epoca del trailer di presentazione del controller di Revolution-Wii, niente e nessuno poteva però essersi immaginato ciò che viene raccontato in appena tre minuti scarsi di video. Due minuti e cinquantadue secondi che, in un modo o nell'altro, nel loro piccolo rimarranno negli annali.
    Nintendo Labo è l'ultimissimo rappresentante in ordine di tempo di ciò che il Presidente Tatsumi Kimishima identifica come "nuovi modi di giocare". Anche se, a dirla tutta e per usare le parole di Reggie Fils-Aime, "Labo è diverso da quel che abbiamo fatto prima d'ora". Già, perché Nintendo Labo viaggia senza dubbio alcuno nettamente più dalle parti del giocattolo che non del videogame tradizionale: tutto parte da una serie di banali fogli di cartone fustellato, che permettono di costruire - seguendo le indicazioni mostrate a schermo su Nintendo Switch - piccoli/grandi capolavori del fai-da-te. Creazioni nel pieno stile DIY che imperversa in questi anni, impreziosite da funzionalità multimediali che sfruttano l'hardware e i componenti dell'ultima, fortunata piattaforma della Casa di Super Mario.
    Bastano qualche piega, un po' di pazienza e al massimo alcuni elastici per far scattare la magia: ecco allora una sorta di strano insetto radiocomandato da muovere sfruttando la funzione Rumble HD dei Joy-Con, piuttosto che un'improvvisata canna da pesca (con tanto di mulinello!) da agganciare alla console, o ancora un incredibile pianoforte che può essere suonato per davvero premendo i tasti. Una miriade di stranezze deliziosamente folli e dannatamente nintendose, che trovano probabilmente la loro massima apoteosi in un voluminoso zainone da agganciare sulle spalle, abbinato ad una cavigliera e ad un visore - sempre rigorosamente in cartoncino color Havana! - per controllare in game un mech scassatutto. Così, in un tripudio di artigianato alla Art Attack, motion control e creatività spinta fondata su tre principi fondanti: make, play e discover (in italiano costruisci, gioca e scopri).
    Un mantra, quello del "make/play/discover", che viene rivendicato con fierezza già a partire dal logo stesso di Nintendo Labo. "Make", l'idea del creare qualcosa, è letteralmente la base dell'intera iniziativa: i kit Nintendo Labo - in arrivo nei negozi a partire dal prossimo 27 aprile al costo di 69.99€ per il set base e 79.99€ per il robot - conterranno infatti una cartuccia per Switch, nonché l'occorrente necessario alla costruzione vera e propria dei giocattoli.

    Un processo destinato a mandare in visibilio i più piccoli (ma, c'è da scommetterci, non solo loro), che va ad arricchire con una componente di manualità senza precedenti l'universo del gaming.
    Già perché, come suggerisce la parola "play", sempre e comunque di gioco si tratta. Poco importa che si parli di creare una casetta con mini-gioco allegato o di guidare una moto come in certi indimenticabili residuati vintage anni '80: non si prescinde comunque mai e poi mai dalla console, per attività ludiche in apparenza molto semplici ma non per questo necessariamente banali. E così, zitti zitti, ecco che Kimishima & Company hanno appena fornito a milioni di famiglie un'altra irresistibile scusa per acquistare un Nintendo Switch. Una scusa che prescinde dal lirismo di Zelda Breath of the Wild o dall'esplorazione avventurosa di Super Mario Odyssey, per sconfinare in territori che stimolano la curiosità, che spronano a capire come funzionano le cose, che danno una ragione per muoversi, per immaginare, per scoprire (ed eccolo lì, il "discover" del claim).

    Concetti rassicuranti per i genitori e suggestioni ricche di fascino per i figli. Nonché spunti di marketing nient'affatto banali: due minuti e cinquantadue secondi per inventarsi di fatto un segmento di mercato - per inciso, potenzialmente devastante - assolutamente dal nulla, irrorando nel mentre di nuova linfa un cocktail, quello di Switch, già esplosivo nei numeri.
    E quindi tutti contenti, tutti felici? Impossibile che sia così, com'è anche giusto che sia. Al netto di chi aveva pretese fantascientifiche (da informazioni sulla Virtual Console alla Realtà Virtuale, s'è letto di tutto e di più nelle ore che hanno separato il comunicato dal trailer effettivo), alcuni si sentono per l'ennesima volta un po' traditi dalla Grande N, altri spaesati, altri profondamente disinteressati da tutta l'operazione Nintendo Labo. Legittimo, per carità.
    Doveroso comunque fare una serie di considerazioni, almeno per quanto mi riguarda. Per prima cosa, il target: dovrebbe essere palese che il pubblico di riferimento di Labo sia un pubblico giovane se non addirittura giovanissimo, composto di bambini e bambine al di sotto dei dodici anni.

    O, per meglio dire, di bambini e bambine di tutte le età, ma anagraficamente al di sotto dei dodici anni - datemi un attimo, torno fra qualche riga su questo concetto. Inutile però che i giocatori hardcore di Splatoon o i maniaci di Xenoblade si risentano sdegnati: con Labo Nintendo non sta di certo parlando a loro, bensì ad un'audience diversa. Un'audience che esiste e che è fatta tanto di gamer con figli (magari da avviare ad una passione comune proprio attraverso esperienze del genere), quanto di chi ai videogiochi si è avvicinato in punta di piedi. Un'audience che, ça va sans dire, può rivelarsi incredibilmente profittevole per le casse del colosso di Kyoto, specie considerando i costi non banali dei set.
    C'è poi una questione di matrice squisitamente filosofica: che piaccia o meno, Nintendo è - dal Wii in poi per alcuni, da sempre per altri - anche, se non per molti versi addirittura soprattutto, questa. La Nintendo che, come si diceva in apertura, osa. La Nintendo che apre scenari suoi, la Nintendo che se ne frega, la Nintendo che non fa videogiochi ma che, oggi più che mai, fa video-giocattoli (nell'accezione di giocattoli tecnologici, e basta pensare alla sacra cura del gameplay che quasi dogmaticamente viene riservata ad ogni produzione per rendersene conto). Insomma, Labo non è un rinnegare l'anima della Grande N, Labo è al contrario un trionfo dell'anima scapestrata e anticonformista della Grande N come non se ne vedevano da tempo.

    Personalmente, io non solo approvo: mi alzo in piedi ed applaudo a scena aperta. E lo faccio dall'alto delle mie trentaquattro primavere suonate, per di più con l'"aggravante" di essere felicemente senza figli: durante quei due minuti e cinquantadue secondi, io sono letteralmente rimasto a bocca spalancata. Proprio come mi era successo in quel lontano settembre 2005, ho sognato (forse anche più del dovuto...), ho sorriso e sentito il brividino alla base di collo delle cose che ti emozionano.
    E, lo specifico non solo senza vergogna ma pure con una punta di orgoglio, sono al 100% fiero di tutto ciò: sono felice di non avere paura di essere rimasto un po' bambino, ed anzi non vedo l'ora di costruirmi il mio zaino-cubotto e di girare per casa come un pirla, sotto lo sguardo più perplesso che divertito della mia ragazza. Durerà appena qualche ora, mi stuferà presto e finirà tutto dentro un armadio a prendere polvere? Per uno della mia età è pressoché assicurato, figuriamoci. Tecnicamente Labo neppure dovrebbe essere una faccenda destinata a me. Eppure non vedo l'ora, e dentro di me già so che ne varrà la pena. Grazie di esistere, Mamma N. Grazie di esistere perché una trovata del genere, così perversamente in equilibrio tra genialità e follia, solo e soltanto tu potevi inventarla.

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