Nintendo e le terze parti: storia di un amore travagliato

Ripercorriamo la storia del rapporto tra Nintendo e le terze parti, una storia fatta di amore e odio, in particolar modo negli ultimi 20 anni...

Nintendo e le terze parti: storia di un amore travagliato
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Non è certo un segreto che, a distanza di oltre 30 anni dall'uscita giapponese del NES, il rapporto di Nintendo con le terze parti possa ancora essere definito, se non conflittuale, perlomeno difficile.
La storia di questo legame si dipana nell'arco di oltre due decenni e, senza alcuna pretesa di assoluta completezza, il pezzo che state leggendo traccia una linea che dal passato arriva fino al presente, dandoci forse l'occasione di fare alcune previsioni sul futuro.
Le cause che hanno reso la relazione fra Nintendo e le terze parti a tratti problematica non sono da ricercare nel passato recente, e sono anzi ben radicate nei tempi della prima home console della casa di Kyoto. Già all'epoca Nintendo attuò una serie di politiche che definire "rigide" sarebbe davvero un eufemismo - come il divieto di pubblicare più di cinque titoli all'anno, in un momento storico in cui i tempi di sviluppo erano più brevi e l'unico modo per i publisher di guadagnare era di distribuire più titoli possibile - ma riuscì comunque a mantenere salda la presa sugli sviluppatori grazie a un sostanziale monopolio nel mercato e alla gestione "imperialista" del presidente Yamauchi.
Se fin da subito il trattamento riservato dall'azienda agli sviluppatori esterni non fu proprio idilliaco, una parte della "colpa" ricade sulle spalle di una persona che tutti noi conosciamo e amiamo: Shigeru Miyamoto. Nintendo, del resto, aveva alle sue dipendenze uno dei più geniali game designer della storia, ideatore delle serie di Super Mario e Legend of Zelda, un Re Mida del videogioco.
Banalmente, a cosa serviva trattare con i guanti le terze parti quando l'offerta first party rappresentava il traino maggiore per la console, grazie anche alla qualità incontestabile dei titoli?

Le cose però cambiarono rapidamente quando SEGA, da poco ripresasi dalla crisi del 1983, decise di entrare con decisione nel mercato hardware e di dichiarare sostanzialmente "guerra" a Nintendo.

Le politiche più morbide verso i publisher e un flusso costante di titoli arcade, oltre ovviamente alla serie di Sonic, consentirono a SEGA di contendere il monopolio a Nintendo e, a periodi alterni, addirittura di superarla. Il vero punto di rottura arrivò sul finire dell'era SNES. Se SEGA stava soffrendo a causa di scelte azzardate ed estremamente costose (come il Game Gear ed il suo successore, il Nomad, nonché la periferica 32X per il Genesis/Mega Drive), Sony si preparava a lanciare PlayStation. Inizialmente sarebbe dovuta essere una periferica per SNES che avrebbe consentito a quest'ultima di leggere i CD-ROM, ma dopo trattative turbolente l'accordo naufragò, e Sony decise - non prima di aver tentato di collaborare con SEGA - di produrre la sua console autonomamente. Non avendo team di sviluppo interni, Sony annesse studi come Psygnosis e firmò contratti di esclusiva con svariati publisher, tra cui Namco, per portare sulla neonata console conversioni dei titoli arcade.

Nintendo si trovò quindi a lanciare sul mercato la sua nuova console, il Nintendo 64, in un momento in cui il CD-ROM di Sony si stava ormai affermando come lo standard e Final Fantasy VII stava per essere pubblicato sulla piattaforma rivale (a tal proposito, la rottura tra Squaresoft e Nintendo è una storia tuttora controversa, anche se in un'intervista del 2001 a Nikkei il presidente di Square Nao Suzuki si addossò le colpe della querelle, pentendosi inoltre di aver esortato anche Enix ad abbandonare a sua volta la casa di Kyoto). Inizialmente ben ricevuta dagli utenti e dalla critica, la console presentava la criticità del supporto su cartuccia che, se da un lato consentiva tempi di caricamento più veloci, dall'altro imponeva costi maggiori e tagli di memoria ridotti.
Va anche detto che dopo l'iniziale boom di vendite Nintendo 64 subì una battuta d'arresto, a causa delle poche uscite dovute al costo delle cartucce e all'architettura hardware su cui era difficile sviluppare (problema ripresentatosi poi con Wii U). Tra i tanti citiamo il caso di Sin and Punishment, co-sviluppato da Nintendo e Treasure.

In un appuntamento di "Iwata Asks" vennero discusse le difficoltà incontrate durante lo sviluppo, tra cui (come lo stesso Iwata ammette) grossi limiti sulle texture, che costringevano i developer ad ingegnarsi per trovare soluzioni alternative.
Solo pochi sviluppatori, tra i quali Rare e Factor 5, dimostrarono la capacità (e la caparbietà) di riscrivere addirittura il microcode del processore grafico per ovviare alle limitazioni di RAM, cache delle texture da soli 4kb e spazio disponibile su cartuccia.
Come del resto per le sue precedenti console, la filosofia che Nintendo sembrava portare avanti era semplice: progettiamo hardware su cui sviluppare i nostri titoli, se poi qualcuno vuole pubblicare sulle nostre console, si accomodi: e si adatti. Voci di corridoio narrano addirittura che Nintendo avesse progettato l'hardware in modo tale che solo gli sviluppatori più dotati e volonterosi potessero rilasciare con successo software su Nintendo 64. Tale voce sembrerebbe essere confermata da Genyo Takeda, a capo dello sviluppo hardware, che ebbe ad esprimere il suo rammarico: l'idea che per produrre giochi più avanzati lo sviluppo stesso dovesse essere più complesso si rivelò a posteriori disastrosa.

I problemi continuano anche nella generazione successiva: la rigida politica di Yamauchi verso le terze parti porta pure il neonato GamerCube a vacillare sul fronte dell'offerta software, salvo pochi (rari) casi. A questo si aggiunge un risultato davvero moderato sul fronte delle vendite: con meno di 22 milioni di console vendute, GameCube è l'hardware di minor successo di Nintendo dopo Wii U.
Nonostante le promesse e le rassicurazioni di Nintendo, giunte tramite dichiarazioni in cui affermava di aver compreso gli errori fatti con N64, GameCube venne lanciata del resto più di un anno dopo PlayStation 2, consentendo a Sony di assumere una posizione dominante nel mercato e di schiacciare definitivamente SEGA (costretta a smettere di produrre Dreamcast dopo appena 18 mesi dalla sua immissione nel mercato).

Seppur sostenuta da un'offerta first party di tutto rispetto (Super Smash Bros. Melee, Mario Kart: Double Dash!!, The Legend of Zelda: The Wind Waker su tutti, assieme a nuove IP come Luigi's Mansion), GameCube non riuscì ad imporsi in maniera significativa, e salvo alcuni publisher come SEGA (che nel frattempo aveva del tutto abbandonato il mercato hardware) e Capcom (che successivamente ritirò l'esclusiva di Resident Evil 4 a causa delle scarse vendite) le terze parti avevano in buona sostanza abbandonato Nintendo al proprio - triste - destino. Persino Xbox, che pur aveva una fetta di mercato simile a quella di GameCube, ricevette più titoli, su tutti GTA e molti FPS, che saltarono il cubetto a piè pari.

È questo il clima in cui Satoru Iwata si trova a ricevere il testimone della direzione dell'azienda, quando Yamauchi si ritira nel 2002. Diametralmente opposto al suo predecessore, Iwata promosse una visione completamente nuova: portare il videogioco in un'altra dimensione, rendendolo fruibile a tutti, non solo agli "hardcore gamer". Yamauchi stesso dirà che il DS fu una scommessa (fortunatamente vincente) che se persa avrebbe probabilmente decretato la fine di Nintendo, che per la prima volta in oltre cento anni di attività aveva registrato delle perdite proprio a causa di GameCube.
Mentre il cubo è lasciato agonizzante al suo destino, DS macina nel primo anno di vita quasi 15 milioni di unità vendute, cifra più che raddoppiata nell'anno successivo. Ma del resto, a differenza delle console casalinghe, le portatili Nintendo non hanno mai avuto problemi di supporto. I titoli arrivarono, le terze parti erano disposte a realizzare versioni ad hoc dei loro software pur di accaparrarsi una fetta della torta (Call of Duty e GTA su tutti) e Squaresoft, divenuta Square-Enix, aveva in buona parte ricucito i rapporti con Nintendo, pubblicando (oltre al Crystal Chronicles su GameCube e un nuovo Tactics su GBA) i remake di Final Fantasy III (fino ad allora inedito in Nord America) e dell'amatissimo Final Fantasy IV, senza dimenticare Dragon Quest IX, che fece registrare vendite stellari.

D'altro canto Wii, pur avendo convinto critica e pubblico, lasciò inizialmente perplesse le terze parti. Con un comparto hardware di poco superiore a GameCube - quando la concorrenza era già lanciata nella corsa all'HD - e gli strampalati controlli motion, non è difficile immaginarsi gli sviluppatori guardare alla nuova console casalinga di Nintendo con un sorrisetto di commiserazione.
Ci volle poco per far loro capire quanto si fossero sbagliati: in poco più di un anno Wii vendette 20 milioni di unità, lasciando stupefatte le terze parti. Yves Guillemot, CEO di Ubisoft, ad esempio, ammise come sottovalutare la console fosse stato un errore e che avrebbe preso Wii molto più seriamente.
Questo però non cambiò di molto le cose: a causa dell'hardware poco performante i multipiattaforma non uscirono, o vennero prodotte versioni castrate che incontrarono scarsissimo successo commerciale. Del resto l'idea che è proprio con Wii le console Nintendo siano diventate definitivamente "alternative". E non è un caso che, scorrendo la lista dei giochi Wii che hanno venduto più di un milione di copie, dobbiamo scendere alla posizione 16 per incontrare un gioco non prodotto e/o pubblicato da Nintendo in alcuna regione: Just Dance.

Non facciamo alcuna fatica quindi ad immaginare come alla presentazione di Wii U le terze parti stessero facendo ogni tipo di scongiuri. Gli sviluppatori intervenuti, mentre giuravano amore eterno a Nintendo e promettevano supporto incondizionato, molto probabilmente incrociavano le dita dietro la schiena.
Non servì: ripetendo l'errore di N64, Nintendo lanciò una console con un'architettura hardware su cui era difficile sviluppare e con una feature difficile da gestire come il secondo schermo del Gamepad.
Uno sviluppatore, rimasto anonimo, raccontò a Digital Foundry che durante la presentazione di Nintendo era rimasto colpito dalle potenzialità del Gamepad, ma preoccupato dalla scarsa CPU. L'implementazione per Visual Studio fornita da Nintendo non funzionava, i tempi per compilare il codice erano lunghissimi e il debugger era anch'esso lento e macchinoso. La documentazione fornita era minima e il supporto tecnico di Nintendo era pressoché inesistente: gli sviluppatori, trovandosi ad avere a che fare con una architettura molto diversa rispetto a Xbox 360 e PS3, senza sufficiente aiuto da parte di Nintendo, si ritrovarono in pratica a dover improvvisare.
Al lancio erano sorprendentemente disponibili un buon numero di titoli multipiattaforma ma, come nel caso di Wii, i multipiattaforma si giocavano sostanzialmente su PlayStation o Xbox, e le vendite furono terribili. Aggiungiamo alla ricetta un marketing sbagliato e il disastroso piatto è servito: in poco più di quattro anni Wii U vendette meno di 14 milioni di unità, il più terribile insuccesso commerciale di Nintendo in tutta la sua storia se non consideriamo il Virtual Boy.
Alla luce di quanto abbiamo visto non sorprende dunque minimamente che dopo gli sforzi intrapresi e i risultati commerciali, buona parte degli sviluppatori si ritirarono in silenzio e non produssero più titoli per Wii U.

È dopo questo percorso lungo quasi 25 anni che giungiamo ad oggi. Costretta a battere in ritirata e pensionare Wii U anzitempo, Nintendo presenta Switch. L'azienda di Kyoto non ha sicuramente rinunciato a smarcarsi dalla competizione, progettando console che abbiano un tratto distintivo unico e in questo caso l'idea è brillante: Switch è una console ibrida, dotata di schermo per funzionare come handheld e con la possibilità di collegarsi al grande schermo della TV. Ma, al netto dell'idea vincente, stavolta anche quello che c'è "dietro" è al posto giusto. Nintendo sembra davvero aver imparato la lezione, e propone un hardware che, seppur non sia all'altezza della concorrenza in ambito home, rappresenta lo stato dell'arte della tecnologia mobile; oltre, finalmente, a fornire una piattaforma su cui programmare è molto più facile e veloce, a detta di molti sviluppatori.

Switch è indubbiamente figlia del genio visionario di Miyamoto e del compianto Iwata, tanto quanto dell'attuale presidente Kimishima, uomo sicuramente più pragmatico dei suoi predecessori.
Sembra che il cambio al vertice abbia portato una mentalità nuova in Nintendo, più aperta alle terze parti, più desiderosa di dare supporto agli sviluppatori e soprattutto più conscia del valore che le terze parti danno alla console. Gli annunci dei porting di titoli quali Skyrim, L.A. Noire, e i recentissimi annunci di Doom e Wolfenstein 2 sembrano essere indice proprio di questo cambiamento. Se per chi è abituato ai multipiattaforma può trattarsi di uscite di poco conto, per gli utenti Nintendo si tratta di novità assolute: è la prima volta, infatti, che Bethesda pubblica software su console di mamma N.
Se aggiungiamo poi il supporto sia tecnico che pubblicitario che Nintendo fornisce agli sviluppatori indipendenti si può, finalmente, guardare in maniera più serena al futuro della grande N. Switch non sarà forse la console che offre di più in termini quantitativi o di multipiattaforma, ma gli sviluppatori sembrano finalmente disposti a dare fiducia a Nintendo e alla sua utenza. Se ne sono accorti proprio tutti: persino Jim Ryan, presidente di PlayStation Europe, che si è detto contento di riscoprire Nintendo in ottima forma, perchè "il settore è più forte quando la concorrenza è determinata".
E finalmente, stavolta, Nintendo sembra essere davvero agguerrita.