Perché PS5 costa di più? Inflazione e crisi dei chip tra le cause

Sony ha inaspettatamente aumentato di 50 euro il prezzo di PlayStation 5: ecco i motivi di una decisione destinata inevitabilmente a far discutere.

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Con un annuncio del tutto inaspettato, Sony ha aumentato il prezzo di PlayStation 5 di 50 euro. Si tratta di una mossa senza precedenti nel settore del gaming su console: dopo due anni dall'uscita di PlayStation 5 sul mercato il prezzo dovrebbe abbassarsi anziché aumentare, almeno in condizioni "normali". L'ultimo biennio dell'ammiraglia di casa Sony, però, è stato tutto fuorché canonico.

Dal lancio in piena pandemia da Coronavirus alla crisi globale dei chip, fino alla cronica carenza di scorte presso i rivenditori, che ha addirittura costretto Amazon a dare il via agli acquisti su invito, pare che quella di PS5 sia stata, almeno fino ad ora, una vita piuttosto travagliata, almeno dal punto di vista della produzione e della vendita. Vediamo perciò quali sono i principali motivi dietro il rincaro di 50 Euro di Playstation 5.

Tre alternative possibili

Partiamo dall'ovvio: le condizioni economiche globali non sono le migliori. Non a caso, nel breve annuncio dell'aumento di prezzo di PS5 pubblicato da Sony sul PlayStation Blog, l'azienda cita come principale (unica?) motivazione dei rincari la congiuntura macroeconomica a livello planetario.

In particolare, Sony parla dell'aumento dell'inflazione e dell'andamento delle valute come concause della decisione di alzare il prezzo della console, dal momento che la situazione economica globale starebbe "ponendo sotto crescente pressione diversi settori industriali". Si tratta di affermazioni certamente vere: nelle ultime settimane, le trimestrali delle principali Big Tech hanno dipinto un quadro a tinte fosche per tutto il mercato informatico, a partire dal settore dell'hardware per PC e finendo nel mercato videoludico, passando per il mondo degli smartphone e quello dei televisori. Per esempio, aziende che ci hanno abituato a crescite molto sostenute come NVIDIA hanno iniziato a perdere denaro, vedendo la propria forbice di guadagni assottigliarsi in maniera molto marcata. Anche Intel ha visto i suoi guadagni contrarsi, arrivando ad operare una mossa analoga a quella di Sony, aumentando i prezzi delle CPU in uscita da fine 2022 in poi.

La mossa di Sony è pienamente giustificata se consideriamo che l'aumento dell'inflazione comporta, in ogni settore, un incremento dei prezzi di vendita al dettaglio: nel caso di prodotti complessi come PS5, poi, vi è la possibilità che i fornitori stessi delle componenti necessarie alla produzione decidano di aumentare i loro prezzi, riducendo il margine di guadagno di Sony sulla vendita della console.

Sommando questi effetti, diventa possibile capire che la decisione di alzare il prezzo di PS5 dipende dalla necessità di preservare il margine di guadagno del produttore sul singolo device anche a fronte di una congiuntura sfavorevole del mercato. Per raggiungere tale obiettivo, Sony aveva due possibilità: cercare contratti più vantaggiosi con i fornitori, in modo da ridurre i prezzi delle componenti di base della sua console (cosa impossibile, ma del perché ne parleremo a breve); oppure far pagare la differenza ai compratori, arrivando ad alzare il prezzo della sua console in un momento in cui questo dovrebbe invece subire i primi tagli in concomitanza con promozioni ed offerte. L'azienda ha infine optato per la seconda scelta.

Certo, una "terza via" poteva esserci, dal momento che Sony avrebbe potuto accettare di vedere i suoi margini assottigliarsi, o addirittura vendere PS5 in perdita sperando di rientrare con gli acquisti pro capite effettuati lato software, dal momento che l'azienda ottiene cospicue commissioni sulle vendite di tutti i dischi di gioco e sulle transazioni effettuate sul PlayStation Store.

Vendere PS5 in perdita

A qualcuno potrebbe sembrare una mossa azzardata, ma non sarebbe la prima volta che un produttore decide di vendere una console in perdita per tenerne basso il prezzo: per esempio, Nintendo ha venduto in perdita WiiU per quasi tutto il suo ciclo vitale, ben sapendo che la console avrebbe iniziato a fruttare denaro al colosso di Kyoto solo dopo l'acquisto di tre videogiochi pro capite a prezzo pieno.

Anche Microsoft ha dichiarato che Xbox viene venduta in perdita fin dalla prima iterazione della console: insomma, Sony sembra essere l'unica a vendere le proprie piattaforme in positivo, e non a caso è stata anche l'unica ad aumentarne i prezzi a causa dell'inflazione galoppante.

Proviamo a fare i conti in tasca a Sony: la compagnia, secondo un report di Bloomberg risalente al 2020, aveva dei costi pari a 450 Dollari per la produzione della versione fisica di PlayStation 5, il che significa che Sony guadagna(va) circa 50 Dollari per ogni console venduta, almeno in condizioni di mercato normali. Le cose starebbero diversamente per la digital edition, che verrebbe già venduta in (lieve) perdita, oppure in pari con i costi di produzione. A conti fatti, un aumento di 50 Dollari del prezzo delle due console dovrebbe corrispondere ad un incremento del loro costo di produzione del 10% circa (da 499 a 549 Dollari per il modello standard e da 399 a 449 per il modello digital).

Non si tratta di un'eventualità troppo remota, perché l'aumento dell'inflazione potrebbe aver portato ad un deprezzamento tale delle valute e ad un aumento dei prezzi delle componenti hardware da giustificare un costo maggiorato del 10% circa.

Dall'altra parte, però, è anche vero che Sony avrebbe potuto decidere di vendere in perdita PS5 in attesa di un miglioramento della situazione macroeconomica, sperando di rifarsi con le vendite dei titoli in uscita nei prossimi mesi e di quelli già sul mercato: se ricordiamo che PlayStation 5 ha ancora molte frecce al proprio arco, come il remake di The Last of Us e il nuovo capitolo di God of War, entrambi peraltro in uscita in autunno, è poco probabile che, sommando vendite software e hardware pro capite, il bilancio definitivo di PS5 possa essere negativo, nonostante il momento di austerità economica globale. Certo, Sony è un'azienda e deve tutelare i propri guadagni: vendere PS5 in perdita significherebbe accettare una repentina contrazione negli utili, che magari l'azienda non è disposta a sostenere, giungendo così alla decisione di aumentare il prezzo della console.

La crisi dei chip pesa ancora

Una possibile alternativa all'aumento del prezzo poteva essere il taglio dei costi di produzione di PS5, ovviamente cercando di impattare il meno possibile sulla sua qualità e sulle sue prestazioni.

Il motivo per cui il colosso giapponese non ha tentato di percorrere questa via dipende essenzialmente da due fattori: il primo è la normale tendenza delle aziende a realizzare i propri prodotti al prezzo più basso possibile, mentre il secondo è la continuazione della crisi dei semiconduttori, che non sembra ancora essersi risolta del tutto. Quest'ultima, infatti, oltre ad aver impattato fino a oggi sulla disponibilità di PS5 sul mercato, potrebbe aver avuto anche un'altra ripercussione di peso sulla produzione della console Sony.

Esserne certi è impossibile, ma l'andamento del settore del chipmaking degli ultimi due anni potrebbe aver impedito l'abbassamento dei costi di produzione di PS5. Solitamente, con il passare del tempo, la creazione di economie di scala, il miglioramento delle produzioni esistenti e il superamento di queste ultime con nuovi sistemi a più alta tecnologia comporta un abbassamento dei costi di produzione dei dispositivi che hanno qualche mese o qualche anno sulle spalle. In una situazione normale, la produzione di una PS5 costerebbe meno di 450 Dollari nel 2022 inoltrato, perché quello era il costo di realizzazione che la console aveva ben due anni fa, nel 2020.

Tuttavia, la crisi dei semiconduttori potrebbe aver gravemente alterato questo processo: la riduzione delle risorse a disposizione dei chipmaker e il peggioramento delle economie di scala (dovuto al fatto che i prodotti hi-tech hanno faticato a raggiungere gli scaffali dei negozi negli ultimi due anni) potrebbero aver evitato la fisiologica riduzione del prezzo di produzione di PlayStation 5, e dunque anche di quello di vendita della console.

In altre parole, una PS5 costerebbe oggi a Sony ancora 450 Dollari, e non 400, o 350, come ci si aspetterebbe dall'andamento "tradizionale" del mercato. Ciò spiegherebbe sia la mancanza di promozioni e offerte sulla console, sia perché l'ammiraglia Sony sia stata più suscettibile, in termini di prezzo, rispetto all'andamento macroeconomico dei mercati a confronto con Nintendo Switch (uscita nel 2017, che quindi ha tre anni più sulle spalle) e Xbox Series S e X (la cui situazione in termini di approvvigionamenti è apparsa sin da subito migliore di quella della console Sony).

L'ultima spiaggia

Pare dunque che la scelta di Sony di aumentare il prezzo di PlayStation 5 non sia dovuta a intenti speculativi, come alcuni utenti hanno suggerito nelle scorse ore, ma più ad una serie di coincidenze negative che stanno colpendo tutto il settore informatico ed alle specifiche modalità utilizzate dalla compagnia giapponese per affrontare la contingenza economica globale.

Qualcuno ha anche criticato il fatto che Sony abbia aumentato il prezzo di PS5 solo in alcuni mercati, cioè quelli europei, giapponese, cinese, australiano, canadese e messicano, evitando di colpire il prezzo della console negli Stati Uniti d'America, dove però l'inflazione si sta abbattendo molto più duramente che altrove. Inutile girarci intorno: si tratta di una mossa arbitraria e di mercato, dettata dal fatto che negli USA la console giapponese fatica ancora ad imporsi sulla concorrenza di Microsoft e della sua Xbox. Insomma, il discorso sul vendere PS5 in perdita, che non si applica in quasi tutti i mercati globali, potrebbe essere perfettamente valido in quello americano, dove un rincaro di 50 Dollari di PlayStation 5 significherebbe dare un vantaggio importante a Microsoft e ad Xbox.

Dall'altra parte, qualcuno potrebbe chiedersi perché Sony, come altre aziende, non abbia iniziato a licenziare personale e tagliare produzioni poco convincenti, magari "tranciando" di netto qualche studio considerato poco redditizio: la possibilità di futuri annunci in tal senso non è da escludere, anche perché aziende del calibro di Netflix hanno già iniziato a lasciare a casa ingegneri, sviluppatori e impiegati in quasi ogni settore per fare economia.

La possibilità di esuberi e licenziamenti è sempre un'"ultima spiaggia" che una compagnia non affronta a cuor leggero (almeno in teoria), ma per Sony ridurre il proprio organico significherebbe di nuovo trovarsi un passo indietro rispetto a Microsoft, soprattutto nel campo della produzione di IP interne: dopo l'acquisto di Bethesda da parte di Microsoft e la fusione di Xbox ed Activision, che hanno ampliato il parco delle IP di Redmond con titoli del calibro di Call of Duty e The Elder Scrolls, Sony si è trovata improvvisamente "staccata" dalla rivale, tradizionalmente nota per avere invece un insieme di IP di minor richiamo rispetto alla major giapponese. Operando ulteriori tagli, Sony potrebbe temere che la bilancia del successo si sposti troppo in favore di Microsoft, un'eventualità assolutamente da evitare in un mercato già in difficoltà.