Politica e Videogiochi: quando l'intrattenimento diventa denuncia

Siete davvero certi che nei videogiochi non si parli di ideologia politica? Discutiamone in un lungo viaggio nel mondo dell'intrattenimento.

Politica e Videogiochi: quando l'intrattenimento diventa denuncia
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Le strade degli Stati Uniti d'America sono state infiammate dalle proteste per la morte dell'afroamericano George Floyd, e il mondo dell'intrattenimento videoludico non ha ignorato le decine di migliaia di persone che stanno chiedendo, con mezzi più meno pacifici, il rispetto dei più basilari diritti umani: Sony, ad esempio, ha rinviato l'evento di presentazione di PlayStation 5 di qualche settimana, e simili decisioni sono state assunte anche da altri colossi dell'industria, come CD Project RED e Electronic Arts. Alcuni si sono trovati in disaccordo, sostenendo che i videogiochi non dovrebbero interessarsi di politica. Forse la questione dovrebbe essere più profonda: può un videogioco - e, più in generale, un medium - non essere politico?

Evasione?

Chiaramente il rinvio degli eventi di cui sopra non ha nulla a che fare con il contenuto dei videogiochi che sarebbero stati presentati, ma è dovuto alla volontà di esprimere un messaggio di solidarietà e consapevolezza per la corrente situazione americana. Il discorso va spostato al videogame come prodotto culturale e d'intrattenimento: i mondi virtuali possono essere veicoli di forti messaggi di rilevanza politica e sociale, proponendoci occasioni di immersione in situazioni anche molto al di fuori della nostra zona di comfort, e non solo di evasione. E anche titoli non "impegnati" come Super Mario possono dirci molto sui valori e sugli stereotipi della nostra società.

In ogni caso non sembra possibile produrre un'opera d'arte figurativa, letteraria o cinematografica senza che l'autore riversi al suo interno la sua visione del mondo: tutti noi viviamo in un contesto socio-culturale popolato di credenze e convenzioni. Sta all'artista decidere se esprimerli o, all'opposto, combatterli nel suo quadro, romanzo o film.

Un esempio? È molto più probabile che il protagonista del prossimo blockbuster videoludico sia un maschio bianco, piuttosto che un uomo di colore (o una donna). Anche questa è politica. Allo stesso modo i videogiochi sono creati da persone, che più o meno consciamente veicoleranno nella loro creazione visioni, messaggi, aspirazioni - proprio come accade in ogni altro medium. La loro prospettiva, in un modo o nell'altro, dà forma e anima al loro prodotto.

Capitan America nacque dalla penna dei fumettisti ebrei Joe Simon e Jack Kirby all'inizio degli anni ‘40, pochi mesi prima dell'attacco giapponese a Pearl Harbor, per combattere l'antisemitismo che dilagava negli Stati Uniti e spingere gli americani a dichiarare guerra a Hitler; il celebre dipinto di Eugène Delacroix, La Libertà che guida il popolo, si inserisce nel contesto delle insurrezioni parigine del 1830, e rappresenta le aspirazioni dei francesi per un futuro migliore, libero dall'odiata monarchia dei Borbone. Ancora politica.

L'arte e l'artista sono parte di un tessuto culturale che non può essere ignorato, e possono mettere in luce zone di realtà nascoste agli occhi del grande pubblico. La performer guatemalteca Regina José Galindo, esponente della body art, mira a testimoniare l'orrore delle dittature succedutesi nella sua terra d'origine tramite performance dalla tremenda potenza evocativa.

Nel 2003, con Chi può cancellare queste impronte?, protestò contro la candidatura a presidente dell'ex dittatore Rios, intingendo i suoi piedi in una bacinella piena di sangue umano e lasciando le sue orme nei luoghi più significativi di Ciudad de Guatemala. Senza visioni politiche, i nostri musei sarebbero sale vuote e decisamente poco interessanti. Non è necessario essere d'accordo con manifestazioni artistiche così forti e impegnate: l'importante è non restare indifferenti, ricordando che una sana discussione è alla base di una sana democrazia.
Come vedremo di seguito, ci sono giochi che, come altre forme d'arte, fanno dell'ideologia politica e sociale il loro nucleo fondante.

Papers, please (2013)

L'interattività e l'immedesimazione offerte dal medium videoludico sono opportunità inestimabili per gli sviluppatori che desiderano trasportare il giocatore in luoghi virtuali di riflessione politica. Il primo titolo che vi proponiamo è Papers, please, ideato e programmato dal developer indipendente Lucas Pope. Questa distopia ci fa sedere nel gabbiotto di un impiegato doganale dello Stato immaginario di Arstotzka, chiaramente ispirato all'Unione Sovietica degli anni ‘80.

Negli scomodi panni di quest'uomo ci troviamo ad analizzare i passaporti e la documentazione proposti dalle persone che desiderano entrare ad Arstotzka; il nostro potere, esercitato tramite i timbri DENIED o APPROVED, può rappresentare vita o morte per noi e per chi abbiamo intorno, visto che tra la folla sono presenti anche dei terroristi determinati a combattere la dittatura che regna nello Stato che serviamo, o dei perseguitati politici che subiranno una fine orribile se rispediti nel loro Paese d'origine.

Non mancano storie per cui vorremmo scrivere a tutti i costi un lieto fine, come il caso di un marito e una moglie con documenti non propriamente in ordine. Bisogna però tenere in conto che uscire dal seminato della rigida applicazione della legge ha un costo altissimo: la nostra famiglia potrebbe trovarsi senza cibo e medicine a causa dei continui tagli allo stipendio che ci troveremo a subire se non faremo il nostro dovere. Ripetitivo per scelta e inquietante per vocazione, Papers, please ci mostra tutto il grigiore della vita di un uomo che lo Stato vuole rendere un robot. Sta a noi mantenere l'umanità quando e dove possiamo.

Phone Story (2011)

"Hello consumer, thank you for joining us. Let me tell you the story of this phone, while I provide you with quality entertainment". Phone story si apre con uno sfondamento della quarta parete, e lascia subito intendere di essere molto più di un semplice gioco per smartphone.

Ideato dall'attivista Michael Pineschi di Yes Lab - un gruppo di cui forse avevate sentito parlare ai tempi delle proteste newyorkesi di Occupy Wall Street - e sviluppato dall'italiano Paolo Pedercini, Phone Story fa proprio ciò che il titolo promette: raccontare la vita di uno smartphone. Un'esistenza non sempre all'insegna dei diritti umani, fatto che forse rende chiara la ragione per cui Apple ha rimosso il titolo dal suo App Store dopo appena quattro giorni dal lancio.

Si va dalle miniere di coltan in Congo, dove alcune guardie si accertano che dei bambini estraggano il prezioso minerale - fondamentale per la produzione dei nostri smartphone - senza fare pause. Passiamo a salvare con un telone elastico gli operai che si gettano dal tetto di una fabbrica, stremati dalle terribili condizioni di lavoro e desiderosi soltanto di farla finita una volta per tutte. Controlliamo il commesso che lancia ai clienti smaniosi i cellulari, finalmente finiti e impacchettati, oggetto del loro desiderio.

Infine assistiamo all'andare del nastro trasportatore su cui si trovano i componenti degli smartphone ormai scartati dai voraci consumatori in favore dell'ultimo modello. "And the cycle continues...", come ci ricorda il gioco. Tutta questa cruda realtà è messa in scena proprio sugli schermi dei cellulari prodotti con i metodi denunciati da Phone Story: su un qualsiasi altro device il titolo non avrebbe avuto lo stesso impatto emotivo sul giocatore.

RIOT Civil Unrest (2019)

Esattamente come Phone Story, anche RIOT: Civil Unrest è stato ideato da persone direttamente coinvolte nell'attivismo politico. Leonard Menchiari è stato ispirato dalla sua partecipazione in prima persona alle proteste No-Tav in Val di Susa, e il concept di gioco ruota intorno alla simulazione di scontri tra cittadini e polizia in varie aree del mondo.

Obiettivo degli sviluppatori è quello di tramutare noi, spettatori di eventi che abbiamo visto molte volte nei telegiornali, in giocatori che impersonano, a scelta, protestanti o poliziotti. Vivere l'atmosfera di ribellione, paura e violenza nelle strade virtuali di RIOT è molto diverso dall'assistervi tramite le telecamere di un'emittente televisiva, anche se in entrambi i casi ci troviamo adagiati nella comodità del nostro divano. Il tutto grazie all'immersività dell'esperienza concepita da questi capaci sviluppatori indipendenti.

Le missioni durano pochi minuti e la tensione è sempre ai massimi livelli: si ha la costante impressione che la situazione possa sfuggire di mano da un momento all'altro, e l'imprevisto è dietro l'angolo. Proprio come accade nella realtà, spesso il giocatore non riesce a porre rimedio ad eventi che stanno precipitando verso una conclusione indesiderata. In questi casi torniamo ad essere semplici spettatori, incapaci di imporci sulla forza disumana della massa.

Make it Rain The Love of Money (2014)

Guadagnare più soldi con l'unico obiettivo di guadagnare più soldi. Sembra sciocco, vero? Eppure sembra essere il sogno di molti! Make it Rain: The Love of Money propone una satira contro l'ossessione verso il Dio Denaro, e lo fa sui nostri smartphone. Il gameplay è ridotto all'osso, e consiste nel trascinare banconote dal basso verso l'alto: in questo modo il giocatore potrà avere a disposizione sempre più soldi virtuali e investirli in vari modi. Non c'è una trama, non c'è un finale. I gesti dell'utente sono finalizzati al puro e semplice guadagno.

Mentre siamo impegnati a trascinare soldi virtuali, un menu in-game si apre dopo pochi secondi dall'inizio della nostra "avventura": ci vengono proposti vari tipi di acquisti, da un banale salvadanaio a un business di vendita di limonate, fino al finanziamento della campagna elettorale di un politico. Scelte oculate consentiranno di guadagnare sempre di più, e sempre più velocemente.

Proseguendo nel gioco ci troveremo ad avere opzioni più inquietanti, come la concessione di mutui subprime (la miccia che ha scatenato la terribile crisi economica del 2008, per intenderci) o la corruzione dell'FBI per evitare che i nostri loschi affari vengano alla luce. Va detto che le scelte fatte dal giocatore non vengono problematizzate, non essendo visibili le conseguenze economiche e sociali del nostro operato. Resta un'inquietante affresco della malata fissazione della nostra società per il benessere finanziario.

Abbiamo parlato di titoli che pongono al loro centro questioni di importanza sociale spesso molto rilevanti, ma ogni videogioco esprime visioni politiche: in una società matriarcale, ad esempio, sarebbe sicuramente Peach a salvare Super Mario, e non il contrario!

L'importante non è tanto esprimere giudizi di valore o di disvalore, ma porsi delle domande e riflettere sul mondo virtuale proposto. Molto spesso troveremo utili spunti per capire ciò che apprezziamo e ciò che vorremmo cambiare nella nostra società. Il videogioco può scatenare emozioni capaci di lasciare un segno durevole nel giocatore, spingendolo a discutere di questioni scomode e attuali come immigrazione, sfruttamento minorile e corruzione.

Non c'è nulla di male nel preferire titoli meno "impegnati": basta essere consapevoli che ogni prodotto videoludico si inserisce in un contesto socio-culturale ben preciso. Avete mai giocato uno dei titoli che abbiamo qui proposto? Vi piace accogliere le sollecitazioni date dagli sviluppatori, o magari mettere in discussione le loro scelte? Vi aspettiamo per discuterne nei commenti!