Quantum Break 2 e Scalebound usciranno davvero? Forse non tutto è perduto

In attesa di conferme da Redmond, analizziamo il potenziale impatto dei due chiacchierati titoli nel nuovo ecosistema targato Microsoft.

Quantum Break 2 e Scalebound usciranno davvero? Forse non tutto è perduto
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  • La passata generazione di console non è stata proprio una passeggiata per Microsoft, che nel lontano 2013 presentò la sua Xbox One come un vero e proprio media center da salotto, lasciando troppo poco spazio al cuore pulsante dell'esperienza su console: i videogiochi. Travolta dai dubbi di chi vedeva in questa proposta una sorta di allontanamento dalla "retta via" del gaming, la casa di Redmond strappò invece accordi per esclusive di spessore, alcune delle quali però risentirono in varie forme del difficile periodo che la compagnia stava vivendo.

    Due dei videogiochi più discussi del passato recente di Microsoft sono tornati alla ribalta grazie all'interessamento non solo dei giocatori, ma degli stessi creativi dietro opere che avrebbero ancora tanto da offrire: stiamo parlando di Scalebound, di nuovo al centro di rumor che lo vorrebbero in sviluppo, e di un possibile Quantum Break 2, che l'attore Shawn Ashmore sarebbe felicissimo di veder realizzato. In questa sede sonderemo quindi il potenziale di questi possibili ritorni, cercando di capire in che modo potrebbero inserirsi all'interno del nuovo ecosistema di Xbox, oggi molto diverso - in senso positivo - rispetto a quello dell'era Xbox One.

    Niente è perso per sempre

    Partiamo proprio dall'opera targata Remedy, profondamente collegata all'idea di una console capace di offrire intrattenimento multimediale a tutto tondo. Quello diretto da Sam Lake era infatti l'esperimento perfetto per la visione iniziale alla base di Xbox One, per via della sua natura ibrida.

    Quantum Break è stato capace di mescolare gli stimoli del classico videogioco alla narrazione episodica di una serie tv, dando forma a una strana amalgama che - sebbene non perfetta - colpì per inventiva e pregio tecnico. La storia con biforcazioni di Jack e Paul non proponeva un gameplay particolarmente sfaccettato, ma l'incredibile qualità visiva e un'espressività facciale di livello la resero la nuova IP di Microsoft più venduta su Xbox One, un trono che ha mantenuto fino all'uscita di Sea of Thieves nel 2018. Anche la critica approvò la natura sperimentale del titolo (con un clic potete viaggiare nel tempo e recuperare la nostra recensione di Quantum Break), consolidando l'idea che l'avventura di Remedy fosse lungi dall'essere conclusa. Malgrado l'interesse suscitato dalla produzione, la società americana non finanziò mai un sequel del progetto, e nel frattempo la software house è passata a tutt'altro, di fatto evolvendo proprio alcuni degli elementi cardine di Quantum Break per regalarci l'ottimo Control (ritornate tra i corridoi della Oldest House con la recensione di Control). Potremmo quasi sostenere che Remedy abbia sfruttato il potenziale dell'opera precedente proprio per realizzare il viaggio paranormale della Faden, a partire da una ricetta ludica più profonda e ambiziosa.

    Mamma ho ridistrutto il continuum spazio-temporale

    Spinti dai rumor che a tempi alterni vogliono un ritorno dell'IP (già nel 2018 si vociferava di un possibile Quantum Break 2), ci siamo chiesti come potrebbe continuare la storia di Jack in un eventuale secondo capitolo, incontrando fin da subito una domanda fondamentale alla base dell'intero processo creativo: l'epopea di questo viaggiatore del tempo fa parte dell'universo Remedy, oppure no?

    Lo studio finlandese sta infatti creando un ordito che comprenda e giustifichi storie apparentemente diverse - Control di fatto "contiene" Alan Wake - ma non c'è mai stato alcun accenno riguardo al possibile inserimento di Jack Joyce in questa grande tela. Parte della narrativa passa attraverso questo snodo cruciale, e proprio come davanti ai protagonisti di Quantum Break si apre un bivio che non accetta mezze misure. Nel caso in cui si decidesse di inserire lo spunto temporale all'interno dello straniante mondo di Jesse Faden e Alan Wake, allora gli sceneggiatori dovranno trovare il modo di giustificare anche i possibili viaggi nel tempo nelle loro storie. Non sembra affatto una soluzione immediata perché è molto complicato passare dalla fantascienza "seria" al paranormale: uno dei punti di forza di Quantum Break era proprio la sua attinenza alle teorie più riconosciute dalla comunità di fisici, e infatti divenne essenziale il supporto allo sviluppo della storia dato da Syksy Räsänen, uno scienziato che aveva lavorato al CERN. Far rientrare anche questa tra le opere del Remedy-verso sconvolgerebbe non poco le trame future, rendendole probabilmente fin troppo intricate, ed è per tale motivo che sembra più plausibile un eventuale allontanamento di Jack dagli orrori dell'Hiss.

    Anche senza doversi ricollegare agli eventi di altri videogiochi, il finale di Quantum Break lasciava ampi margini allo sviluppo di un sequel con l'inserimento di un nuovo boss per la Monarch (la malvagia società che si oppone al protagonista), ed anche con il dubbio lasciato ad aleggiare sulla testa di Jack Joyce.

    Martin Hatch ha infatti proposto all'eroe di lavorare con lui all'interno di un'azienda riformata dopo la scomparsa di Paul Serene, aprendo proprio sul finale un bivio decisionale pensato per fornire le basi per un eventuale sequel.

    Lo stesso protagonista non sembra davvero soddisfatto dell'epilogo della sua storia perché, nel sussurrare a una versione di Beth congelata nel tempo che la salverà, sta di fatto sfidando la regola aurea dell'universo, e cioè il principio di auto-consistenza.

    Ciò che è accaduto non può essere cambiato, il futuro è già scritto e non c'è spazio per i paradossi temporali, e nel voler riportare in vita una persona deceduta è lo stesso protagonista che si configura come una possibile minaccia all'umanità. Inoltre Jack ha avuto una visione di sé stesso nel futuro affetto dalla Sindrome da Chronon, ma non bisogna nemmeno dimenticarsi di Paul Serene, il cui cadavere è letteralmente scomparso con l'attivazione del campo regolatore che ha rimesso le cose a posto.

    I nuovi mezzi verdecrociati

    Navigando tra gli spunti narrativi di un futuro tutto da scrivere, anche l'aspetto ludico godrebbe di un rinnovamento quantomeno obbligato dal passaggio del tempo.

    Un eventuale Quantum Break 2 si muoverebbe con ogni probabilità sui binari di uno sparatutto in terza persona, dove le fasi di shooting si mescolano ai poteri del protagonista per creare coreografie spettacolari, ed è proprio nell'ambito delle abilità che Remedy dovrebbe dimostrare di aver evoluto la sua formula base. Sebbene venne apprezzato il piglio aggressivo delle sparatorie, con i nemici che obbligavano il giocatore a rimanere in movimento senza trincerarsi dietro una copertura, in molti definirono risicato il numero di skill a disposizione di Jack, molto minore rispetto alla pletora di talenti della "collega" Jesse Faden. Bisogna innanzitutto spezzare una lancia in favore dei game designer, poiché non è affatto semplice giustificare decine di abilità a tema temporale. Eppure siamo certi che l'esperienza accumulata da Remedy in questi anni aiuterebbe gli sviluppatori a trovare nuove soluzioni di natura ludica. Avendo preso piena coscienza delle proprie capacità, Jack potrebbe accedere ad una gamma ampliata di poteri, arrivando ad esempio a rallentare i proiettili in arrivo oppure a velocizzare in maniera sproporzionata i suoi, mentre un'applicazione affascinante dei suoi talenti potrebbe essere la manipolazione del tempo relativo degli avversari, tesa a limitarne la reattività oppure a deteriorare il loro stato fisico.

    A portare sullo schermo le gesta del protagonista (o dei protagonisti) ci penserebbe ancora una volta il Northlight Engine, utilizzato in origine proprio per Quantum Break, ma rifinito dall'esperienza a tratti problematica di Control fino al suo massimo splendore. Gli effetti particellari erano il fiore all'occhiello dell'opera Remedy datata 2016, ma ad essi potrebbero finalmente aggiungersi anche una rinnovata distruttività ambientale e il ray-tracing spaccamascella visti durante le scorribande nella Oldest House, garantendo un colpo d'occhio di grande impatto.

    Nel generare tanta potenziale bellezza visiva - e non solo, perché il comparto audio di Quantum Break era di assoluto livello, soprattutto nell'ambito degli effetti sonori - spiccherebbero le capacità computazionali di una console semplicemente imparagonabile alla sua antenata del 2013.

    I draghi del catalogo

    Se Quantum Break sembra quindi avere ancora tanto da dire, e la diffusione multipiattaforma del GamePass potrebbe essere un eccellente trampolino per il rilancio del brand, urge comunque valutare l'effettiva fattibilità di una simile iniziativa.

    Con Remedy completamente assorta nei lavori sul suo "universo espanso", che come detto è difficile da conciliare con quello di Jack Joyce, è giusto chiedersi quanto un eventuale seguito sarebbe compatibile col percorso creativo dell'azienda, senza considerare che Microsoft - proprietaria dell'IP - non ha mai dimostrato un esplicito interesse per la prosecuzione della serie, e sembra inoltre accusare gli effetti di una certa congestione produttiva. Un discorso che per forza di cose riguarda anche un possibile nuovo sodalizio tra il colosso statunitense e Platinum Games, a sei anni dalla fragorosa cancellazione di Scalebound. Malgrado tutto, non possiamo fare a meno di considerare intrigante l'idea di una resurrezione dell'IP su Series X ed S, che darebbe a Hideki Kamiya la possibilità di coronare un sogno e redimere gli errori del passato: è infatti con grande umiltà che il game designer si è preso tutte le colpe per quel naufragio epocale, ammettendo che - all'epoca - il team non era pronto per sviluppare un gioco con una componente online. Detto questo, Scalebound avrebbe ancora ragione di esistere come opera co-op "semplice", e non come un servizio live-service.

    Le frecce giapponesi

    La celebre presentazione che ispirò gli spettatori dell'E3 lasciava intravedere ottime potenzialità, ma dal lontano 2016 sono cambiate tante cose, e molti degli spunti più intriganti di quel gameplay si sono trasformati in solide realtà proprio con l'ultimissimo Bayonetta 3.

    Qualora ci fosse davvero l'intenzione di riprendere in mano il progetto, Scalebound dovrebbe quindi essere sviluppato da zero, evitando di ripartire dalle macerie di un titolo cancellato: Platinum Games si troverebbe però ad interfacciarsi con una Microsoft decisamente più preparata rispetto al passato, forte di una posizione sul mercato che è laterale rispetto ai diretti competitor. Scalebound rimarrebbe un action in terza persona focalizzato sulla spettacolarità e non sui tecnicismi, con una forte componente ruolistica anche legata alla personalizzazione del proprio compagno draconico, non solo nell'aspetto, ma anche nelle abilità. In quel brevissimo spiraglio che fece ammirare il gioco prima della sua dipartita, infatti, il protagonista veniva affiancato da altri alleati umani, ognuno con un drago unico. La propensione all'epicità doveva essere il marchio di fabbrica del titolo Microsoft, ma ha già trovato il giusto coronamento nell'ultima avventura di Cereza; eppure Scalebound potrebbe dire la sua in un contesto hardware nettamente superiore rispetto a quello di Switch, perché Platinum Games non dovrebbe scendere a compromessi tra fluidità e magnificenza visiva, regalandoci anche ambientazioni degne della sua azione al cardiopalma.

    Ancora una volta, il Gamepass sarebbe la chiave di un successo pronosticabile, poiché l'attenzione alla cooperazione online dell'opera troverebbe terreno fertile nell'ampia base installata da Microsoft (stiamo pur parlando di quasi trenta milioni di abbonati, come ci ha tenuto a precisare Sony). Starebbe quindi agli sviluppatori nipponici creare un titolo davvero valido, capace di intrigare e accalappiare quei giocatori che magari lo proverebbero soltanto per curiosità.

    Resta da chiedersi quale delle due anime di Platinum Games lavorerebbe al gioco, se quella in cerca di gloria in ambito multiplayer (colpita duramente dal recente fallimento di Babylon's Fall) o quella più tradizionale di Bayonetta e Astral Chain, ma in ogni caso la collaborazione farebbe risuonare con maggior vigore il nome di Microsoft nell'attuale panorama videoludico, immergendolo nelle acque poco esplorate di un mercato orientale ancora impervio.

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