Resident Evil: l'arte di resuscitare un incubo

In attesa di notizie sul ritorno di Resident Evil 2, riscopriamo il remake del primo episodio della serie Capcom, Resident Evil Rebirth...

Resident Evil: l'arte di resuscitare un incubo
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  • Xbox 360
  • PS3
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Silenzioso come la notte infinita che incombe sui vicoletti squallidi e dismessi di Raccoon City, lo scorso gennaio Resident Evil 2 ha celebrato vent'anni. Due decadi sono trascorse da quel maledetto primo giorno di lavoro del giovane agente Leon Scott Kennedy; due decadi dall'inizio della spasmodica ricerca di Chris Redfield da parte della determinata sorella Claire. Il loro viaggio incrociato li condurrà nel baratro di una cittadina rovinata per sempre. Era il 1998, quando Hideki Kamiya diresse questo superbo seguito: potenziato e intelligente, flemmatico ma anche adrenalinico, in grado di uscire a testa alta dal confronto col suo illustre (ma ancora seminale) predecessore. Esso si è consolidato nel tempo tra i capitoli favoriti della celebre serie survival horror, finendo puntualmente per essere citato tra i migliori videogiochi di tutti i tempi.
    Non vi era perciò miglior occasione -apparentemente- per alzare i veli sull'attesissimo remake, o almeno così era lecito aspettarsi, complici anche alcuni indizi sospetti: ciò nonostante, l'anniversario è trascorso senza troppo clamore per Capcom che, abile come il più addestrato degli agenti S.T.A.R.S., ha furtivamente aggirato lo scontro con l'orda di milioni di fan affamati di novità per preparare al meglio il suo arsenale. Avrà sufficienti colpi in canna all'E3 2018?
    Una certa impazienza non è affatto biasimabile: da quel primo annuncio datato agosto 2015 - declamato attraverso un video dal producer Yoshiaki Hirabayashi - non abbiamo infatti più avuto notizie sul progetto da quasi tre anni, fatta esclusione per qualche laconica ma necessaria conferma sullo stato dei lavori in corso.
    Augurando un buon lavoro al team di Capcom, restiamo sempre in territorio di rivisitazioni per approfondire un precedente storico fondamentale: il remake del primo Resident Evil, dalla titolazione ufficialmente omonima, ma conosciuto ai più come Resident Evil "Rebirth".

    Il remake, ma perché?

    Una premessa ampia, ma dovuta: perché in ogni campo culturale, dalla letteratura al cinema passando per i videogiochi, si ha l'esigenza di ideare e produrre un rifacimento di un'opera già esistente? Una risposta potrebbe essere la volontà di aggiornare un prodotto all'epoca presente, traendo nuovo beneficio da un nome già noto; un'altra, rilanciarlo col fine di concedergli una seconda occasione per brillare qualora non ci fosse riuscito prima, senza sottovalutare un'ovvia componente nell'economia delle idee creative, tradotta poi nel risparmio di preziose risorse come capitali e tempo a disposizione.

    Nella sconfinata offerta proposta dai videogiochi, in particolare, si distingue una notevole varietà di forme con cui si presenta il rifacimento di un'opera: remake, remaster e reboot (oltre eventuali vie di mezzo) sono tassonomie all'ordine del giorno per il videogiocatore, che non smette mai di interrogarsi sulla loro efficacia, sollevando collateralmente anche questioni di rilevante importanza critica e analitica intorno al "prodotto che ritorna".
    È interessante poi notare come il filone più soggetto al "trattamento remake" - in generale, ma in special modo per chi sfrutta il video come mezzo - sia il fantastico, in particolar modo i generi horror e fantascientifico. Il motivo, come intuibile, è legato ad una marcata dipendenza dall'evoluzione tecnologica di questi ultimi: nel cinema, ad esempio, accade spesso che, in corrispondenza di ogni nuovo step raggiunto dagli effetti speciali, si racconti di nuovo una storia già conosciuta (La Cosa, La Mosca o Il Pianeta delle Scimmie), svecchiandone però la resa estetica e riadattandone le tematiche al contesto culturale dell'epoca, con risultati altalenanti la cui trattazione esula dallo scopo dell'articolo.

    Considerazioni analoghe valgono anche - e soprattutto - per il medium videoludico, sottoposto da sempre a mutamenti tecnologici profondi e dall'impatto dirompente nei supporti fisici utilizzati; nelle interfacce di gioco; fino a vere e proprie rivoluzioni come l'avvento del 3D, dal quale è conseguito un naturale orientarsi dell'industria verso una progressiva complessità poligonale, all'ossessiva ricerca del realismo.

    "Welcome to the world of survival horror."

    Date le premesse, appare quindi inevitabile che nel caso di Resident Evil, emblema dell'orrore interattivo, una certa capacità di suscitare spavento perdesse velocemente efficacia negli anni, rendendo datati molti aspetti degli esordi. Approfondiamo la questione.
    Resident Evil debuttò nel 1996 sulla prima PlayStation, ideato dal director Shinji Mikami e prodotto da Masayuki Akahori e Tokuro Fujiwara. Se il nome del secondo signore non vi è familiare (ed è comprensibile, dato che non viene mai citato abbastanza) si tratta del director dietro ad alcuni dei più celebri titoli della casa di Osaka, come Ghosts ‘n Goblins e Bionic Commando, producer di innumerevoli Mega Man, nonché creatore di Tombi! e game designer di MadWorld. Lo stesso Resident Evil fu inizialmente concepito come remake di un suo titolo, Sweet Home (1989), tie-in di una pellicola horror nipponica dall'importanza seminale che già presentava molti degli elementi chiave del successo di Resident Evil: l'enfasi survival e la gestione dell'inventario, l'ambientazione della villa e le sezioni puzzle a base di enigmi.

    Mikami, Fujiwara e pure la dirigenza Capcom non erano sicuri del lavoro svolto - non aspettandosi, in primis, il successo commerciale da un gioco horror - ma furono ampiamente smentiti. Il titolo vendette molto e subito, mentre la stampa lo premiò universalmente, lodandone in particolare l'atmosfera, la sensazione di continua precarietà, il gameplay attentamente calibrato, il certosino sound design e la grafica basata sul fortunato mix tra modelli poligonali e sfondi pre-renderizzati ricchissimi di dettagli. Capcom rivendicò il primato di survival horror per Resident Evil e il suo enorme successo lo rese un franchise multimediale di primo piano per la casa di Osaka. Ciò nonostante, era chiaro a tutti che il gioco fosse tutt'altro che perfetto: infatti, vennero sottolineati il tono da B-movie della trama (impossibile dimenticare l'esilarante intro con gli attori americani!), rafforzato in negativo dal doppiaggio scadente dei personaggi e dalla pessima scrittura dei dialoghi.

    "You were almost a Jill Sandwich!", diceva il buon Barry Burton.
    Come non essere d'accordo?

    Shinji Mikami era pienamente consapevole delle debolezze del titolo e, affascinato dalle potenzialità hardware del Nintendo GameCube, agli inizi del 2001 decise di rivitalizzare la famigerata incursione degli agenti S.T.A.R.S. all'interno di Villa Spencer. L'obiettivo dichiarato era ricreare il gioco ex novo "avvicinandolo il più possibile alla visione originale, grazie ad un taglio visivo di qualità cinematografica in grado di incutere ancora più terrore e suspense". Così, Capcom siglò un accordo con Nintendo che, oltre ai porting di Resident Evil 2, Resident Evil 3: Nemesis e Resident Evil Code: Veronica X, assicurò proprio il remake dell'avventura di Chris e Jill in esclusiva su GameCube.

    Orrore elevato al cubo

    Dopo solamente un anno e due mesi (!) di concitato sviluppo, nel 2002 Rebirth venne alla luce e lo strabiliante risultato superò ogni aspettativa, scenario ben riassunto dalla reazione iperbolica della testata Game Revolution: "Confrontato con il remake, l'originale sembra Pong!"

    Ed in effetti, Rebirth risolse praticamente ogni difetto e proiettò all'eccellenza ciò che già era ottimo, ponendosi fin da subito (e così è ancora oggi, come confermato dalla recente HD Remaster) come uno dei migliori remake mai concepiti.
    Il merito principale va attribuito al desiderio di ricercare di una cifra stilistica più matura, meno involontariamente trash, accantonando le esagerazioni caricaturali da film horror anni ‘70/'80, pur senza rinunciare all'ispirazione sovrana del fu maestro degli zombie, George Romero. A fare la parte del leone per tale scopo è, ovviamente, tutto ciò che compone il mosaico estetico del titolo: una grafica all'avanguardia tendente al fotorealismo, ricca di forti contrasti tra luce ed oscurità, con una messa in scena enfatizzata da una regia più attenta e dinamica; un sonoro programmato per incutere angoscia nella cupa alternanza tra sussurrati motivi ambientali e laceranti silenzi; personaggi dai modelli dettagliati e animazioni realistiche, più espressivi grazie ai volti ricreati in motion capture, rendono ormai primitivi fantocci i precedenti.

    Completamente nuovo pure il doppiaggio, per il quale si ambiva ad un risultato migliore (ma i serrati tempi di sviluppo non lo consentirono), a favorire una migliore immersione del giocatore all'interno della vicenda.
    L'occasione era però troppo importante per limitarsi a rinnovare la sola presentazione: anche la sceneggiatura venne completamente riscritta per essere più incisiva, incorporando sezioni previste e poi scartate dal gioco originale come il cimitero e la sottotrama della simpaticissima Lisa Trevor. Il gameplay, invariato nel cuore ma ulteriormente rifinito e ancora preciso come un meccanismo ad orologeria, accolse l'introduzione di nuovi oggetti da utilizzare in caso di estrema difesa e, soprattutto, la creatura infame per definizione: il Crimson Head, il non-morto da inzuppare nel kerosene ed accendere subito se non si desidera rivederne le spoglie. Poteva andare peggio: Mikami disse che in principio sarebbero dovuti essere invisibili!

    Nel suo formidabile insieme, volto a creare un'attiva esperienza sensoriale di completo terrore, il capolavoro di Shinji Mikami è ancora oggi così virtuoso da restare ineguagliato nella serie per la sua efficacia nel trasmettere ogni sensazione associata al campo semantico della paura.
    Ci auguriamo quindi che Rebirth sia un modello importante per Capcom - se non negli intenti, almeno nel livello di ambizione - per il futuro remake di Resident Evil 2, affinché il risultato non replichi il successo dell'originale e anzi, lo superi.

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