Romance nei giochi di ruolo, ne abbiamo veramente bisogno?

Analizziamo il rapporto tra romanticismo e giochi di ruolo, un aspetto sempre più presente nei moderni GDR per PC e console.

Romance nei giochi di ruolo, ne abbiamo veramente bisogno?
Articolo a cura di

Nel mio immaginario personale (un insieme tendenzialmente convoluto di meme, videogiochi, spezzoni di film e pubblicità dell'amaro Montenegro), giochi di ruolo e "romance" sono due concetti ormai indissolubili. Questo non solo perché condivido con molti di voi un intimo apprezzamento per l'ottimo lavoro svolto da Bioware nell'accurata caratterizzazione anatomica di certi personaggi, ma soprattutto perché credo si tratti di un elemento cardinale per il coinvolgimento del giocatore nella narrazione di un qualsiasi prodotto ludico. Permettetemi una breve parentesi alla Piero Angela e lasciatemi chiarire il concetto per i meno smaliziati: per "romance" si intende una relazione sentimentale, più o meno interattiva, che coinvolge i diversi personaggi di un determinato videogioco e che, nell'ambito del genere ruolistico, è stata elevata a vera e propria dinamica di gameplay. Ok, via la musichetta da Superquark e passiamo oltre.

La scoperta dell'acqua calda

Non si tratta di un concetto esattamente "nuovo" quando parliamo di media dotati di una dimensione narrativa rilevante, che siano videogiochi, film, fumetti, serie TV o l'oroscopo di Branko. Relazioni sentimentali e rapporti interpersonali credibili dovrebbero infatti essere la dotazione standard di ogni opera d'intelletto che punti al coinvolgimento emozionale dei suoi fruitori. Questo perché quel fantastico processo di mimesi cognitiva che chiamiamo empatia entra in azione solo quando c'è l'illusione che gli individui presenti sullo schermo siano effettivamente dotati di una psicologia assimilabile alla nostra. Il fatto che il protagonista arrivi al fatidico scontro finale con un bagaglio emozionale riconoscibile, con qualcosa di "reale" da difendere oltre al generico concetto di "bene" (un leitmotiv sempre più debole), può trasformare il climax narrativo in qualcosa di memorabile, arrivando a farci benedire i titoli di coda con qualche sentito lacrimone. Per arrivare a questo non basta ovviamente schiaffare sullo schermo due battute da rimorchio in stile "Pierino contro tutti" e una scena di sfregamenti con la tradizionale dissolvenza in uscita; no: ci deve essere un crescendo fatto di piccoli eventi, di chiacchiere, di flirt e di momenti condivisi. In pratica l'esatto opposto della romance "oh, dalla tua collana vedo che sei disponibile, sarò la tua waifu" di Skyrim.

Lo stile Bioware

Come anticipato in apertura, il moderno concetto di "romance ruolistica" è interamente riconducibile al lavoro svolto da quei bravi ragazzi di Bioware, a partire dalla fine degli anni ‘90, con la serie Baldur's Gate. Il secondo capitolo della saga, Baldur's Gate II: Shadows of Amn, gettò infatti le basi per quel sistema di relazioni che Bioware avrebbe poi esteso, modulato e arricchito nei successivi 15 anni.

Ora, sono d'accordo con voi sul fatto che alcune delle meccaniche introdotte nel corso degli anni siano quantomeno discutibili (tipo la parentesi "i regali sono la chiave del mio... cuore" del primo Dragon Age e, in misura minore, dei due seguiti), ma è fuor di dubbio che Bioware ha segnato conquiste incredibili su questo fronte: storie d'amore tra personaggi dello stesso sesso, interrazziali e interspecie (ok, devo ammettere che la sequenza con il Toro di Ferro in Dragon Age: Inquisition mi mette un po' di disagio addosso) e, soprattutto, relazioni via via più credibili, basate sull'amicizia e sempre meno assimilabili a riempitivi buttati là tanto per fare fan service. Elementi importanti, non più ridotti a semplici corredi di contorno, ma con un peso riconoscibile nell'intreccio narrativo dei giochi. E non solo perché si tratta di catalizzatori per l'immersione del giocatore nelle vicende narrate, ma anche perché queste dinamiche contribuiscono alla definizione del nostro "modus ruolandi" (i latinismi inventati sono i migliori) nelle diverse avventure. Voglio dire: quante volte vi è capitato di agire in un determinato modo solo per ottenere, tra le maglie della narrazione ludica, l'approvazione di questo o di quel compagno? Quante volte le parole o i comportamenti di un possibile interesse digital-amoroso hanno contribuito a farvi favorire una condotta "morale" piuttosto che un'altra?

E non è proprio il caso di sentirsi dei poveri sfigati a caccia di coccole simulate, dato che si tratta di azioni che, a livello più o meno conscio, facciamo di continuo anche nella vita reale. In fondo siamo addestrati a ragionare secondo logiche premiali sin dalla prima infanzia: un tempo in cui, prima dello sviluppo della capacità critica, la differenza tra giusto o sbagliato coincideva con quella tra premio e punizione.

Insistendo sul parallelismo di cui sopra, la scenetta di parziale nudità al termine di una romance è "il biscotto" dato in premio al giocatore per aver soddisfatto specifiche condizioni, ma il vero guadagno sta nella rilevanza assunta da quella storia nel lascito emozionale del gioco. Prendiamo ad esempio il - tutt'altro che brillante - DLC Caccia alle Streghe di Dragon Age: Origins. A prescindere dalla qualità intrinseca del contenuto, è probabile che i Guardiani con all'attivo una relazione sentimentale - e un pargolo - con la sfuggente Morrigan abbiano "vissuto" il DLC in maniera del tutto diversa rispetto agli estimatori della dolce (almeno inizialmente) Leliana. Se ci pensate bene, il fatto che la relazione di influenza tra gioco e giocatore sia in qualche modo reciproca, con ambo le parti in grado di alterare i rispettivi comportamenti in risposta a degli input, ha del miracoloso, e permette al videogioco di elevarsi da semplice prodotto d'intrattenimento a forma d'arte riconoscibile.

Abbiamo veramente bisogno delle romance?

Arrivati a questo punto è un po' come chiedersi se abbiamo veramente bisogno di strafogarci a Natale. Ovviamente no, non ne abbiamo "veramente" bisogno. Eppure perché rinunciare ad un piacere, quando esistono le condizioni per goderne? Se chi cucina è bravo, e i piatti hanno un profumo, un aspetto e un sapore grandiosi, perché non approfittarne? Stesso discorso per le romance nei giochi di ruolo. Se lo sviluppatore è un fantastico cantastorie, e sussistono tutte le condizioni (budget, volontà, capacità) per la produzione di fantastiche romance, perché non farlo? In fondo si tratta di un plus in grado di migliorare nettamente la "risonanza" emotiva di un prodotto ludico, e di creare le condizioni ideali per epiloghi da standing ovation con annesso applauso. Come ci insegna il buon Woody Allen, alla fine dei giochi, "basta che funzioni". Voi che ne pensate?