Stiamo attraversando un momento della cultura pop dove il fattore nostalgico domina la scena. Il mercato tocca le corde del cuore e riesuma furbescamente l'archivio impolverato dei nostri ricordi di infanzia: Stranger Things alla tv, Jurassic World al cinema, un mini Snes di fianco alla Playstation 4. Il revamping sta vincendo facile. Non si sa esattamente come sia successo, io ho questa immagine mentale dei grandi della creatività mondiale che intorno a un tavolo da riunione decidono le forme del futuro, uno di loro riceve dalla mamma una foto su whatsapp vecchia di vent'anni e tira un sospiro malinconico talmente rumoroso da contagiare tutti gli altri. "Ciao ma', è da un po' che non ti sento. Ah hai trovato il mio Game Boy? Oddio che ricordi...". I ricordi. In un millisecondo di disorientamento creativo i ricordi hanno fatto breccia e si sono accampati a casa dell'immaginazione. Lo scenario apre a tre risultati: chi riscopre ed è contentissimo, chi riscopre ed era meglio se non lo faceva, chi scopre qualcosa di nuovo. Quest'ultimo rappresenta la fetta di target più delicata e recettiva perché chi scopre ora diverrà il nostalgico di domani. Quella che è a primo acchito un'ovvietà bella e buona è anche oggetto di una riflessione circa la relatività di quanto fruiamo. Già, perché quello che viene riproposto ora non è detto che produca gli stessi esiti, perciò chi scopre qualcosa di riproposto diverrà nostalgico, ma di cosa esattamente?
L'ombra del passato
Il remake di Shadow of the Colossus è un caso di studio che si presta a più riflessioni per l'argomento. Il titolo in questione, nato dal genio di Fumito Ueda circa tredici anni fa, non è un blockbuster di fama mondiale come molti dei soggetti di questa ondata reboot anni ‘80-'90: è un titolo molto discreto, con una carica sì roboante, ma che ha raggiunto i cuori di pochissimi. Non era un titolo per tutti, non ha venduto tanto, ma tutti coloro che lo hanno giocato ne sono rimasti folgorati.
Questo è bastato (e scusate se è poco) a portare il suo creatore nell'olimpo dei game designer, complice la difesa di una visione autoriale unica nel suo genere. Questa visione autoriale, questo saper fare proprio di Ueda così unico, è stata l'arma segreta in mano a Sony durante il glorioso E3 2015, evento in cui Yoshida e compagnia ci hanno venduto un sogno, dal sapore smaccatamente nostalgico. The Last Guardian, la meravigliosa ultima fatica di Ueda, non è arrivata sulle nostre console con l'intento di garantire al publisher entrate sbalorditive, ma con l'abile mossa di cementare la brand reputation di Sony, in quel momento due passi avanti rispetto al suo principale concorrente nella grande partita a scacchi che è il mercato videoludico. Era il momento perfetto per annunciarlo, era il momento perfetto riportare alla ribalta un progetto arenatosi un decennio, era il momento perfetto per farci ricordare di Ueda. L'anno successivo è stato il momento perfetto per rilanciare il suo straordinario percorso artistico e non è un caso se Shadow of the Colossus tirato a lucido da BluePoint ha venduto il 70% in più dell'originale.
Chi vi scrive adora la produzione del creativo nipponico Fumito Ueda, parte del mio gusto artistico è maturato grazie alla sua poetica. Chi vi scrive ha giocato Shadow of the Colossus che aveva diciassette anni e lo sta rigiocando che ne ha trenta. Il mio io adolescente è seduto accanto a me mentre vi scrivo. Per lui rigiocare SOTC è la cosa più vicina all'estasi, complice l'encomiabile lavoro dei ragazzi di BluePoint che hanno innegabilmente portato su schermo un'esperienza visiva decisamente goduriosa, ma il Francesco trentenne pensa a quel 70% in più di nuovi arrivati e ai diciassettenni di adesso che si ritrovano tra le mani questo titolo. La tutela della visione autoriale è una cosa seria, gente e i ragazzi di BluePoint, nel voler celebrare l'enormità che Shadow of the Colossus rappresenta hanno creato un'esperienza di gioco identica nelle sue meccaniche (anzi, non del tutto) ma di molto diversa nelle sensazioni che produce e trasmette. Per comprendere meglio di cosa parlo è utile osservare cosa è accaduto a livello meramente esecutivo: Sony ha commissionato a BluePoint, la capace software house dietro alla remastered di ICO e SOTC, il remake di quest'ultimo. Per rendere possibile questa operazione colossale SIE Japan cala l'asso mettendo a disposizione il kit di sviluppo utilizzato per The Last Guardian, primo e al momento unico titolo testimonianza della poetica di Ueda applicata all'attuale generazione di console. In tutto questo processo di confezionamento Ueda ha coperto il ruolo di supervisore ma il suo contributo, visto il risultato finale, sembra esser stato molto limitato. SOTC di BluePoint è un titolo notevole ma diverso dall'originale e di molto. Quel know how, quel saper fare così prezioso di Ueda, viene meno in più occasioni portandomi a concludere che il prodotto originale è inimitabile. Ciò è dovuto all'essenza stessa del titolo: un amico afferma spesso che SOTC è l'opera di Ueda con più compromessi e ha ragione.
La componente action più incisiva, i contenuti accessori al suo interno come la modalità di scontro a tempo e i livelli di difficoltà selezionabili, hanno prodotto un titolo sicuramente più accattivante per il vasto pubblico rispetto ad ICO. Ciononostante Shadow of the Colossus è comunque plasmato secondo i dettami del design sottrattivo, raccontando e dando modo di interagire con un'esperienza di gioco snella ed essenziale. Qui avviene il corto circuito di senso, poiché tutto ciò che può aggiungere un remake su un titolo del genere, produce un terremoto, anche il più piccolo dei particolari. Accade così che quello che può sembrare all'apparenza mero vuoto pneumatico, si traduca in uno spazio da occupare. Un'espressione facciale aggiuntiva, gesti che alterano la comunicazione prossemica del personaggio, e il messaggio che i suoi movimenti producono cambia.
Le differenze maggiori sono percepibili per lo più dall'occhio, visivamente vengono a mancare ad esempio quei richiami stilistici allo Studio Ghibli, con un titolo che esalta il dettaglio e il realismo nella più classica delle visioni occidentali. Ma la vera differenza la si riscontra nell'interattività, nell'esplorazione di quell'ignoto che sono le Terre Proibite che imprigionano Dormin, dove BluePoint ha aggiunto, in netto contrasto con la visione autoriale primigenia. I casi più lampanti sono le easter egg dedicati agli altri titoli creati da Fumito Ueda, piccoli camei che staccheranno un sorriso ai fan di vecchia data ma che altereranno la percezione di quel mondo di gioco che fino a poco tempo fa ha sempre raccontato solo ed esclusivamente di sé, lasciando più dilemmi che risposte su quelle architetture arcaiche costruite da chissà chi. Tutto è informazione e tutto è appreso, più o meno consapevolmente. Chi calcherà le proprie orme per la prima volta in quelle lande maledette, in riva al mare troverà un cocomero, verde e lucido, maturo e succulento, in netto contrasto con la decadenza di quei luoghi. Chi calcherà le proprie orme per la prima volta non coglierà quel dettaglio. Servirà per creare curiosità nei confronti di ICO? Forse. O forse produrrà nel fruitore speculazioni inattese, risultato di una narrativa anomala. E che dire dei collezionabili? Un'intera meccanica introdotta ex novo, pensata forse col nobile intento di esplorare gli scorci mozzafiato delle Forbidden Lands, che potrebbe tuttavia creare l'effetto opposto distogliendo l'attenzione dal viaggio senza sosta di un paladino che ha fretta di rivedere la propria amata tornare tra i mortali ma altro non può fare se non contemplare quegli spazi durante le sue cavalcate verso il prossimo nemico da abbattere. Cosa mai potranno pensare i nuovi arrivati di fronte alla nuova stanza segreta aggiunta nelle fondamenta del Sacrario del Culto? Che idea si faranno della spada di Dormin? Che risultati produrrà su chi da questo remake partirà alla scoperta del resto dell'universo dipinto da Ueda? La produzione di questo remake non sembra aver contemplato certe conseguenze e sebbene l'operato di BluePoint e il mercato diano loro ragione, la carica artistica del medium invita alla prudenza, a una tutela accorta, alla parsimonia in fase di restauro.
Solo in questo modo potranno veramente preservarsi i racconti, solo in questo modo rimarranno intatti i messaggi vero tesoro di questo tipo di opere. Giocate questo remake dunque, ma maneggiatelo con cura, con la consapevolezza che è l'eco di una voce gentile vecchia di un decennio. Se avete a cuore la conservazione di un'idea usatelo per orientarvi e capire da dove proviene quell'eco, poi mettetevi in viaggio verso la sua origine.
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Shadow of the Colossus: Il valore di un remake d'autore
Restaurare un'antica gloria del gaming e conservarne i significati. Il remake di SOTC ad opera dei BluePoint Games è un caso atipico.
Stiamo attraversando un momento della cultura pop dove il fattore nostalgico domina la scena. Il mercato tocca le corde del cuore e riesuma furbescamente l'archivio impolverato dei nostri ricordi di infanzia: Stranger Things alla tv, Jurassic World al cinema, un mini Snes di fianco alla Playstation 4. Il revamping sta vincendo facile. Non si sa esattamente come sia successo, io ho questa immagine mentale dei grandi della creatività mondiale che intorno a un tavolo da riunione decidono le forme del futuro, uno di loro riceve dalla mamma una foto su whatsapp vecchia di vent'anni e tira un sospiro malinconico talmente rumoroso da contagiare tutti gli altri. "Ciao ma', è da un po' che non ti sento. Ah hai trovato il mio Game Boy? Oddio che ricordi...". I ricordi. In un millisecondo di disorientamento creativo i ricordi hanno fatto breccia e si sono accampati a casa dell'immaginazione. Lo scenario apre a tre risultati: chi riscopre ed è contentissimo, chi riscopre ed era meglio se non lo faceva, chi scopre qualcosa di nuovo. Quest'ultimo rappresenta la fetta di target più delicata e recettiva perché chi scopre ora diverrà il nostalgico di domani. Quella che è a primo acchito un'ovvietà bella e buona è anche oggetto di una riflessione circa la relatività di quanto fruiamo. Già, perché quello che viene riproposto ora non è detto che produca gli stessi esiti, perciò chi scopre qualcosa di riproposto diverrà nostalgico, ma di cosa esattamente?
L'ombra del passato
Il remake di Shadow of the Colossus è un caso di studio che si presta a più riflessioni per l'argomento. Il titolo in questione, nato dal genio di Fumito Ueda circa tredici anni fa, non è un blockbuster di fama mondiale come molti dei soggetti di questa ondata reboot anni ‘80-'90: è un titolo molto discreto, con una carica sì roboante, ma che ha raggiunto i cuori di pochissimi. Non era un titolo per tutti, non ha venduto tanto, ma tutti coloro che lo hanno giocato ne sono rimasti folgorati.
Questo è bastato (e scusate se è poco) a portare il suo creatore nell'olimpo dei game designer, complice la difesa di una visione autoriale unica nel suo genere. Questa visione autoriale, questo saper fare proprio di Ueda così unico, è stata l'arma segreta in mano a Sony durante il glorioso E3 2015, evento in cui Yoshida e compagnia ci hanno venduto un sogno, dal sapore smaccatamente nostalgico. The Last Guardian, la meravigliosa ultima fatica di Ueda, non è arrivata sulle nostre console con l'intento di garantire al publisher entrate sbalorditive, ma con l'abile mossa di cementare la brand reputation di Sony, in quel momento due passi avanti rispetto al suo principale concorrente nella grande partita a scacchi che è il mercato videoludico. Era il momento perfetto per annunciarlo, era il momento perfetto riportare alla ribalta un progetto arenatosi un decennio, era il momento perfetto per farci ricordare di Ueda. L'anno successivo è stato il momento perfetto per rilanciare il suo straordinario percorso artistico e non è un caso se Shadow of the Colossus tirato a lucido da BluePoint ha venduto il 70% in più dell'originale.
Chi vi scrive adora la produzione del creativo nipponico Fumito Ueda, parte del mio gusto artistico è maturato grazie alla sua poetica. Chi vi scrive ha giocato Shadow of the Colossus che aveva diciassette anni e lo sta rigiocando che ne ha trenta. Il mio io adolescente è seduto accanto a me mentre vi scrivo. Per lui rigiocare SOTC è la cosa più vicina all'estasi, complice l'encomiabile lavoro dei ragazzi di BluePoint che hanno innegabilmente portato su schermo un'esperienza visiva decisamente goduriosa, ma il Francesco trentenne pensa a quel 70% in più di nuovi arrivati e ai diciassettenni di adesso che si ritrovano tra le mani questo titolo. La tutela della visione autoriale è una cosa seria, gente e i ragazzi di BluePoint, nel voler celebrare l'enormità che Shadow of the Colossus rappresenta hanno creato un'esperienza di gioco identica nelle sue meccaniche (anzi, non del tutto) ma di molto diversa nelle sensazioni che produce e trasmette. Per comprendere meglio di cosa parlo è utile osservare cosa è accaduto a livello meramente esecutivo: Sony ha commissionato a BluePoint, la capace software house dietro alla remastered di ICO e SOTC, il remake di quest'ultimo. Per rendere possibile questa operazione colossale SIE Japan cala l'asso mettendo a disposizione il kit di sviluppo utilizzato per The Last Guardian, primo e al momento unico titolo testimonianza della poetica di Ueda applicata all'attuale generazione di console. In tutto questo processo di confezionamento Ueda ha coperto il ruolo di supervisore ma il suo contributo, visto il risultato finale, sembra esser stato molto limitato. SOTC di BluePoint è un titolo notevole ma diverso dall'originale e di molto. Quel know how, quel saper fare così prezioso di Ueda, viene meno in più occasioni portandomi a concludere che il prodotto originale è inimitabile. Ciò è dovuto all'essenza stessa del titolo: un amico afferma spesso che SOTC è l'opera di Ueda con più compromessi e ha ragione.
La componente action più incisiva, i contenuti accessori al suo interno come la modalità di scontro a tempo e i livelli di difficoltà selezionabili, hanno prodotto un titolo sicuramente più accattivante per il vasto pubblico rispetto ad ICO. Ciononostante Shadow of the Colossus è comunque plasmato secondo i dettami del design sottrattivo, raccontando e dando modo di interagire con un'esperienza di gioco snella ed essenziale. Qui avviene il corto circuito di senso, poiché tutto ciò che può aggiungere un remake su un titolo del genere, produce un terremoto, anche il più piccolo dei particolari.
Accade così che quello che può sembrare all'apparenza mero vuoto pneumatico, si traduca in uno spazio da occupare. Un'espressione facciale aggiuntiva, gesti che alterano la comunicazione prossemica del personaggio, e il messaggio che i suoi movimenti producono cambia.
Le differenze maggiori sono percepibili per lo più dall'occhio, visivamente vengono a mancare ad esempio quei richiami stilistici allo Studio Ghibli, con un titolo che esalta il dettaglio e il realismo nella più classica delle visioni occidentali. Ma la vera differenza la si riscontra nell'interattività, nell'esplorazione di quell'ignoto che sono le Terre Proibite che imprigionano Dormin, dove BluePoint ha aggiunto, in netto contrasto con la visione autoriale primigenia.
I casi più lampanti sono le easter egg dedicati agli altri titoli creati da Fumito Ueda, piccoli camei che staccheranno un sorriso ai fan di vecchia data ma che altereranno la percezione di quel mondo di gioco che fino a poco tempo fa ha sempre raccontato solo ed esclusivamente di sé, lasciando più dilemmi che risposte su quelle architetture arcaiche costruite da chissà chi. Tutto è informazione e tutto è appreso, più o meno consapevolmente. Chi calcherà le proprie orme per la prima volta in quelle lande maledette, in riva al mare troverà un cocomero, verde e lucido, maturo e succulento, in netto contrasto con la decadenza di quei luoghi. Chi calcherà le proprie orme per la prima volta non coglierà quel dettaglio. Servirà per creare curiosità nei confronti di ICO? Forse. O forse produrrà nel fruitore speculazioni inattese, risultato di una narrativa anomala. E che dire dei collezionabili? Un'intera meccanica introdotta ex novo, pensata forse col nobile intento di esplorare gli scorci mozzafiato delle Forbidden Lands, che potrebbe tuttavia creare l'effetto opposto distogliendo l'attenzione dal viaggio senza sosta di un paladino che ha fretta di rivedere la propria amata tornare tra i mortali ma altro non può fare se non contemplare quegli spazi durante le sue cavalcate verso il prossimo nemico da abbattere. Cosa mai potranno pensare i nuovi arrivati di fronte alla nuova stanza segreta aggiunta nelle fondamenta del Sacrario del Culto? Che idea si faranno della spada di Dormin? Che risultati produrrà su chi da questo remake partirà alla scoperta del resto dell'universo dipinto da Ueda? La produzione di questo remake non sembra aver contemplato certe conseguenze e sebbene l'operato di BluePoint e il mercato diano loro ragione, la carica artistica del medium invita alla prudenza, a una tutela accorta, alla parsimonia in fase di restauro.
Solo in questo modo potranno veramente preservarsi i racconti, solo in questo modo rimarranno intatti i messaggi vero tesoro di questo tipo di opere. Giocate questo remake dunque, ma maneggiatelo con cura, con la consapevolezza che è l'eco di una voce gentile vecchia di un decennio. Se avete a cuore la conservazione di un'idea usatelo per orientarvi e capire da dove proviene quell'eco, poi mettetevi in viaggio verso la sua origine.
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