Si fa presto a dire che il Playable Teaser di Silent Hills è una delle più brillanti e riuscite operazioni di marketing della storia videoludica. Da Hideo Kojima, del resto, ormai non c'è da aspettarsi niente di meno: persino l'annuncio di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, presentato inizialmente come il misterioso progetto del misconosciuto Moby Dick Studio, fu di quelli da ricordare, studiato ad arte per spiazzare e incuriosire i giocatori.
Qui siamo andati ancora oltre: Kojima ha fatto sviluppare una condensatissima esperienza horror, distribuita sul PSN dopo un breve trailer mostrato alla conferenza Sony della gamescom. A posteriori, è stato sicuramente quello di un nuovo capitolo della saga Konami l'annuncio-bomba della fiera tedesca. Ma prima che P.T. svelasse il suo intimo segreto, poteva quasi sembrare il tentativo di un studio indipendente di inseguire la moda horror del momento.
E invece no: proprio mentre Capcom non sa tirare fuori il suo Resident Evil dall'impasse creativa che ormai l'ha reso ombra di sé stesso (e tenta di recuperare fan e popolarità semplicemente riconvertendo il primo episodio), Konami spiazza tutti e compone un team stratosferico, mettendo assieme Kojima, Guillelmo Del Toro (rimasto forse orfano del suo inSANE, magari confluito proprio in questo progetto), e l'attore Norman Reduus (a conferma del fatto che ormai lo star system di Hollywood ha bisogno di nuovi mercati con cui confrontarsi).
Quello che ne uscirà è ancora incerto, ma per il momento i fan sono in fibrillazione: non solo per il trailer di pochi secondi che si sblocca alla fine della demo, ma anche perchè Kojima ha dimostrato, proprio con P.T., di saper imbastire una delle esperienze più traumatiche e disturbanti in seno all'horror videoludico.
Are you sure the only you is you?
Ci sono una stanza e un corridoio. Sempre lo stesso. Arrivati alla fine, si varca una porta per ritrovarsi nello stesso posto, circondati dal tremendo squallore esistenziale che affanna ogni passo. P.T. ci intrappola in un circolo infinito, ci chiude in un ambiente viscido e disturbante, e ci chiede di attraversarlo ancora e ancora. C'è una sveglia che segna le ore 23.59, e neppure lei riesce a sfuggire a questo incubo temporale, varcando la soglia del nuovo giorno. Ogni volta, i numeri luminosi sul display ci annunciano con laconica brutalità che siamo ancora lì. Magari è cambiato qualcosa: adesso piove, e sui vetri delle finestre sprangate si infrangono le gocce terribili di un temporale. Oppure c'è una porta socchiusa da cui esce il lamento di qualche strana creatura deforme. Ma in fondo siamo sempre lì, in questo corridoio interminabile che racconta tutta la miseria della condizione umana. Una radio gracchia notizie terribili, racconta di efferati omicidi avvenuti in dimenticate cittadine di periferia. Più che il segno di una follia violenta, viene quasi da credere che sia l'accettazione di una sconfitta soprattutto etica, ad aver spinto qualche padre di famiglia al gesto estremo.
Magari la radio parla proprio di noi, che non riusciamo a vederci in faccia perché ogni specchio è rovinato: magari quello in cui siamo intrappolati è un inferno intimo e personale, in “girone” speciale per gli assassini e gli omicidi, costretti a rivedere per sempre il luogo che li ha fatti impazzire. E quel corridoio basta davvero, a cancellare la ragione. Per terra ci sono bottiglie vuote, ritagli di giornale, polvere e spazzatura. Qualche scarafaggio, di tanto in tanto, esce dai buchi nelle pareti, come per lanciare un monito terribile: tutto sta marcendo. Il mobile del telefono racconta anche un'altra storia, fatta di ansiolitici e medicine, in una montagna di blister che si svuotano troppo in fretta. Più avanti ci sono ancora foto sbiadite, volti cancellati, altre bottiglie, e una porta che dà sul nulla. In fondo, basterebbe quel corridoio per spaventare a morte: perché è come se fosse il “miglio verde” della sanità mentale, il camminamento che porta alla follia, che spegne la gioia di vivere, l'incarnazione di un desolante peso esistenziale.
E invece no: non basta. Ben presto questo inferno privato diventa ancora più assurdo, allucinato. Si apre la porta di un bagno dove il feto malnato di uno storpio ansima nel lavandino. Oscure presenze compaiono negli angoli, svaniscono, ci agguantano e ci urlano in faccia tutto il loro dolore. Le stanze infestate si perdono nel buio, solcate dal fascio malsicuro di una torcia raccattata per terra.
Ben presto il disgusto si trasforma in terrore: un terrore viscerale, sottocutaneo, che toglie ogni certezza. Conosciamo a memoria ogni parte di quel corridoio, sappiamo di doverlo attraversare, ma siamo atterriti dall'incertezza di quello che succederà al prossimo passo. C'è una voce che ci parla, ad un certo punto, uscendo da un sacchetto di carta insanguinato: come se fosse quella di chissà quale organo palpitante. Ci chiede - con voce rotta e distorta: “Are you sure the only you is you?”. E se quello che vediamo non fosse un circolo senza fine, ma invece l'orrore quasi identico di dieci, cento, mille poveracci il cui cervello non ha retto all'orrore dell'oggi? Uomini tutti uguali, tutti inutili, tutti minuti e tutti schiacciati dai rimorsi, dalle allucinazioni, dalle medicine? Così, smarriti fra un orrore intimo ed un delirio collettivo, vaghiamo ancora, nella speranza di vedere il nuovo giorno.