La grande storia dei jrpg: origini e boom dei giochi di ruolo giapponesi

Facciamo un lungo viaggio insieme dalle origini del JRPG fino ad oggi... non importa dove stiamo andando, ma il percorso!

La grande storia dei jrpg: origini e boom dei giochi di ruolo giapponesi
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La definizione di JRPG (Japanese Role-Playing Game) è all'apparenza molto semplice: è l'etichetta che racchiude al suo interno i videogiochi di ruolo prodotti in Giappone. Sotto la superficie, però, la situazione è un po' più complessa. In primo luogo è utile ricordare che questa definizione nasce in un contesto occidentale in cui, a un certo punto, si comincia a percepire una differenziazione rispetto ad altre tipologie di prodotti.

Sull'uso del termine esiste un interessante articolo accademico di Jérémie Pelletier-Gagnon: ‘Very much like any other Japanese RPG you've ever played': Using undirected topic modelling to examine the evolution of JRPGs' presence in anglophone web publications. L'autore segnala che i giocatori occidentali cominciarono a utilizzare sempre di più questa categorizzazione come compensazione.

Era infatti progressivamente venuta meno la preesistente distinzione tra "RPG per computer" e "RPG per console", che per un certo tempo era apparsa più significativa. Questo è un passaggio interessante, perché rivela molto su come i generi videoludici possano formarsi o trasformarsi. Alla base c'è spesso il bisogno dell'utenza di ritagliare, all'interno di un numero estremamente ampio di prodotti, un raggruppamento più piccolo e definito, in cui sia possibile riconoscere delle caratteristiche comuni. Ciò vuol dire che, almeno agli occhi dei videogiocatori occidentali che iniziarono a parlare di "JRPG", c'erano delle differenze rilevanti in quei prodotti, rispetto alle esperienze ruolistiche prodotte in Europa e negli Stati Uniti.

Un breve inizio

È interessante in tal senso citare i testi di saggistica sull'argomento, per vedere come presentano il genere e quali aspetti vanno a porre in risalto come elementi identificativi comuni. Il libro Dungeons and Desktops: The History of Computer Role-Playing Games di Matt Barton, pubblicato nel 2008, può essere un buon punto di partenza. In primo luogo, Barton parla non solo dell'influenza dei prodotti occidentali sui JRPG, ma anche dei casi contrari, in cui sono stati questi ultimi a indicare la strada maestra.

Secondo l'autore, inoltre, le principali caratteristiche che accomunano i JRPG sono due: una certa linearità di fondo e uno stile cartoon, da intendersi soprattutto a livello visivo, ma in molti casi anche per il ricorso all'humor tipico dei cartoni animati.

Martin Picard, esperto di media giapponesi, ha invece sottolineato in diversi suoi contributi la rischiosa presenza di un orientalismo di ritorno nello sguardo occidentale sui JRPG, in cui ci si concentra con fascinazione paternalistica all'alterità dei prodotti di altre culture, magari compiendo raggruppamenti che in realtà non ci sono. In anni più recenti si può citare il libro Japanese Culture Through Videogame di Rachael Hutchinson, pubblicato nel 2019. L'autrice segnala che il termine JRPG porta con sé alcune problematiche definitorie, ma è normalmente accettato dai giocatori, dalla stampa e dagli addetti ai lavori come un'etichetta per qualcosa di riconoscibile. E quali sarebbero queste caratteristiche riconoscibili?

Forte immersione narrativa grazie a un focus sulla caratterizzazione e lo sviluppo dei personaggi; maggiore linearità e minori scelte significative rispetto agli RPG occidentali; tendenziale utilizzo di battaglie a turni e/o in una ideale "arena" in cui ci si ritrova entrando in contatto con un avversario. Tutto ciò unito a un frequente ricorso a protagonisti e situazioni "culturalmente inodori", che hanno consentito a questi prodotti di affermarsi in contesti molti diversi tra loro. Bisogna anche ricordare che, per i ricercatori giapponesi, la nozione di JRPG è tendenzialmente un po' diversa.

Un esempio è dato da due contributi di Koyama Yuhsuke e di Nakagawa Daichi nel recente volume Japanese Role-Playing Games: Genre, Representation, and Liminality in the JRPG, pubblicato nel 2022. E uno di quei due capitoli è proprio dedicato all'evoluzione del genere, per cui sicuramente in tema con quanto si dirà tra poco. Questa premessa è necessaria per ricordare che l'inserimento o esclusione di certi videogiochi, così come la sottolineatura di certi aspetti rispetto ad altri, è legata ai diversi inquadramenti possibili della definizione stessa di cosa sia un JRPG.

I primi anni '80: faraoni, principesse e discutibili piazzisti

A questa altezza cronologica la definizione di "videogioco di ruolo" non si è ancora consolidata. Lo si nota oservando per esempio il libro The Art of Computer Game Design di Chris Crawford, del 1982. Nel testo vengono citati di sfuggita dei «fantasy role playing games», ma nella tassonomia dei generi videoludici l'autore parla di «D&D Games» da un lato e di «Adventures» dall'altro. Oggi la prima definizione apparirebbe troppo specifica, visto che considera solo i videogiochi legati a Dungeon & Dragons, e la seconda troppo generica. Come riporta il libro A Guide to Japanese Role-Playing Games (2021, pag. 9), però, la definizione di "role-playing game" sarebbe stata utilizzata per Khufu-Oh no Himitsu, un gioco per computer del 1983, troppo lento per poter essere "arcade" ma con troppa azione per essere un "simulativo" (e, aggiungo, non definibile nemmeno un "D&D Games").

Non è l'unico caso, comunque. Come sottolineato per esempio da Tokihiro Naito (citato in The Untold History of Japanese Game Developers Volume 2 di John Szczepaniak), molti sviluppatori giapponesi non avevano, a quel tempo, le idee molto chiare su cosa fosse un RPG. A margine aggiungo che, come si è visto, il concetto non era così ben definito nemmeno in occidente, almeno come categoria classificatoria. Certo, stavano arrivando in Giappone Ultima (1981) e Wizardry (1981), ma non tutti li avevano potuti giocare. Per cui talvolta ci si ispirava all'idea che si aveva di RPG, rielaborandola creativamente, mentre in altri casi si producevano grosso modo dei cloni di prodotti occidentali.

Inoltre, identificare il "primo JRPG della storia" sarebbe probabilmente impossibile, sia per quanto detto finora sull'oscillazione stessa del concetto, sia perché di diversi videogiochi non ci sono certezze sull'effettivo anno di pubblicazione. Come se non bastasse, molti di questi titoli sono andati perduti, o comunque non sono più giocabili. Secondo Wikipedia, il primo RPG pubblicato in Giappone sarebbe Underground Exploration di Koei, uscito nel marzo 1982, ma la stessa fonte che cita in merito (questo articolo di Felipe Pepe) dice che è difficile definire un RPG quel gioco, nonostante alcuni elementi in comune.

Ultima

Wizardry

Un altro candidato spesso considerato per quel primato è Spy Daisakusen, sempre del 1982 e ispirato a Mission Impossible. Oggi sarebbe probabilmente etichettato come "avventura testuale", ma al tempo fu presentato come un "role playing adventure game". Un altro titolo spesso citato è The Dragon and Princess, pubblicato nel 1982 e poi riproposto l'anno successivo. È un'avventura puramente testuale (almeno nella sua prima versione) in cui si è chiamati a controllare un gruppo di avventurieri con differenti statistiche (non modificabili).

C'è però un altro prodotto che viene spesso chiamato in causa. Non perché è considerabile il primo dei JRPG, ma perché è un ottimo esempio delle variegate strade che gli sviluppatori giapponesi stavano percorrendo in quegli anni. Il gioco è Danchi-zuma no Yuuwaku, realizzato da Koei e pubblicato nel 1983. È la storia di un venditore di preservativi che deve entrare nelle case e convincere le donne lì presenti ad acquistare la sua merce (o a fare altro).

Spy Daisakusen

Danchi-zuma no Yuuwaku

Pur senza avere scene esplicite al suo interno, è chiaramente un gioco erotico, con delle statistiche e risorse (resistenza fisica e psicologica, soldi a disposizione, ecc.) che impattano sull'efficacia del personaggio e sulle scelte che possono essere compiute. Insomma, anche in Giappone sono apparse fin da subito le classiche storie fantasy nei GDR, ma al loro fianco c'è stato un fiorire di molti altri prodotti, in contesti del tutto differenti.

Un'ultima sottolineatura su questo primo periodo: questi sono videogiochi per computer. È pertanto falso che i JRPG sono nati su console. Certamente le saghe più influenti e famose - di cui si parlerà tra poco - sono legate al mondo delle console domestiche, ma è importante ricordare questi embrionali esperimenti col PC anche per un'altra ragione.

Le macchine giapponesi avevano al tempo una risoluzione maggiore di quelle occidentali, perché questa era necessaria per mostrare i kanji più complessi a schermo. E, avendo a disposizione un simile elemento sfruttabile, sono emersi anche dei videogiochi visivamente più elaborati e accattivanti. Il peculiare stile dei JRPG, riconosciuto da molti critici come importante elemento classificatorio, nasce anche da qui, non è solamente una questione culturale.

1984-1989: il genere si struttura

Dal 1984 iniziano a emergere videogiochi che lasceranno un segno in diverse produzioni successive. È infatti l'anno di The Tower of Druaga, un labirintico action-RPG spesso citato come una delle fonti di ispirazione del primo The Legend of Zelda (1986). È anche l'anno di uscita di Dragon Slayer di Nihon Falcom, talvolta considerato il primo "vero" JRPG della storia.

La sua schermata di apertura lo presenta come «a new type real time role-playing adventure», sottolineando quindi l'allontanamento dal modello a turni di molti altri videogiochi, per proporre un sistema di esplorazione e combattimenti (che oggi definiremmo probabilmente "in stile dungeon crawler") in tempo reale. Sempre in quell'anno escono diversi titoli etichettabili come JRPG, tra cui si possono ricordare almeno Dungeon (di Koei), Hydlide (di T&E Soft) e The Black Onyx (di Bullet-Proof Software).

L'anno successivo segna un passaggio ancor più decisivo, in termini di strutturazione del genere, con Xanadu (1985), il seguito di Dragon Slayer. Se il suo predecessore aveva iniziato a gettare le basi per un certo genere di JRPG, Xanadu le rafforza e sviluppa enormemente, aprendo la strada ai suoi successori. Anche a livello di immaginario, il gioco ibrida ispirazioni da Dungeons & Dragons con Star Wars e con un particolare libro presente negli studi di Nihon Falcom: The Dictionary of Imaginary Places di Albert Manguel. Insomma, c'è molto di più rispetto alla semplice ispirazione da giochi occidentali come Ultima.

Molti JRPG hanno forti componenti dell'immaginario fantastico/fantasy occidentale perché per diversi sviluppatori giapponesi quello è un mondo "cool" da cui attingere ambientazioni, personaggi e idee che li affascinano. Un po' come avviene anche al contrario, quando un occidentale resta colpito dal folklore e dalla mitologia del Giappone. Anche Star Wars, peraltro, rientra benissimo in questo discorso, visto che - almeno la trilogia originaria - ha la classica struttura fantasy eroica, solo con le astronavi al posto dei draghi.

Xanadu finisce anche al centro di un caso di plagio per aver copiato alcune immagini del manuale di Ultima III: Exodus (1983), ma rimane ugualmente un'importantissima tappa nel processo di trasformazione rielaborativa del genere. Non è stato peraltro un caso unico, in quel periodo sono state diverse le situazioni in cui il confine tra l'ispirazione e la copia non è stato molto chiaro. Come nel già citato Dungeon di Koei, per esempio, in cui numerosi mostri sono presi direttamente dal manuale di Dungeons & Dragons, senza cambiarne neanche la posa. Il 1986 segna un'altra tappa fondamentale per il genere, con la pubblicazione di Dragon Quest. Il videogioco che ha dato origine a una serie tutt'ora vitale può essere ricordato per diverse caratteristiche, tra cui il character design del celebre mangaka Akira Toriyama, ma uno degli aspetti più importanti, considerando la storia del genere, è l'accessibilità. Oggi verrebbe probabilmente considerato in maniera molto differente ma, rispetto alla maggior parte dei giochi fin qui citati, Dragon Quest era effettivamente molto più comprensibile, semplice e lineare. Questo fu certamente un grande pregio, in ottica di diffondibilità, in un momento in cui alcuni prodotti sfioravano l'esoterismo assoluto o erano difficilissimi. Ma è stato anche un elemento che poi - come si è visto - ha finito per entrare in quella che è una caratteristica definitoria del genere: trame più lineari ma con personaggi molto ben caratterizzati, anche sul fronte estetico.

Nello stesso anno viene pubblicato un altro videogioco di estrema importanza, che tuttavia oggi si faticherebbe a inserire nel novero dei JRPG. Il 1986 infatti ha ospitato anche The Legend of Zelda, a sua volta capostipite di una lunghissima serie di videogiochi di successo. Vale la pena citarlo qui per almeno due ragioni. La prima riguarda i suoi rapporti stretti con alcuni titoli citati in precedenza, da cui ha tratto più o meno direttamente ispirazione. La seconda è che, in effetti, viene ripreso in diverse storie dei videogiochi di ruolo, tra cui quella di Matt Barton del 2008, a sottolineare ulteriormente come il genere non sia né definito né definibile con precisione assoluta.

Un altro titolo che merita di essere citato in questo periodo è Ys I: Ancient Ys Vanished (1987) di Nihon Falcom. Anch'esso attinge diverse ispirazioni da prodotti che abbiamo già preso in considerazione e peraltro ha dato origine a una saga di successo (seppur non nota al pari di Dragon Quest o The Legend of Zelda). In aggiunta, ha introdotto elementi di innovazione, tra cui una maggiore attenzione alla componente narrativa, che fin qui era il più delle volte una sorta di cornice di fondo.

Nello stesso anno vengono pubblicati diversi altri giochi di una certa importanza, tra cui Cleopatra no Maho di Square (che abbandona le atmosfere fantasy medievaleggianti), The Magic of Scheherazade di Culture Brain - che tenta una sorta di ibrido tra The Legend of Zelda e Dragon Quest - e Castlevania II: Simon's Quest di Konami (a sua volta difficilmente considerabile un JRPG, oggi, ma ha condiviso diversi elementi col genere).

Sweet Home

Phantasy Star II

Infine, il 1987 è anche l'anno del primo Final Fantasy di Square. Il videogioco è ancora una sorta di embrione, rispetto a quanto diverrà in seguito la serie, ma introduce già diversi elementi di interesse legati sia al sistema delle classi, sia alla modalità di battaglia, sia ai differenti sistemi di viaggio per spostarsi sulla mappa di gioco. Chiudendo il decennio, il 1989 va ricordato per almeno tre videogiochi. Uno di questi è Sweet Home di Capcom, che ibrida la componente ruolistica con l'horror (e sarà una delle fonti di ispirazione per Resident Evil, qualche anno dopo).

Il secondo è Phantasy Star II di Sega, che alza l'asticella narrativa del genere, per la complessità dei temi trattati, che vanno oltre il - gradevolissimo ma basilare - viaggio dell'eroe che deve salvare il mondo dal male. Il terzo è Dragon Knight di ELF Corporation, che sottolinea ulteriormente le ibridazioni tematiche del genere.

Anni '90: l'età dell'oro

L'esplosione di nuovi prodotti per console in questo periodo è enorme. Declina, invece, la produzione di JRPG per computer, che tornerà solo molti anni dopo tramite piattaforme come Steam. Proseguono, come intuibile, tutte le saghe di successo citate in precedenza, portando in molti casi cambiamenti e aggiunte capitolo dopo capitolo. Le basi del genere, però, sono già state fissate in precedenza, il resto è tutta un'evoluzione o un perfezionamento di qualcosa che è già stato proposto, magari non all'interno della stessa serie.

Il sistema di allineamento morale di Shin Megami Tensei (1992), per esempio, non era una novità assoluta, ma era già presente, pur in forma meno strutturata, in altri videogiochi legati al genere. Nella maggior parte dei casi, più che di primati e complete invenzioni, si tratta di rendere popolare qualcosa che in precedenza era poco sfruttato.

Giusto per fare un esempio, è il caso dell'amatissimo Chrono Trigger (1995), che contribuisce al successo delle cosiddette modalità "new game +". I primi anni '90 vedono l'uscita di videogiochi come Lunar: The Silver Star (1992) e Secret of Mana (1993), tutt'ora molto ricordati e apprezzati da diversi appassionati. Emergono anche prodotti che, sul momento, non sembrano lasciare un segno così forte, ma che si riveleranno significativi alcuni anni più tardi. È per esempio il caso di King's Field (1994), il primo videogioco di FromSoftware, un punitivo gioco di ruolo in prima persona che diverrà l'antenato del ben più noto Dark Souls (2011).

Chrono Trigger

King's Field

Continuano a nascere anche nuove saghe come Star Ocean (1996). Le altre serie procedono, nel mentre, con esperienze sempre più raffinate, e ciascuna richiederebbe una storia a sé. Anche solo soffermandosi su Final Fantasy, probabilmente diversi appassionati direbbero che la saga è "realmente" iniziata con uno degli episodi che vanno dal II al VII (se non oltre) a seconda dei gusti personali e di ciò che si ritiene più caratteristico. Emergono però anche nuovi prodotti che spesso ibridano gli elementi ruolistici con caratteristiche prese da altri generi. C'è per esempio la serie Fire Emblem, caratterizzata dalla forte componente tattica; c'è Thousand Arms (1998), che mescola JRPG e dating sim; c'è Parasite Eve (1998) con i suoi elementi horror.

Il periodo appare sempre più florido per il genere, soprattutto dopo l'uscita di Final Fantasy VII (1997) che mostra in maniera ottimale le possibilità offerte da PlayStation e dalla grafica tridimensionale. Il profondo impatto del videogioco non è però legato solo alle - pur intriganti - innovazioni tecnologiche, ma alla sua storia, che presenta momenti di altissimo pathos emotivo come la morte di Aerith. Anche in questo caso vale quanto detto prima: la permadeath di un membro del party non è una novità assoluta, nemmeno per la serie di Final Fantasy, ma l'evento è strutturato qui con grande raffinatezza (qui, 20 anni dopo, la recensione di Final Fantasy VII Remake).

Un anno prima di Final Fantasy VII è anche uscito un altro videogioco che ha segnato la storia: Pokémon Rosso/Blu. Vale lo stesso discorso fatto in precedenza con The Legend of Zelda. Sebbene ormai i Pokémon siano percepiti come una sorta di entità autonoma, le loro radici affondano comunque in questo genere, per cui è doveroso fare almeno una menzione a quella coppia di videogiochi. I Pokémon e Final Fantasy VII sono peraltro accomunati da un altro aspetto: entrambi sono riusciti a imporsi con grande forza anche al di fuori del Giappone, conquistando i mercati occidentali. È un passaggio di grande importanza, perché molti dei prodotti precedenti (con l'eccezione di The Legend of Zelda e pochi altri) hanno certamente avuto i loro appassionati anche altrove, ma in nicchie relativamente contenute.

Ora, invece, Final Fantasy VII e Pokémon Rosso/Blu hanno la forza necessaria per trainare le vendite delle rispettive console, raggiungono un pubblico molto più ampio e, conseguentemente, hanno maggiori probabilità di impattare anche sullo sviluppo di videogiochi occidentali. Il genere, nato in molti casi attingendo all'immaginario occidentale (e a specifici videogiochi come Ultima), si è evoluto e perfezionato nel tempo, proponendo qualcosa che è non solo ben riconoscibile, ma anche capace di conquistare con sempre maggior forza l'utenza europea e statunitense.

Questa capacità attrattiva è ulteriormente rafforzata, se si considera anche il successo di The Legend of Zelda: Ocarina of Time (1998). Ovviamente, non è detto che tutti vogliano considerarlo un appartenente al genere, ma al tempo non mancarono coloro che lo definirono uno dei più alti picchi raggiunti dall'action-RPG. Il 1999 chiude idealmente il decennio con Chrono Cross e Final Fantasy VIII, entrambi sviluppati e pubblicati da Square. Due videogiochi largamente apprezzati che confermano, ancora una volta, che gli anni '90 sono stati un'età dell'oro, dall'inizio alla fine, per i JRPG.