Street Fighter: un nome dotato di un potenziale evocativo incredibile. Sentir solo nominare il picchiaduro giapponese è in grado di proiettare improvvisamente il giocatore in un'epoca che ormai suona lontana, fatta di fumosi locali, paghette settimanali bruciate in poche ore, cabinati e sfide all'ultimo sangue con i propri amici. Un nome che è quasi diventato sinonimo di un'epoca.
Un franchise che, a distanza ormai di 35 anni, è ancora in grado di dire la propria e rimanere sulla cresta dell'onda. Street Fighter 6 è alle porte (qui la nostra più recente prova di Street Fighter 6), e promette di essere una rivoluzione in ambito fighting game simile a quella dello storico secondo capitolo. Quale miglior occasione, quindi, per viaggiare indietro nel tempo e riscoprire le ragioni per cui questa leggendaria saga è riuscita a permanere nell'immaginario collettivo per oltre un trentennio?
Le origini travagliate
Partiamo quindi dal patriarca della serie. Quel tanto bistrattato primo capitolo che, al netto di alcune evidenti criticità tecniche, ha il grande merito di aver concettualizzato il genere dei picchiaduro a incontri come lo concepiamo adesso. Parlare di "roster" è ancora prematuro: l'unico personaggio giocabile, Ryu, era accompagnato da una semplice palette swap, Ken, con cui condivideva movelist e animazioni.
Street Fighter (1987) fu un titolo grezzo, impreciso nei controlli ed estremamente limitato. Effettuare una mossa speciale era un'impresa e non sempre i comandi rispondevano come avrebbero dovuto, aggiungendo agli scontri una componente che potremmo addirittura definire RNG. La lore di gioco era sicuramente figlia della sua epoca, legata a filo stretto alla filmografia di Bruce Lee: un generico torneo di arti marziali durante il quale il giovane praticante Ryu si trovava a girare per il mondo allo scopo di combattere con avversari sempre più forti, fino al duello decisivo con il campione mondiale di Muay Thai, Sagat.
Lo scontro tra i due lottatori darà inizio a una rivalità epocale che continuerà negli anni e sarà sottoposta a diverse rivisitazioni e retcon nel corso dei futuri episodi. Si deve al primo capitolo della serie la nascita del "six button layout", il sistema a sei tasti che caratterizza anche gli Street Fighter attuali. Esso comprende tre diverse intensità di pugni e calci e la sua creazione è dovuta a una curiosa svista da parte della Capcom dei primi tempi.
La versione iniziale di Street Fighter prevedeva infatti la possibilità di decidere in maniera "analogica" l'intensità dei colpi: per ottenere un pugno forte, ad esempio, sarebbe bastato colpire con forza uno dei grandi tasti posti sulla plancia del cabinato. Soluzione sicuramente affascinante e avveniristica per l'epoca, ma che si sarebbe presto rivelata ben poco pratica e avrebbe di certo causato innumerevoli cabinati rotti, data l'eccessiva veemenza dei giocatori.
Gli sviluppatori decisero quindi di assegnare un bottone a ciascuna intensità, sancendo di fatto la nascita di uno dei sistemi di controllo più sfruttati e apprezzati in ambito picchiaduro. Street Fighter non fu un gran successo, e non è un caso che la maggior parte dei giocatori colleghi in maniera quasi inconscia la nascita della saga al secondo, incredibile, capitolo.
Il Boom degli anni '90
Street Fighter II The World Warrior (1991) fu una rivoluzione per il genere, e forse per l'intero panorama videoludico. Dotato di sistema di controllo estremamente più preciso del suo predecessore, un roster variopinto e una colonna sonora d'eccezione curata dalla brillante Yoko Shimomura (che qualcuno ricorderà per la serie Kingdom Hearts), il secondo capitolo diede origine a quella che - senza timore di iperbole - era una vera "mania".
Action figure, album di figurine, film, cartoni animati e ogni altro tipo di articolo cross-mediale cominciarono a popolare schermi e case di milioni di giocatori, consolidando il titolo come un fenomeno di pop culture. Con un tale reboante successo era prevedibile la comparsa di diversi seguiti, che rafforzarono il primato della serie e la sua presenza capillare in quasi tutte le sale giochi di quegli anni. Nonostante Street Fighter II Champion Edition e Super Street Fighter II fossero dei veri e propri sequel, i loro contenuti erano molto più simili a costosissimi DLC, con l'introduzione di nuovi personaggi e il bilanciamento dei vecchi.
In quegli anni aggiornare il gioco tramite patch non era chiaramente un'opzione praticabile, ed era quindi necessario costruire e distribuire nuovi cabinati. Un costo smisurato per sviluppatori e gestori di sale giochi, sostenibile solo grazie all'enorme popolarità del franchise. Si tratta sicuramente di un aspetto su cui riflettere di fronte all'erronea glorificazione dei picchiaduro anni '90 in confronto ai pacchetti DLC da acquistare nei prodotti odierni. Il titolo Capcom assunse la sua forma finale in Super Street Fighter II Turbo (1994).
L'aggiunta della barra della Super migliorò notevolmente l'approccio tattico agli scontri e la maggiore velocità delle battaglie modernizzò e rese più fluido un combat system che iniziava a sentire il peso degli anni. L'ultima versione del secondo capitolo è tuttora giocata a livello competitivo e , nonostante gli ovvi problemi di bilanciamento e le imperfezioni strutturali dovute principalmente all'età, riesce ancora ad appassionare migliaia di fan in giro per il mondo in eventi dedicati che si svolgono principalmente in Francia e Giappone.
La notevole qualità della serie King of Fighters che nel 94 iniziò a prendere il sopravvento negli arcade e l'avvento dei primi picchiaduro poligonali cominciarono a minare il primato di Ryu e Ken, costringendo Capcom ad agire e sviluppare un sequel, nel vero senso del termine, per il suo gioiello marziale.
La nascita dell'universo espanso di Street Fighter
Nel tracciare le tappe più memorabili della saga made in Japan ignoreremo volutamente l'analisi di Street Fighter: The Movie, goffo tentativo di capitalizzare sul successo dell'altrettanto goffo film con Jean Claude Van Damme. D'altra parte, capita anche alle compagnie più importanti di compiere enormi passi falsi. Street Fighter Alpha/Zero (1995) fu un titolo inusuale e in controtendenza con la sua epoca.
Piuttosto che provare ad attaccare sul piano tecnico ed estetico colossi come Tekken o Virtua Fighter, che spopolavano in sala giochi, Capcom decise di assaltare i concorrenti poligonali perfezionando l'aspetto migliore del proprio picchiaduro: il gameplay. La serie Alpha raffinò ulteriormente un combat system già collaudato, aggiungendo piccole ma importanti modifiche e migliorando significativamente il comparto audiovisivo. La grafica in stile anime, tre livelli di Super e l'introduzione dell'Alpha Counter come nuova meccanica difensiva riuscirono solo parzialmente a convincere i fan della serie. I tempi d'oro del secondo capitolo erano ormai lontani, ma Street Fighter riuscì a mantenere una fedele ed appassionata schiera di giocatori dedicati. Nonostante il successo non fosse assolutamente paragonabile a quello di Street Fighter 2, bollare questa serie come un fallimento sarebbe quantomeno ingiusto.
Notevoli passi avanti furono compiuti anche dal punto di vista della lore: per la prima volta, infatti, vediamo fondersi gli universi di Final Fight e Street Fighter, con la comparsa del personaggio di Guy nel primo capitolo, seguito a ruota da Rolento, Sodom e Cody negli episodi successivi. Il gioco, ambientato tra il primo e il secondo torneo di arti marziali, introdusse una pletora di combattenti carismatici ed inediti, dandogli un background credibile e creando nuove, entusiasmanti, rivalità. Il terzo capitolo di Street Fighter Alpha fu senza dubbio uno dei picchiaduro più audaci e sperimentali di quegli anni.
A un roster gargantuesco si accompagnava la presenza di ben tre stili di combattimento, chiamati Ism, che differenziavano ulteriormente ogni lottatore giocabile. L'audacia di questa sperimentazione causò inevitabilmente dei problemi di bilanciamento. In particolare, il V-ism prevedeva la creazione di combo personalizzate che minavano pesantemente l'integrità competitiva del titolo, dando vita a combinazioni infinite e impossibili da contrastare. Nonostante le sue problematiche, questo soft reboot rimane tutt'oggi uno dei titoli più apprezzati e tecnici della serie.
In questi anni Capcom provò anche a cedere al "lato oscuro" e ad abbracciare la moda della grafica poligonale. L'esperimento Street Fighter Ex, picchiaduro con anima tridimensionale ma gameplay ancora strettamente 2D, non fu dei più felici, eppure l'elettrizzante colonna sonora e la libertà concessa dal combo system sono ancora ricordati dai fan più sfegatati.
Il genio incompreso di Street Fighter 3
Alle serie Alpha ed Ex seguirono ulteriori sperimentazioni in direzioni inaspettate e lontane da ciò che Street Fighter aveva rappresentato fino a questo momento. Durante questi anni Ryu, Ken, Dhalsim e gli altri protagonisti entrarono a far parte di alcuni crossover con l'universo Marvel. Ciò che a primo impatto sembrava una pessima idea si trasformò ben presto in un filone di titoli tag team tamarri e frenetici, che avrebbe continuato a svilupparsi in maniera parallela alla serie mainline.
Titoli come Xmen vs Street Fighter o Marvel vs Street Fighter avrebbero originato ben presto la serie Marvel vs Capcom, che a sua volta avrebbe contribuito alla creazione di una serie di picchiaduro ad alto tasso adrenalinico, con lunghe combo aeree e un sistema di movimento estremamente frenetico. Il vero sequel della saga Street Fighter giunse nel 1997, con Street Fighter III: New Generation. Inutile girarci attorno, il terzo capitolo non fu molto apprezzato dal grande pubblico.
Il motivo principale è da riscontrare nel tentativo di svecchiare il roster ed introdurre una nuova generazione di combattenti. Errore che, infatti, non sarebbe stato ripetuto da Capcom in nessuno degli episodi successivi. Il nuovo protagonista, Alex, non riuscì a far breccia nei cuori degli appassionati, e le notevoli innovazioni grafico-ludiche furono messe in ombra da una playerbase che avrebbe di gran lunga preferito un "more of the same". Nonostante tutto, la casa madre giapponese continuò a raffinare la formula di gameplay con altre due iterazioni: 2nd Impact e Third Strike. Con il senno di poi possiamo affermare con certezza che Street Fighter III, in particolare la sua terza revisione, fu decisamente un titolo troppo avanti per la propria epoca.
In Giappone e negli Stati Uniti si formò una nicchia che continuò a esplorare ed approfondire l'incredibile gameplay del bistrattato fighting game, discutendone, creando circuiti proto-esportivi e dando vita a incontri leggendari. Ad oggi, il titolo di Capcom è considerato una delle vette più alte raggiunte da un picchiaduro: il suo sistema di parry, semplice in apparenza ma profondamente stratificato, ha dato origine a momenti indimenticabili come il leggendario Evo Moment 37, che ormai costituisce una sorta di "biglietto da visita" dell'intero genere.
Nonostante i migliori sforzi della community internazionale, purtroppo, i picchiaduro sprofondarono lentamente in una sorta di "Medioevo" e Capcom decise di dedicarsi ad altri franchise per un lunghissimo periodo di tempo. Nel 2009, a quasi un decennio di distanza da Street Fighter III: Third Strike, il giovane e brillante Yoshinori Ono decise che era giunto il momento di restituire il gi da combattimento a Ryu e Ken.
La rinascita
Il lancio di Street Fighter 4 (2009) fu un successo mondiale: la fame di arti marziali dei giocatori di tutto il globo, sopita per lungo tempo, esplose in tutto il suo fragoroso clamore. L'intuizione di Yoshinori Ono e del team di sviluppo fu semplice, ma estremamente efficace: era necessario scartare tutte le idee di "new generation" e rinnovamento del cast, consegnando al grande pubblico un titolo più vicino possibile a una versione graficamente aggiornata dello storico capolavoro Super Street Fighter 2 Turbo. Gli appassionati della saga ritrovarono finalmente ciò che avevano apprezzato durante gli anni '90, e accettarono di buon grado le novità proposte dal combat system.
Il focus attack era una versione semplificata e rivista della tanto apprezzata parry di Street Fighter III, mentre l'inedito focus cancel aggiungeva spettacolarità e imprevedibilità al combo system, permettendo di annullare all'ultimo istante il recupero di alcuni colpi per poter prolungare le proprie combo o cogliere di sorpresa l'avversario. Street Fighter 4 divenne immediatamente il fulcro principale della scena competitiva: giocatori storici come Daigo Umehara e Justin Wong diventarono delle star, dando origine a un appassionante scontro Oriente contro Occidente che continua ad essere rilevante ancora oggi, alle soglie del sesto capitolo. Ai giocatori era finalmente data la possibilità di battagliare online, in partite amichevoli o classificate, per affinare le proprie abilità. Il cast fu costantemente arricchito di nuovi lottatori, tra cui il cuoco messicano El Fuerte, il corpulento esperto di Kung fu Rufus o l'agente segreto C.Viper. Tra questi, la diabolica praticante di Tae Kwon Do Juri guadagnò immediatamente un posto speciale nel cuore dei fan ed entrò in pianta stabile nel roster principale. Il titolo venne aggiornato, attraverso le versioni Super e Arcade Edition, all'edizione Ultra.
L'ultima revisione andò ad appianare, tramite l'introduzione del Red Focus e del rialzo ritardato, alcune criticità del sistema di combattimento, inserendo però al contempo personaggi come Elena ed Evil Ryu che dominarono da lì in avanti la scena competitiva, lasciando un po' di amaro in bocca agli appassionati di lunga data. Durante l'arco vitale di Street Fighter 4 Yoshinori Ono, ringalluzzito dal successo ottenuto dalla sua creatura, decise di unire le forze con l'amico di sempre Katsuhiro Harada (storica figura di Bandai Namco) per sviluppare il crossover definitivo: Street Fighter x Tekken (2012).
Sbagliare un prodotto che includesse i due più importanti franchise di picchiaduro dell'epoca sembrava quasi impossibile, eppure l'introduzione di gemme a pagamento utilizzate per potenziare i propri personaggi, lottatori DLC già presenti su disco e un metagame estremamente improntato alla passività decretarono il fallimento dell'ambizioso crossover.
A poco servì l'ottimo tentativo di rebranding e rilancio del gioco avvenuto nel 2013: la politica di monetizzazione aggressiva aveva sfiduciato la fanbase storica, che decise di non dare all'opera una seconda possibilità. Nonostante il fallimento del progetto, Yoshinori Ono ed il suo team non si scoraggiarono e, grazie ad una fortunata partnership con Sony, riuscirono a lanciare il quinto capitolo dell'iconica serie Street Fighter.
Un lancio disastroso
Street Fighter V (2016) fu un prodotto che fece molto parlare di sé, ma per i motivi sbagliati. L'enorme sforzo del team di sviluppo di far coincidere il lancio del titolo con l'inizio della stagione competitiva del Capcom Pro Tour (il circuito esportivo ufficiale) consegnò al grande pubblico un gioco estremamente incompleto e minato da diverse problematiche. Il quinto episodio non offriva alcuna modalità single player, il suo netcode rollback presentava delle criticità mai risolte, e il combat system risultava estremamente semplicistico.
L'idea alla base di Street Fighter V, come confermato dallo stesso Combofiend (community manager di Capcom all'epoca del lancio) era di permettere a qualsiasi giocatore di competere e battere avversari ben più esperti, con poco sforzo. Option select, meccaniche difensive e combo complesse furono sacrificate sull'altare della semplicità, causando il disappunto di gran parte della vecchia guardia, che aveva investito anni nell'affinare la propria capacità di esecuzione.
Fortunatamente il team di sviluppo riuscì a correggere parzialmente il tiro attraverso patch gratuite, introducendo lo story mode cinematico "A Shadow Falls" e limando i difetti di gioventù del combat system. La lunga vita del quinto capitolo proseguì, con alti e bassi, attraverso cinque "season": aggiornamenti di bilanciamento che sostituivano le revisioni Super, Ultra e Arcade Edition dei vecchi capitoli e comprendevano anche l'introduzione di nuovi personaggi DLC a pagamento. All'inizio le season previste avrebbero dovuto essere quattro, ma l'esplosione della pandemia cambiò inevitabilmente i piani del team .
Poco prima dello sviluppo dell'ultima grande "content patch" di Street Fighter V, Yoshinori Ono lasciò Capcom. Le ragioni di questa rottura non sono state divulgate, ma secondo alcuni rumor lo sviluppo di Street Fighter 6 non stava procedendo in una maniera ritenuta soddisfacente dai piani alti dell'azienda nipponica, che decisero di ricominciare da zero. Takayuki Nakayama (Direttore) e Shuhei Matsumoto (Produttore) avrebbero preso le redini del franchise, supervisionando la quinta stagione del travagliato Street Fighter 5. L'introduzione della meccanica del V-Shift ed i cambiamenti legati all'ultima versione del gioco furono estremamente apprezzati e trasformarono Street Fighter V in ciò che avrebbe dovuto essere sin dall'inizio: un picchiaduro bilanciato, competitivo e avvincente, con il giusto equilibrio tra attacco e difesa, e anche con volti vecchi e nuovi del franchise ad arricchire il già nutrito roster di combattenti (qui la recensione di Street Fighter V Champion Edition). Il turbolento e lungo sviluppo del quinto capitolo della saga di Ryu e Ken non ha fatto altro che aumentare il desiderio per un sequel.
Street Fighter 6 sembra avere tutte le carte in regola per essere un picchiaduro in grado di portare il genere a nuove vette qualitative. E tutti gli appassionati della serie non vedono l'ora di scoprire quale sarà il futuro di questa storia.
Street Fighter: l'incredibile storia del re dei picchiaduro
Dalle origini ai giorni nostri: ripercorriamo la storia di Street Fighter, il re dei picchiaduro, in attesa del debutto di Street Fighter 6.
Street Fighter: un nome dotato di un potenziale evocativo incredibile. Sentir solo nominare il picchiaduro giapponese è in grado di proiettare improvvisamente il giocatore in un'epoca che ormai suona lontana, fatta di fumosi locali, paghette settimanali bruciate in poche ore, cabinati e sfide all'ultimo sangue con i propri amici. Un nome che è quasi diventato sinonimo di un'epoca.
Un franchise che, a distanza ormai di 35 anni, è ancora in grado di dire la propria e rimanere sulla cresta dell'onda. Street Fighter 6 è alle porte (qui la nostra più recente prova di Street Fighter 6), e promette di essere una rivoluzione in ambito fighting game simile a quella dello storico secondo capitolo. Quale miglior occasione, quindi, per viaggiare indietro nel tempo e riscoprire le ragioni per cui questa leggendaria saga è riuscita a permanere nell'immaginario collettivo per oltre un trentennio?
Le origini travagliate
Partiamo quindi dal patriarca della serie. Quel tanto bistrattato primo capitolo che, al netto di alcune evidenti criticità tecniche, ha il grande merito di aver concettualizzato il genere dei picchiaduro a incontri come lo concepiamo adesso. Parlare di "roster" è ancora prematuro: l'unico personaggio giocabile, Ryu, era accompagnato da una semplice palette swap, Ken, con cui condivideva movelist e animazioni.
Street Fighter (1987) fu un titolo grezzo, impreciso nei controlli ed estremamente limitato. Effettuare una mossa speciale era un'impresa e non sempre i comandi rispondevano come avrebbero dovuto, aggiungendo agli scontri una componente che potremmo addirittura definire RNG. La lore di gioco era sicuramente figlia della sua epoca, legata a filo stretto alla filmografia di Bruce Lee: un generico torneo di arti marziali durante il quale il giovane praticante Ryu si trovava a girare per il mondo allo scopo di combattere con avversari sempre più forti, fino al duello decisivo con il campione mondiale di Muay Thai, Sagat.
Lo scontro tra i due lottatori darà inizio a una rivalità epocale che continuerà negli anni e sarà sottoposta a diverse rivisitazioni e retcon nel corso dei futuri episodi. Si deve al primo capitolo della serie la nascita del "six button layout", il sistema a sei tasti che caratterizza anche gli Street Fighter attuali. Esso comprende tre diverse intensità di pugni e calci e la sua creazione è dovuta a una curiosa svista da parte della Capcom dei primi tempi.
La versione iniziale di Street Fighter prevedeva infatti la possibilità di decidere in maniera "analogica" l'intensità dei colpi: per ottenere un pugno forte, ad esempio, sarebbe bastato colpire con forza uno dei grandi tasti posti sulla plancia del cabinato. Soluzione sicuramente affascinante e avveniristica per l'epoca, ma che si sarebbe presto rivelata ben poco pratica e avrebbe di certo causato innumerevoli cabinati rotti, data l'eccessiva veemenza dei giocatori.
Gli sviluppatori decisero quindi di assegnare un bottone a ciascuna intensità, sancendo di fatto la nascita di uno dei sistemi di controllo più sfruttati e apprezzati in ambito picchiaduro. Street Fighter non fu un gran successo, e non è un caso che la maggior parte dei giocatori colleghi in maniera quasi inconscia la nascita della saga al secondo, incredibile, capitolo.
Il Boom degli anni '90
Street Fighter II The World Warrior (1991) fu una rivoluzione per il genere, e forse per l'intero panorama videoludico. Dotato di sistema di controllo estremamente più preciso del suo predecessore, un roster variopinto e una colonna sonora d'eccezione curata dalla brillante Yoko Shimomura (che qualcuno ricorderà per la serie Kingdom Hearts), il secondo capitolo diede origine a quella che - senza timore di iperbole - era una vera "mania".
Action figure, album di figurine, film, cartoni animati e ogni altro tipo di articolo cross-mediale cominciarono a popolare schermi e case di milioni di giocatori, consolidando il titolo come un fenomeno di pop culture. Con un tale reboante successo era prevedibile la comparsa di diversi seguiti, che rafforzarono il primato della serie e la sua presenza capillare in quasi tutte le sale giochi di quegli anni. Nonostante Street Fighter II Champion Edition e Super Street Fighter II fossero dei veri e propri sequel, i loro contenuti erano molto più simili a costosissimi DLC, con l'introduzione di nuovi personaggi e il bilanciamento dei vecchi.
In quegli anni aggiornare il gioco tramite patch non era chiaramente un'opzione praticabile, ed era quindi necessario costruire e distribuire nuovi cabinati. Un costo smisurato per sviluppatori e gestori di sale giochi, sostenibile solo grazie all'enorme popolarità del franchise. Si tratta sicuramente di un aspetto su cui riflettere di fronte all'erronea glorificazione dei picchiaduro anni '90 in confronto ai pacchetti DLC da acquistare nei prodotti odierni. Il titolo Capcom assunse la sua forma finale in Super Street Fighter II Turbo (1994).
L'aggiunta della barra della Super migliorò notevolmente l'approccio tattico agli scontri e la maggiore velocità delle battaglie modernizzò e rese più fluido un combat system che iniziava a sentire il peso degli anni. L'ultima versione del secondo capitolo è tuttora giocata a livello competitivo e , nonostante gli ovvi problemi di bilanciamento e le imperfezioni strutturali dovute principalmente all'età, riesce ancora ad appassionare migliaia di fan in giro per il mondo in eventi dedicati che si svolgono principalmente in Francia e Giappone.
La notevole qualità della serie King of Fighters che nel 94 iniziò a prendere il sopravvento negli arcade e l'avvento dei primi picchiaduro poligonali cominciarono a minare il primato di Ryu e Ken, costringendo Capcom ad agire e sviluppare un sequel, nel vero senso del termine, per il suo gioiello marziale.
La nascita dell'universo espanso di Street Fighter
Nel tracciare le tappe più memorabili della saga made in Japan ignoreremo volutamente l'analisi di Street Fighter: The Movie, goffo tentativo di capitalizzare sul successo dell'altrettanto goffo film con Jean Claude Van Damme. D'altra parte, capita anche alle compagnie più importanti di compiere enormi passi falsi. Street Fighter Alpha/Zero (1995) fu un titolo inusuale e in controtendenza con la sua epoca.
Piuttosto che provare ad attaccare sul piano tecnico ed estetico colossi come Tekken o Virtua Fighter, che spopolavano in sala giochi, Capcom decise di assaltare i concorrenti poligonali perfezionando l'aspetto migliore del proprio picchiaduro: il gameplay. La serie Alpha raffinò ulteriormente un combat system già collaudato, aggiungendo piccole ma importanti modifiche e migliorando significativamente il comparto audiovisivo. La grafica in stile anime, tre livelli di Super e l'introduzione dell'Alpha Counter come nuova meccanica difensiva riuscirono solo parzialmente a convincere i fan della serie. I tempi d'oro del secondo capitolo erano ormai lontani, ma Street Fighter riuscì a mantenere una fedele ed appassionata schiera di giocatori dedicati. Nonostante il successo non fosse assolutamente paragonabile a quello di Street Fighter 2, bollare questa serie come un fallimento sarebbe quantomeno ingiusto.
Notevoli passi avanti furono compiuti anche dal punto di vista della lore: per la prima volta, infatti, vediamo fondersi gli universi di Final Fight e Street Fighter, con la comparsa del personaggio di Guy nel primo capitolo, seguito a ruota da Rolento, Sodom e Cody negli episodi successivi. Il gioco, ambientato tra il primo e il secondo torneo di arti marziali, introdusse una pletora di combattenti carismatici ed inediti, dandogli un background credibile e creando nuove, entusiasmanti, rivalità. Il terzo capitolo di Street Fighter Alpha fu senza dubbio uno dei picchiaduro più audaci e sperimentali di quegli anni.
A un roster gargantuesco si accompagnava la presenza di ben tre stili di combattimento, chiamati Ism, che differenziavano ulteriormente ogni lottatore giocabile. L'audacia di questa sperimentazione causò inevitabilmente dei problemi di bilanciamento. In particolare, il V-ism prevedeva la creazione di combo personalizzate che minavano pesantemente l'integrità competitiva del titolo, dando vita a combinazioni infinite e impossibili da contrastare. Nonostante le sue problematiche, questo soft reboot rimane tutt'oggi uno dei titoli più apprezzati e tecnici della serie.
In questi anni Capcom provò anche a cedere al "lato oscuro" e ad abbracciare la moda della grafica poligonale. L'esperimento Street Fighter Ex, picchiaduro con anima tridimensionale ma gameplay ancora strettamente 2D, non fu dei più felici, eppure l'elettrizzante colonna sonora e la libertà concessa dal combo system sono ancora ricordati dai fan più sfegatati.
Il genio incompreso di Street Fighter 3
Alle serie Alpha ed Ex seguirono ulteriori sperimentazioni in direzioni inaspettate e lontane da ciò che Street Fighter aveva rappresentato fino a questo momento. Durante questi anni Ryu, Ken, Dhalsim e gli altri protagonisti entrarono a far parte di alcuni crossover con l'universo Marvel. Ciò che a primo impatto sembrava una pessima idea si trasformò ben presto in un filone di titoli tag team tamarri e frenetici, che avrebbe continuato a svilupparsi in maniera parallela alla serie mainline.
Titoli come Xmen vs Street Fighter o Marvel vs Street Fighter avrebbero originato ben presto la serie Marvel vs Capcom, che a sua volta avrebbe contribuito alla creazione di una serie di picchiaduro ad alto tasso adrenalinico, con lunghe combo aeree e un sistema di movimento estremamente frenetico. Il vero sequel della saga Street Fighter giunse nel 1997, con Street Fighter III: New Generation. Inutile girarci attorno, il terzo capitolo non fu molto apprezzato dal grande pubblico.
Il motivo principale è da riscontrare nel tentativo di svecchiare il roster ed introdurre una nuova generazione di combattenti. Errore che, infatti, non sarebbe stato ripetuto da Capcom in nessuno degli episodi successivi. Il nuovo protagonista, Alex, non riuscì a far breccia nei cuori degli appassionati, e le notevoli innovazioni grafico-ludiche furono messe in ombra da una playerbase che avrebbe di gran lunga preferito un "more of the same". Nonostante tutto, la casa madre giapponese continuò a raffinare la formula di gameplay con altre due iterazioni: 2nd Impact e Third Strike. Con il senno di poi possiamo affermare con certezza che Street Fighter III, in particolare la sua terza revisione, fu decisamente un titolo troppo avanti per la propria epoca.
In Giappone e negli Stati Uniti si formò una nicchia che continuò a esplorare ed approfondire l'incredibile gameplay del bistrattato fighting game, discutendone, creando circuiti proto-esportivi e dando vita a incontri leggendari. Ad oggi, il titolo di Capcom è considerato una delle vette più alte raggiunte da un picchiaduro: il suo sistema di parry, semplice in apparenza ma profondamente stratificato, ha dato origine a momenti indimenticabili come il leggendario Evo Moment 37, che ormai costituisce una sorta di "biglietto da visita" dell'intero genere.
Nonostante i migliori sforzi della community internazionale, purtroppo, i picchiaduro sprofondarono lentamente in una sorta di "Medioevo" e Capcom decise di dedicarsi ad altri franchise per un lunghissimo periodo di tempo. Nel 2009, a quasi un decennio di distanza da Street Fighter III: Third Strike, il giovane e brillante Yoshinori Ono decise che era giunto il momento di restituire il gi da combattimento a Ryu e Ken.
La rinascita
Il lancio di Street Fighter 4 (2009) fu un successo mondiale: la fame di arti marziali dei giocatori di tutto il globo, sopita per lungo tempo, esplose in tutto il suo fragoroso clamore. L'intuizione di Yoshinori Ono e del team di sviluppo fu semplice, ma estremamente efficace: era necessario scartare tutte le idee di "new generation" e rinnovamento del cast, consegnando al grande pubblico un titolo più vicino possibile a una versione graficamente aggiornata dello storico capolavoro Super Street Fighter 2 Turbo. Gli appassionati della saga ritrovarono finalmente ciò che avevano apprezzato durante gli anni '90, e accettarono di buon grado le novità proposte dal combat system.
Il focus attack era una versione semplificata e rivista della tanto apprezzata parry di Street Fighter III, mentre l'inedito focus cancel aggiungeva spettacolarità e imprevedibilità al combo system, permettendo di annullare all'ultimo istante il recupero di alcuni colpi per poter prolungare le proprie combo o cogliere di sorpresa l'avversario. Street Fighter 4 divenne immediatamente il fulcro principale della scena competitiva: giocatori storici come Daigo Umehara e Justin Wong diventarono delle star, dando origine a un appassionante scontro Oriente contro Occidente che continua ad essere rilevante ancora oggi, alle soglie del sesto capitolo. Ai giocatori era finalmente data la possibilità di battagliare online, in partite amichevoli o classificate, per affinare le proprie abilità. Il cast fu costantemente arricchito di nuovi lottatori, tra cui il cuoco messicano El Fuerte, il corpulento esperto di Kung fu Rufus o l'agente segreto C.Viper. Tra questi, la diabolica praticante di Tae Kwon Do Juri guadagnò immediatamente un posto speciale nel cuore dei fan ed entrò in pianta stabile nel roster principale. Il titolo venne aggiornato, attraverso le versioni Super e Arcade Edition, all'edizione Ultra.
L'ultima revisione andò ad appianare, tramite l'introduzione del Red Focus e del rialzo ritardato, alcune criticità del sistema di combattimento, inserendo però al contempo personaggi come Elena ed Evil Ryu che dominarono da lì in avanti la scena competitiva, lasciando un po' di amaro in bocca agli appassionati di lunga data. Durante l'arco vitale di Street Fighter 4 Yoshinori Ono, ringalluzzito dal successo ottenuto dalla sua creatura, decise di unire le forze con l'amico di sempre Katsuhiro Harada (storica figura di Bandai Namco) per sviluppare il crossover definitivo: Street Fighter x Tekken (2012).
Sbagliare un prodotto che includesse i due più importanti franchise di picchiaduro dell'epoca sembrava quasi impossibile, eppure l'introduzione di gemme a pagamento utilizzate per potenziare i propri personaggi, lottatori DLC già presenti su disco e un metagame estremamente improntato alla passività decretarono il fallimento dell'ambizioso crossover.
A poco servì l'ottimo tentativo di rebranding e rilancio del gioco avvenuto nel 2013: la politica di monetizzazione aggressiva aveva sfiduciato la fanbase storica, che decise di non dare all'opera una seconda possibilità. Nonostante il fallimento del progetto, Yoshinori Ono ed il suo team non si scoraggiarono e, grazie ad una fortunata partnership con Sony, riuscirono a lanciare il quinto capitolo dell'iconica serie Street Fighter.
Un lancio disastroso
Street Fighter V (2016) fu un prodotto che fece molto parlare di sé, ma per i motivi sbagliati. L'enorme sforzo del team di sviluppo di far coincidere il lancio del titolo con l'inizio della stagione competitiva del Capcom Pro Tour (il circuito esportivo ufficiale) consegnò al grande pubblico un gioco estremamente incompleto e minato da diverse problematiche. Il quinto episodio non offriva alcuna modalità single player, il suo netcode rollback presentava delle criticità mai risolte, e il combat system risultava estremamente semplicistico.
L'idea alla base di Street Fighter V, come confermato dallo stesso Combofiend (community manager di Capcom all'epoca del lancio) era di permettere a qualsiasi giocatore di competere e battere avversari ben più esperti, con poco sforzo. Option select, meccaniche difensive e combo complesse furono sacrificate sull'altare della semplicità, causando il disappunto di gran parte della vecchia guardia, che aveva investito anni nell'affinare la propria capacità di esecuzione.
Fortunatamente il team di sviluppo riuscì a correggere parzialmente il tiro attraverso patch gratuite, introducendo lo story mode cinematico "A Shadow Falls" e limando i difetti di gioventù del combat system. La lunga vita del quinto capitolo proseguì, con alti e bassi, attraverso cinque "season": aggiornamenti di bilanciamento che sostituivano le revisioni Super, Ultra e Arcade Edition dei vecchi capitoli e comprendevano anche l'introduzione di nuovi personaggi DLC a pagamento. All'inizio le season previste avrebbero dovuto essere quattro, ma l'esplosione della pandemia cambiò inevitabilmente i piani del team .
Poco prima dello sviluppo dell'ultima grande "content patch" di Street Fighter V, Yoshinori Ono lasciò Capcom. Le ragioni di questa rottura non sono state divulgate, ma secondo alcuni rumor lo sviluppo di Street Fighter 6 non stava procedendo in una maniera ritenuta soddisfacente dai piani alti dell'azienda nipponica, che decisero di ricominciare da zero. Takayuki Nakayama (Direttore) e Shuhei Matsumoto (Produttore) avrebbero preso le redini del franchise, supervisionando la quinta stagione del travagliato Street Fighter 5. L'introduzione della meccanica del V-Shift ed i cambiamenti legati all'ultima versione del gioco furono estremamente apprezzati e trasformarono Street Fighter V in ciò che avrebbe dovuto essere sin dall'inizio: un picchiaduro bilanciato, competitivo e avvincente, con il giusto equilibrio tra attacco e difesa, e anche con volti vecchi e nuovi del franchise ad arricchire il già nutrito roster di combattenti (qui la recensione di Street Fighter V Champion Edition). Il turbolento e lungo sviluppo del quinto capitolo della saga di Ryu e Ken non ha fatto altro che aumentare il desiderio per un sequel.
Street Fighter 6 sembra avere tutte le carte in regola per essere un picchiaduro in grado di portare il genere a nuove vette qualitative. E tutti gli appassionati della serie non vedono l'ora di scoprire quale sarà il futuro di questa storia.
Che voto dai a: Street Fighter 6
Voti: 25
Altri contenuti per Street Fighter 6