Tekken: la grande storia del re dei picchiaduro 3D, aspettando Tekken 8

La saga che ruota intorno al torneo Re del Pugno d'acciaio è una delle più longeve della storia dei videogiochi: ecco come è nata e come si è evoluta.

La storia di Tekken
Speciale: Multi
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  • Pc
  • PS5
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  • La saga che ruota intorno al torneo Re del Pugno d'Acciaio è una delle più longeve della storia del medium videoludico. Al giorno d'oggi possiamo affermare con certezza che l'IP con protagonista la famiglia Mishima sia la principale esponente del genere picchiaduro 3D, con buona pace della serie Dead or Alive o del mai troppo lodato, ma sfortunato, Soul Calibur.

    Non è tuttavia sempre stato così: il picchiaduro made in Namco ha dovuto sgomitare parecchio per imporsi sul panorama 3D, scontrarsi con un agguerritissimo rivale come Virtua Fighter e sopravvivere alla morte della scena arcade, cercando continuamente di reinventarsi ma al contempo di mantenere una coerenza interna, senza tradire le proprie radici e i punti di forza. Con l'ottavo capitolo di Tekken ormai all'orizzonte (qui la nostra anteprima di Tekken 8) è opportuno soffermarci sulle caratteristiche che nel tempo hanno reso l'Iron Fist Tournament il capolavoro che è adesso, in un viaggio dai toni nostalgici.

    Le origini

    L'idea di creare un picchiaduro tridimensionale che facesse da contraltare alla acclamata serie Virtua Fighter nacque quasi per caso: Tekken, infatti, doveva essere una semplice tech demo utilizzata da Namco per mostrare le sue capacità di modellazione e animazione 3D. Tuttavia i riscontri interni furono così incoraggianti da convincere gli sviluppatori a farne un gioco completo, chiamato Rave War.

    Il nome però fu presto cambiato in Tekken (Pugno d'Acciaio in giapponese), per un titolo che proponeva un sistema di controllo notevolmente più intuitivo del corrispettivo SEGA: ogni bottone avrebbe mosso un arto del personaggio, e le prese sarebbero state delegate alla pressione combinata di un calcio e un pugno.

    Le similitudini tra Tekken e Virtua Fighter erano comunque notevoli, poiché i due picchiaduro condividevano lo stesso director. Parliamo di Seiichi Isshii, che ha collaborato con Namco per i primi due storici capitoli della saga di Kazuya ed Heihachi. Il prodotto della casa nipponica fu un successo di proporzioni stratosferiche, e questo avvenne principalmente grazie ad alcuni fattori.

    Il primo era la maggiore caratterizzazione dei personaggi e dei loro background narrativi: lottatori come King, Yoshimitsu e Law fanno ancora oggi parte dell'immaginario videoludico collettivo e la loro popolarità non accenna a diminuire. La ricetta ludica fu inoltre impreziosita dalla presenza di stage tratti da diverse località del mondo, come la Monument Valley, Chicago o la nostra Venezia, che aggiungevano fascino agli scontri al centro dell'esperienza.

    D'importanza cruciale era la maggiore accessibilità, dal punto di vista economico, della arcade board su cui Tekken originariamente si basava. Nonostante fosse molto potente, la SEGA Model 2 di Virtua Fighter 2 risultava estremamente costosa per i gestori di sale giochi, mentre la Namco Model 11 era un'alternativa decisamente più economica, basata com'era sull'hardware PlayStation. Questo aspetto insomma è stato determinante per far esplodere la popolarità dell'Iron Fist Tournament. Realizzare una versione console di Tekken fu un processo quasi naturale e si rivelò una mossa vincente, visto che la console Sony diventò molto più popolare del Saturn. Il picchiaduro con protagonista Kazuya si confermò una killer app al lancio di PlayStation, coi giocatori che rimasero a bocca aperta quando realizzarono di poter portare a casa il titolo su cui avevano speso infiniti gettoni. Si trattava infatti di un port realizzato con competenza e in tutto e per tutto paragonabile alla versione arcade, con una colonna sonora remixata per sfruttare la qualità CD dell'hardware Sony e delle cutscene sbloccabili per ogni personaggio. Tekken insomma fu il primo a vendere oltre il milione di unità sulla console Sony e la sua leggenda era appena cominciata.

    Il periodo PlayStation

    Creare il sequel di un capolavoro non è mai un'impresa facile: spesso si rischia di non ripetere il successo del capitolo precedente o di riproporre in maniera pedissequa le stesse meccaniche, o ancora, di introdurre delle innovazioni troppo radicali che rischiano di scoraggiare i puristi. Tuttavia, nel caso del picchiaduro Namco le cose sono andate per il verso giusto. Tekken 2 è indubbiamente uno dei giochi migliori della saga, complice un accurato studio dell'ecosistema console e un porting di alto livello. Gli upgrade grafici si rivelarono notevoli, l'azione risultava più fluida e le liste mosse dei personaggi vennero ampliate notevolmente.

    Il secondo episodio riuscì inoltre a portare su schermo uno dei roster di lancio più vasti del genere, con ben 25 personaggi giocabili tra cast principale e sbloccabili. Tra questi, i nuovi arrivati Jun Kazama e Lei Wulong sono diventati delle colonne portanti all'interno della serie. Anche sul fronte narrativo la produzione riuscì a distinguersi dalla concorrenza, con un Kazuya nei panni di villain e organizzatore del torneo dell'Iron Fist, costantemente in bilico tra l'angelico e il demoniaco (simboleggiati "fisicamente" anche in game dai guerrieri sbloccabili Devil e Angel).

    Al netto dell'indiscutibile qualità delle prime due incarnazioni è stata però la terza a consegnare la serie di Tekken all'Olimpo dei videogiochi. Nonostante la bizzarra scelta di cambiare in corsa il protagonista sostituendo Kazuya con il giovane Jin Kazama, Tekken 3 (1998) è stato sicuramente uno dei picchi più alti dell'era PlayStation. Chiunque possedesse una console, a quei tempi, aveva almeno sentito parlare delle prodezze di Hwoarang, di Jin e del lottatore più amato dai casual gamer di tutto il mondo: Eddy Gordo, che ha ridefinito il concetto stesso di "button mashing" e di "farsi odiare dal proprio avversario".

    La terza iterazione del King of Iron Fist Tournament aveva tutte le carte in regola per imprimersi in maniera indelebile nelle menti dei suoi estimatori. Tanta attenzione fu dedicata al comparto single player della versione casalinga, con la presenza di modalità alternative come il Tekken Force (una sorta di picchiaduro a scorrimento) e il Tekken Ball, nonché di personaggi esclusivi come il piccolo dinosauro Gon, mentre il combat system cominciò a strizzare l'occhio all'allora nascente mondo competitivo, bilanciando le abilità del roster e offrendo nuove interessanti tecniche offensive. A questo punto della sua storia la saga Namco aveva decisamente sostituito un Virtua Fighter che, complice lo sfortunatissimo Dreamcast, era destinato a un lento ma inesorabile declino.

    L'era PlayStation 2

    Nato come un capitolo sperimentale e un ponte tra gli episodi principali della saga, il primo Tekken Tag Tournament accompagnò il lancio di PlayStation 2. Si trattava di un "dream match", ovvero di un'esperienza senza vincoli di trama che racchiudeva al suo interno l'intero roster di gioco (anche personaggi canonicamente defunti). Il titolo però presentava diversi importanti difetti: ad esempio l'ovvio riciclo di asset dai precedenti capitoli, un sistema di tag team ancora piuttosto rozzo e un bilanciamento dei lottatori praticamente assente, con un metagame in buona parte dominato da un ristretto numero di volti come Ogre o la stessa la famiglia Mishima.

    Eppure parliamo del gioco che di fatto ha lanciato la saga del Pugno d'Acciaio nel mondo competitivo, una sorta di equivalente di Super Street Fighter 2 Turbo. Tag Tournament cominciò a comparire sui più importanti palcoscenici competitivi, si pensi all'importantissimo Evolution, che ospitò frenetici scontri all'ultimo pixel tra campioni come l'inglese Ryan Hart o il koreano Qudans. La parentesi a squadre della saga di Jin e Kazuya permise a Namco di respirare in attesa del quarto capitolo principale, che approdò su PS2 e arcade intorno al 2001. Tekken 4 è sicuramente il più controverso e, per certi versi, affascinante della serie. Per il debutto del gioco numerato Namco cercò di portare all'estremo il concetto di interattività degli scenari, potenziando enormemente il comparto grafico e permettendo ai lottatori di muoversi liberamente in un ambiente tridimensionale, colmo di animazioni, ostacoli e personaggi in movimento. L'approfondimento narrativo e della personalità di gran parte del roster toccò picchi mai raggiunti fino a quel momento, con il gran ritorno del redivivo Kazuya, pronto a vendicarsi dei suoi parenti. Persino il vestiario dei personaggi rifletteva questo cambiamento, con un Jin incappucciato che rinnega il karate Mishima e tenta di reinventarsi, sfoggiando i colori bianco e nero a sottolineare il continuo conflitto interiore tra bene e male.

    Se dal punto di vista tecnico ed estetico questo quarto capitolo poteva considerarsi di alto livello, lo stesso non si poteva dire della componente competitiva e del suo combat system, che era - banalmente - disastroso. Nonostante alle juggle e ai palleggi fossero di gran lunga preferiti gli scambi di colpi, l'interattività con gli scenari causò dei veri e propri mostri: non era raro incappare in combo infinite con l'avversario che sbatteva ripetutamente contro un muro o un pilastro, stringhe di mosse praticamente imbattibili, bug a profusione ed enormi problemi di bilanciamento. Il risultato? Gran parte della scena competitiva preferì rimanere su Tekken Tag Tournament piuttosto che approdare sul nuovo e sbilanciato episodio.

    Proprio come il giovane Jin Kazama, Tekken 4 fu il capitolo più costantemente in bilico tra bene e il male, tra il capolavoro e il disastro. Arriviamo tuttavia al punto di svolta: quel quinto episodio che è da tutti, universalmente, lodato. Lo sviluppatore giapponese decise di tornare al vecchio sistema, creando una versione evoluta di Tekken 3 e trasformando gli stage del suo sfortunato successore, caratterizzati da evidenti problemi di bilanciamento e assi (cartesiani), nella nuova dinamica di Wall Combo, decisamente più gratificante e precisa.

    Sebbene la prima versione di Tekken 5 soffrisse di qualche problema di bilanciamento, l'incarnazione successiva, chiamata Dark Resurrection, consegnò al pubblico un titolo profondo e divertentissimo da giocare. Non è un caso che la maggior parte della scena competitiva di Tekken abbia cominciato proprio da questo quinto capitolo che, grazie alla perfetta armonia tra le parti che compongono il combat system, è stato capace di regalare momenti di alta scuola e finali di torneo al fulmicotone, facendo al contempo scoprire al pubblico la superpotenza esportiva chiamata Korea.

    Il tracollo e la rinascita

    Nel momento in cui Yoshinori Ono di Capcom ha tirato fuori la sua "magnum opus" - l'acclamato Street Fighter 4 - che ha rimesso Ryu e Ken sui radar dei giocatori di tutto il mondo, il franchise di Namco si trovava in un momento di incertezza. Nonostante non fosse in alcun modo un cattivo picchiaduro, Tekken 6 non è andato a genio a una parte della fanbase, che non ne apprezzava alcune scelte di design.

    Tra l'altro l'estrema popolarità del concorrente a base di Hadoken e Shoryuken ha finito per compromettere l'integrità del circuito competitivo di Tekken, col fighting game che ha saltato un'edizione dell'Evolution per far spazio a titoli più apprezzati dal pubblico occidentale, come Ultimate Marvel vs Capcom 3.

    Kazuya e Jin hanno continuato ad avere una nicchia di appassionati, dedicati e pronti a tutto pur di promuoverli, ma il franchise si trovava in una sorta di limbo che ha coinvolto anche il secondo spinoff a squadre, Tekken Tag Tournament 2, che in ogni caso si è dimostrato uno dei più apprezzati della saga. Disponeva infatti di un sistema di tag team gratificante e riuscito, con la possibilità di attuare interventi di emergenza per salvare il proprio compagno (chiamati Tag Crash) o di eseguire combo di coppia estremamente coreografiche.

    Ancora una volta, la formula "dream match" consentiva libertà assoluta agli sviluppatori, che hanno portato in un contesto moderno personaggi canonicamente eliminati come Jun Kazama, Angel, Devil, Prototype Jack e persino una versione rinnovata e "razionalizzata" di Jinpachi Mishima, fortissimo boss finale di Tekken 5.

    In questa fase è stata stretta una partnership purtroppo destinata a naufragare: parliamo del progetto Street Fighter x Tekken, un kolossal videoludico patrocinato da Capcom e Namco che univa i due più importanti universi picchiaduristici della scena mondiale. L'idea originale era di far uscire due versioni distinte del gioco: Street Fighter x Tekken, a matrice Capcom e Tekken x Street Fighter firmato da Namco, con meccaniche simili alla serie del Pugno d'Acciaio. Dopo l'incredibile flop del primo dei due, dovuto a scelte discutibili da parte di Yoshinori Ono e del suo team, come ad esempio i DLC già presenti su disco e le gemme a pagamento per potenziare i propri lottatori, Namco ha perso coraggio e il suo progetto è entrato in un "development hell" da cui non è mai più uscito.

    A nostro modo di vedere, alcune delle idee del gioco sono state trasferite in Tekken 7, tra nuove meccaniche e guest character. Guardando ad esempio Akuma nel settimo capitolo è impossibile non pensare che una versione made in Namco di Street Fighter sarebbe stata molto simile a ciò che vediamo fare al demoniaco combattente, che unisce le juggle di Tekken a barre della super, mosse ex, hadoken e shoryuken. Tekken 7 è il capitolo più recente della saga e di fatto ha consegnato la serie al mainstream (a proposito, ecco qui la nostra recensione di Tekken 7). Si è ormai imposto come uno dei picchiaduro più seguiti su Twitch, è in pianta stabile in ogni edizione dell'EVO ed è giocatissimo dai professionisti, che condividono le proprie gesta e viaggiano per il mondo alla ricerca della tanto agognata vittoria nel Tekken World Tour, il circuito competitivo ufficiale in cui anche la nostra Italia è riuscita a farsi spesso valere.

    Nonostante la presenza di numerosi guest character abbia scontentato parte della playerbase più ortodossa, il contributo di questa incarnazione della serie alla diffussione del picchiaduro a incontri è innegabile.

    Dinamico, divertente e continuamente supportato da patch di bilanciamento, Tekken 7 è il risultato di un costante lavoro di miglioramento ed evoluzione di circa un ventennio. Con l'ottava incarnazione all'orizzonte, possiamo affermare senza timore di smentita che il re dei fighting game 3D ha ancora molti anni di successi davanti a sé.

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