The Game Awards 2017: da Death Stranding a Bayonetta 3, tutte le novità

L'edizione 2017 dei The Game Awards non ha deluso le aspettative, portando in dote un notevole carico di novità...

The Game Awards 2017: da Death Stranding a Bayonetta 3, tutte le novità
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È stata senza dubbio una cerimonia di premiazione esplosiva, quella dei Game Awards 2017: corposa, vivace e, soprattutto, estremamente carica di contenuti e di "world premiere", ossia di annunci del tutto inediti, che hanno scandito con gran senso del ritmo l'andamento dello show. Non sono mancate, è vero, alcune flessioni francamente evitabili, con momenti "pubblicitari" che hanno appesantito di parecchio le tre ore di visione, e con siparietti comico-trash che, a tratti, nel tentativo di sembrare "simpatici" ed anticonformisti a tutti i costi, oltrepassavano il limite del buon gusto (sì, ci riferiamo a te Josef Fares: per farti perdonare, il tuo originalissimo e coraggioso A Way Out dovrà essere all'altezza delle aspettative!).

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Che la serata fosse iniziata col piede giusto, ce lo ha dimostrato la scelta di porre, quasi all'inizio dello spettacolo, un microscopico teaser del nuovo, misteriosissimo lavoro di FromSoftware, che lascia presagire il ritorno di IP come Bloodborne o Tenchu. Dopo un incipit di questa portata, è chiaro che le attenzioni vengono immediatamente calamitate sul palco: alle volte, si avverte come l'impressione che l'interesse del pubblico sia concentrato principalmente sulla presentazione di nuovi titoli piuttosto che sui vincitori delle varie categorie. Oltre all'onesta intellettuale di alcune premiazioni, l'edizione 2017 dei Game Awards ha avuto anche il merito di dosare adeguatamente il reveal delle nuove proprietà intellettuali, alternando produzioni clamorose a piccoli titoli indipendenti che, di primo acchito, ci sono sembrati privi di grande personalità.

Ed ecco che, insomma, accanto al plebiscito per FromSoftware si affianca la tiepida (per non dire spenta) accoglienza ai tie-in di World War Z (forse un po' fuori tempo massimo, a meno che l'intenzione non sia quella di accompagnare l'uscita del sequel cinematografico diretto da David Fincher, al momento ancora senza data); a fianco all'intrigante In The Valley of Gods (dalla spinta creativa indubbiamente affascinante) fa capolino l'apparente vuoto artistico di un gioco come Fade to Silence, un ennesimo survival "freddo" e piuttosto obsoleto sul versante meramente tecnico.

C'è da ammettere, in ogni caso, che il clamore per le grandi produzioni ha finito per mangiarsi in un sol boccone tutti gli altri titoli indie meno sorprendenti: la comparsa di Katsuhiro Harada, per esempio, ha portato con sé l'annuncio dell'attesissimo Soul Calibur VI, realizzato con l'Unreal Engine 4, lo stesso motore che ha mosso Tekken 7.
E per restare in tema di prodezze nipponiche, una delle più grandi e strepitose sorprese della serata è stata senza dubbio la conferma dell'arrivo di una versione per Nintendo Switch di Bayonetta 1&2: nemmeno il tempo di esultare, che i nostri gridolini di gioia si sono però trasformati in un boato di meraviglia quando il logo di Bayonetta 3 è comparso sui nostri schermi. Un gran colpo per la casa di Kyoto, che promette quindi faville anche nel 2018, dopo un'annata, come quella appena trascorsa, strabordante di giochi da antologia. Ma nonostante la presenza di un nuovo trailer di Metro Exodus, e di stuzzicanti "world premiere" come Witchfire (uno shooter in stile Painkiller dagli autori di The Vanishing of Ethan Carter), ad attrarre su di sé l'estasi collettiva del mondo videoludico è stato senza dubbio il lunghissimo, criptico e destabilizzante filmato di Death Stranding, l'ambiziosa opera di Kojima e Guillermo Del Toro.

Dinanzi a tale, vibrante potenza espressiva, ci rendiamo conto di come il nostro medium preferito abbia raggiunto davvero una straordinaria maturazione artistica e concettuale.
Al di là degli annunci più clamorosi, tuttavia, il fulcro della cerimonia dei Game Awards è focalizzato sulle premiazioni: riconoscimenti che coronano un anno semplicemente magnifico, in cui si sono susseguite produzioni di livello talmente elevato da lasciare sgomenti, e con il portafoglio del tutto svuotato.
Quelli del 2017 sono stati giorni in cui ha dominato soprattutto il lato "umano" del gaming: storie di piccoli e grandi sviluppatori che, investendo anima e corpo (e ipotecando casa!) all'interno dei loro progetti hanno coronato i propri sogni e, al contempo, dato anche un profondo contributo allo sviluppo dell'industria.
È per questo che il trionfo di Cuphead (in ben 3 categorie: Best Art Direction, Best Independent Game, Best Debut Indie Game) ed i premi per Hellblade (Best Audio Design, Best Performance, Games for Impact) hanno assunto un valore così importante, oltre che davvero meritato.

Perché è giusto che il nostro settore, che fa leva sul potere della creatività senza confini, valorizzi quelle opere realizzate principalmente con una vigorosa spinta passionale. E tra momenti musicali (cantati in un non sempre impeccabile playback), e piccoli sketch umoristici, il frangente più accorato dell'intero spettacolo è stato senza dubbio quello dedicato a Carol Shaw, una donna che ha dedicato la sua intera vita al mondo del gaming, e che è stata finalmente riconosciuta come "Icona dell'Industria", mentre una standing ovation di applausi accompagnava il suo discorso sotto i riflettori.
È importante sottolineare come i veri protagonisti della serata, più che i videogiochi in sé, siano stati i "volti" che li hanno creati: i frangenti più emozionanti sono infatti proprio quelli in cui gli sviluppatori erano al centro dell'attenzione: nello sguardo fanciullesco e sbigottito dei fratelli Moldenhauer (le menti dietro alla nascita di Cuphead), oppure negli espressivi e commossi occhi di Melina Juergens (interprete di Senua in Hellblade), oppure ancora nella tenera riconoscenza di Carol Shaw si annida tutta la meraviglia, pura e genuina, che il nostro medium preferito è in grado di nascondere. È anche da qui che deriva la volontà, trasmessa apertamente, di mantenere in vita il settore come fucina d'arte, e non solo come macchina economica, promuovendo lo sviluppo di giochi singleplayer attraverso una campagna di "sensibilizzazione sociale" al grido di #saveplayer1.

E proprio i giochi basati principalmente sullo storytelling, sulla forza dirompente della loro componente singolo giocatore sono stati tra i più valorizzati dell'intero show. Non sorprende, quindi, la vittoria dell'inebriante Wolfenstein 2: The New Colossus nella categoria Best Action Game, o di What Remains of Edith Finch in quella per la migliore narrativa. E se quei capolavori di NieR: Automata e Persona 5 hanno dovuto "accontentarsi" rispettivamente della sola statuetta per la miglior colonna sonora e per il miglior gioco di ruolo, a far man bassa di consensi è stata ancora una volta Nintendo, che con Super Mario Odyssey e Breath of the Wild si porta a casa alcuni tra i premi più ambiti, come il Best Game Direction ed il Best Action/Adventure Game.
Com'era facilmente pronosticabile, infine, l'ultima avventura di Link è stata incoronata come miglior gioco dell'anno: non neghiamo, in fin dei conti, di essere rimasti un po' delusi. Per quanto Breath of the Wild sia un prodotto epocale, nuovo punto di riferimento per gli open world a venire, nonché inno inestinguibile alla libertà dei giocatori, non riesce comunque ad eguagliare, infatti, neppure lontanamente, la bellezza di quel capolavoro che risponde al nome di Yahtzee.