The Last of Us Parte 2 come Metal Gear Solid 2: l'arte dell'inganno

The Last of Us Parte 2 si è rivelato essere un'opera sorprendentemente divisiva, complice un'opera di depistaggio operata da Druckmann e Naughty Dog.

The Last of Us Parte 2
Speciale: PlayStation 4
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  • PS4
  • PS4 Pro
  • Anticipato da un vero e proprio terremoto internettiano, da un fortunale di polemiche che ha segnato una delle pagine peggiori della recente storia videoludica (tra pregiudizi, critiche lapidarie, e review bombing), The Last of Us Parte 2 si è rivelato essere un'opera sorprendentemente divisiva, malgrado il suo status di capolavoro generazionale. Un ciclone di controversie che, seppur difficile da giustificare, appare tutto sommato coerente con le tappe di un percorso comunicativo fortemente discutibile, non tanto in termini di composizione o cadenza ma per quel che riguarda la strategia dell'inganno messa in campo da Naugthy Dog. Seguendo l'esempio del re de depistaggi Hideo Kojima, Neil Druckmann ha infatti manipolato le aspettative del pubblico con costanza e determinazione, con l'obiettivo di mantenere intatta l'efficacia di alcuni dei momenti cardine della sceneggiatura.
    A questo punto la domanda nasce spontanea: questo genere di condotta è sempre sbagliata, o può essere condonata in base alle sue conseguenze?

    Attenzione: l'articolo a seguire include spoiler sulla trama e sul finale di The Last of Us Parte 2, e pertanto vi invitiamo a leggerlo solo nel caso abbiate già finito il gioco.

    Il machiavellismo di Kojima

    Durante l'E3 del 2000, l'anno della transizione generazione verso PlayStation 2, Hideo Kojima concesse al mondo una prima occhiata alla sua nuova opera, sequel di quello che viene universalmente riconosciuto come uno dei migliori videogiochi di tutti i tempi. La prima apparizione pubblica di Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty assunse le fattezze di un lungo trailer carico di promesse, confezionato con cura per innescare l'entusiasmo della platea.

    Da una parte il video faceva sfoggio di un pregio tecnico sorprendente, valorizzato da una regia raffinatissima, e dall'altra anticipava il ritorno di quella che era già diventata un'icona del medium: Solid Snake, soldato leggendario e vessillo del concetto stesso di stealth videoludico. L'impatto sulla community fu così travolgente che il titolo divenne immediatamente un vero e proprio "system seller" per la nuova console di Sony, che al tempo era stata distribuita esclusivamente entro i confini del Giappone.

    L'entusiasmo dimostrato dal pubblico subì un'ulteriore impennata quando, a marzo dell'anno successivo, i fan poterono mettere le mani su una demo del titolo (inclusa nella confezione di Zone of the Enders), che mostrava la stessa sezione di gioco vista nel reveal trailer. Va da sé che al tempo i giocatori non sapevano di essere finiti in una rete di "mezze verità" e astuti depistaggi tessuta da quel buontempone di Kojima, motore di una strategia di comunicazione tanto ambigua quanto astuta.

    Malgrado le premesse, infatti, il protagonista di quello che sarebbe stato definito "il primo videogioco postmoderno" non era affatto Solid Snake, destinato ad abbandonare rapidamente il centro dell'inquadratura in favore di Raiden, un personaggio mai apparso durante la campagna promozionale.

    Un inganno che, come potete immaginare, generò più di una polemica tra le fila degli appassionati, ma che risuona fortemente col sottotesto filosofico di un'opera che - un ventennio fa - anticipava in maniera quasi profetica i rischi della "comunicazione 2.0", andando a toccare temi attualissimi come la proliferazione delle "fake news", il controllo dell'informazione digitale, e la fragilità del concetto stesso di verità.

    D'altronde Kojima è sempre stato uno strenuo avanguardista, un visionario guidato dal desiderio incontenibile di spingere il medium verso strade non ancora tracciate. Una condotta che, come intuibile, implica una quota di rischio importante, ed è probabile che se Sons of Liberty non si fosse rivelato un titolo straordinario oggi lo ricorderemmo come uno dei più grandi imbrogli della storia dei videogiochi. D'altronde mentire ai giocatori è senza dubbio una pratica discutibile ma, spinti da un moto di machiavellismo, ci sentiamo di affermare che talvolta, solo di rado, "il fine giustifica i mezzi". A fare la differenza è chiaramente l'esito di una determinata operazione, ancor più delle intenzioni che la sostengono, e in questo senso Kojima ha sicuramente fatto scuola. La lezione di Metal Gear Solid 2 è infatti diventata per Neil Druckmann la principale fonte d'ispirazione per le diverse tappe del percorso promozionale di The Last of Us Parte 2, al centro di una manovra di depistaggio tanto controversa quanto, col senno di poi, brillante e ben orchestrata.

    L'arte del depistaggio

    Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty è uno dei giochi preferiti di Druckmann e, come molti, anche lui ha ammesso di essersi sentito ingannato dalla strategia comunicativa di Hideo Kojima. Allo stesso tempo, però, il game director di The Last of Us Parte 2 ha sempre riconosciuto il valore di quella menzogna, plasmata con l'obiettivo di preservare il più possibile l'esperienza di gioco, la genuinità delle emozioni scatenate dal racconto.

    Un proposito che l'intero team creativo di Naughty Dog condivideva appieno, così come il desiderio di evitare che il drammatico, brutale colpo di scena all'inizio della storia diventasse qualcosa di scontato, una tragedia cui prepararsi per ammortizzare il colpo. Da qui una lunga serie di mistificazioni "a fin di bene" portate avanti non solo seguendo l'esempio "kojimiano" del montaggio marpione, ma addirittura alterando inquadrature e modelli poligonali per mostrare al pubblico qualcosa che nel gioco, di fatto, non c'è.

    Nel release date trailer di The Last of Us Parte 2 del 24 settembre 2019, Naughty Dog prepara il palcoscenico per l'ordalia vendicativa di Ellie mostrandoci la ragazza costretta ad assistere a una sequenza intrisa d'angoscia, col volto sanguinante segnato da una smorfia di pura disperazione.

    Al tempo già sapevamo che la protagonista condivideva con Dina un legame speciale, e i primi minuti del video mostravano le due ragazze scambiarsi sguardi carichi di complicità e cavalcare assieme tra le nevi della contea di Jackson, il tutto a pochi istanti dal manifestarsi di una sconvolgente e misteriosa tragedia. Questi indizi lasciavano quindi supporre che proprio Dina fosse la ragione del viaggio di Ellie, e la sua assenza (totalmente fittizia) nelle scene successive contribuiva a rafforzare questa convinzione, il tutto per distogliere l'attenzione dall'elefante nella stanza, ovvero la morte di Joel.

    D'altronde il coprotagonista del primo The Last of Us appariva vivo e in forze nei momenti conclusivi del trailer, pronto a ribadire con dolorosa fermezza la sua vicinanza alla figlioccia, la sua volontà di sostenerla sempre e comunque. Oggi sappiamo che Joel non è realmente presente in quella scena, e che Naughty Dog ha furbescamente provveduto a scambiare il modello poligonale di Jesse con quello dell'ex contrabbandiere, arrivando perfino a doppiare battute che, in realtà, vengono pronunciate da un personaggio completamente diverso.

    Una tattica utilizzata, seppur con modalità leggermente differenti, anche nel successivo story trailer, uscito a maggio del 2020. Un momento particolarmente complesso per lo studio di Sony, che proprio in quei giorni era stato vittima di uno dei peggiori leak della recente storia videoludica, punto di origine di una tempesta di polemiche e accuse che non fatichiamo a definire deliranti.

    Il video in questione ospita un discreto numero di scene con Ellie e Joel, composte col chiaro intento di indurre la platea a credere che quest'ultimo sarebbe stato presente per buona parte dell'avventura, in netta contrapposizione con le indiscrezioni emerse in rete. Ora sappiamo che si tratta di momenti collocati nel passato, che Naughty Dog ha deciso di mascherare sostituendo i modelli dei protagonisti con le loro versioni "più attempate".

    Nello stesso filmato sono presenti tre ulteriori depistaggi: una città in fiamme che è facile scambiare per Jackson (in realtà si tratta di Haven), l'assenza posticcia di Dina in alcune delle scene, per rinsaldare la teoria di una sua precoce dipartita, e infine una scena che vede una Ellie insanguinata e tremante strangolare un personaggio ignoto. Quel personaggio è ovviamente una Abby emaciata e distrutta dalla prigionia nel lager delle Serpi, durante una delle sequenze più potenti e tormentose della campagna. In questo particolare punto del racconto, però, l'aspetto di Ellie è molto diverso rispetto a quello mostrato nel trailer, per evitare che lo spettatore possa intuire la collocazione temporale di questo frammento narrativo e i cambiamenti che la protagonista subisce nel corso del suo atroce viaggio, una discesa negli abissi dell'animo umano, scandita da un'amara sinfonia di traumi ed efferatezze.

    Il valore di una menzogna

    Dopo aver analizzato nel dettaglio la portata degli inganni orditi da Naughty Dog, nonché gli intenti alla base dell'operazione, è giunto il momento di esprimere un giudizio sulla condotta del team di Sony. Come anticipato, l'atto di sviare il pubblico con informazioni adulterate ad arte è una pratica quantomeno controversa, che però può essere interpretata in diversi modi a seconda dei contesti e delle conseguenze. In questo specifico caso il risultato è uno dei migliori titoli della generazione, un capolavoro viscerale e totalizzante sostenuto da una storia che meritava di essere protetta.

    Di nuovo preda del machiavellismo di cui sopra, ci sentiamo di confermare che si tratta di uno dei pochissimi casi in cui il fine giustifica in pieno i mezzi utilizzati, meritevole di quell'eccezionalità già concessa al buon Kojima. A pensarci bene, non fatichiamo a riconoscere nelle tematiche del gioco una certa affinità con la strategia di Druckmann e soci, proprio come successe con Metal Gear Solid 2. D'altronde parliamo di un sequel che prende le mosse da un'infame e umanissima menzogna, la stessa che nel 2013 chiudeva con malinconica efficacia la storia del primo The Last of Us.

    Joel amava Ellie al punto di sacrificare per lei il futuro del mondo, una moltitudine indefinita di volti e vite che diventava insignificante di fronte al sentimento di un padre nei confronti della propria figlia. Una decisione forse dissennata, egoistica e sicuramente unilaterale, ma intrisa di una concretezza emozionale unica e struggente. Anche Naughty Dog voleva difendere la sua creatura, preservare l'impatto che questa avrebbe avuto sul pubblico e, dopo aver assistito in prima persona alle conseguenze di questa scelta, beh, non ci sentiamo di condannarla. E voi?

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