The Last of Us Parte 2: un finale incredibile. Parliamone!

Approfondiamo il finale di The Last Of Us 2 analizzando nel dettaglio tutte le sfaccettature delle ultime sequenze del gioco Naughty Dog.

The Last of Us Parte 2 - Il finale
Speciale: PlayStation 4
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  • PS4
  • PS4 Pro
  • L'incipit di The Last of Us Part II è a suo modo spiazzante. Con voce calma e sicura, mentre aggiusta la chitarra che di lì a poco consegnerà ad Ellie, Joel racconta gli ultimi momenti del suo precedente viaggio: la fuga dall'ospedale di Salt Lake, la spietata ritorsione contro le Luci, e quella scelta dolorosa e feroce che è rimasta impressa nella nostra memoria per sette lunghi anni. Proprio su quella decisione - così egoistica, umana e disumana al contempo, e insomma così vera - si sosteneva l'indimenticabile finale del primo The Last of Us, assieme alle tante domande e alle interpretazioni che ne erano scaturite.

    Era lecito pensare, quindi, che Naughty Dog volesse aspettare un po' di tempo prima di riprendere l'argomento, lasciare gli utenti col fiato sospeso, invece di affrontare la questione in maniera così repentina ed esplicita. A ben vedere questo approccio risulta però quasi inevitabile, oltre che estremamente efficace: non solo perché il gesto di Joel è stato tanto "ingombrante" da non poter essere ignorato neppure per un istante, ma anche perché è importante comunicare immediatamente che questa "Seconda Parte" ha una connessione diretta e lampante con il vecchio capitolo.

    Il "peccato originale" di Joel, quell'atto che ha condannato definitivamente l'umanità e negando la speranza di una cura, diventa il seme da cui germoglia una nuova storia. Resta vero che l'arco narrativo di The Last of Us Part II ha un suo svolgimento autonomo, ma ciò che dà avvio al racconto sono proprio le conseguenze di quell'atto così tormentato, che ha avuto un effetto su tutti i personaggi del racconto. Il fatto che Joel senta il bisogno di raccontarlo a suo fratello, il sospiro pesante con cui risponde quando Tommy prova ad "assolverlo" dicendogli che avrebbe fatto lo stesso, ci fanno capire che persino il vecchio protagonista sta vivendo con un fardello pesante, duro da portare.

    È una scelta che rifarebbe ancora, di cui non si pente, forse perché dopo aver perso la figlia è davvero l'unica possibile; ma non è una scelta facile, impalpabile o senza contraccolpi. Ed ecco infatti che le conseguenze di quella presa di posizione si presentano a chiedere il conto: da una parte nel logoramento lento ma inevitabile del rapporto con Ellie, dall'altra nella vendetta atroce di Abby e del suo gruppo. Entrambi questi aspetti meritano di essere approfonditi, perché sono indici della profondità narrativa di un'opera che lavora sulle scale di grigi, presenta un orizzonte etico sfaccettato e cerca di rappresentare le sfumature della vita e la complessità delle persone.

    "Lo giuro"

    Una delle domande che più ha tormentato i giocatori dopo la fine del primo capitolo è se Ellie avesse creduto o meno alle parole di Joel, a quella storia così incoerente raccontata dopo una fuga troppo sospetta e frettolosa.

    Anche in questo caso la risposta non è lineare, perché in fondo Ellie ha fatto l'unica cosa ragionevole: ci ha creduto finché ha potuto. Sola e adolescente, senza nessuna possibilità se non quella di seguire Joel, si è fatta andare bene quella verità instabile e parziale. Eppure, mentre negli anni passati a Jackson cercava un nuovo equilibrio, mentre il suo vecchio compagno di viaggio si trasformava sempre di più in una sorta di padre attento e premuroso, il tarlo del dubbio continuava a scavare un indistricabile cunicolo di sospetti e quesiti irrisolti. Alla fine possiamo dire che Ellie, a quella storia, ci ha creduto senza crederci mai per davvero, che è andata alla ricerca della verità non appena ne ha avuto occasione. E tanto era debole il racconto messo in piedi da Joel, che raggiungerla non è stato neppure troppo difficile. Da quel momento in poi è stato impossibile non abbandonarsi alla rabbia, più forte persino dei dolci ricordi di un viaggio spaziale solo immaginato che rappresenta una delle scene più comunicative e toccanti della produzione.

    Se è vero che l'idea alla base di quel momento arriva direttamente dal Left Behind (e da una vecchia sala giochi in cui si poteva giocare ad un picchiaduro fatto solo di parole), il lancio spaziale è importante perché simboleggia un atto di amore puro e incondizionato, grazie al quale viene riaffermato il valore immaginifico e salvifico della fantasia in un mondo che sembra averla messa in secondo piano, sepolta dalla crudezza e da un pragmatismo urgente e necessario.

    È importante che i flashback che raccontano a sprazzi la crescita di Ellie nei quattro anni che separano i due The Last of Us mescolino intimità, ribellione, dolcezza e dolore: perché questo serve a dare l'idea di un rapporto che cresce, si evolve, si sviluppa oltre i confini che aveva al termine del primo capitolo e poi si infrange. Quattro anni sono lunghi, e nel mondo ferito di The Last of Us sono anche preziosi; soprattutto se sono fatti di musica e di ricordi, di scoperte e di crescita. Ogni tanto fa bene ricordare che quegli anni, in quel mondo, ci sono stati.

    "Non siamo come lui"

    La scena della morte di Joel è una delle più crude di tutto il gioco, tesa e nervosa, addirittura angosciante nella misura in cui fa sentire lo spettatore impotente e lacerato. Sarebbe bastato un colpo di fucile all'altezza del ginocchio per condannare chiunque, nel contesto impietoso di The Last of Us, ma la sequenza non si ferma, come forse avrebbe fatto se ci fossimo trovati di fronte al primo capitolo, in cui le scene venivano tagliate repentinamente e mandate al nero senza preavviso.

    Prima che Abby espliciti il suo proposito viene quasi da sperare che il vecchio protagonista possa in qualche modo essere salvato, possa sopravvivere senza una gamba. Ben presto capiamo che non c'è niente da fare: quando Abby pronuncia nome e cognome del suo "bersaglio" è chiaro che Joel non ha più scampo. Lui stesso sembra ormai cosciente della sua sorte, rassegnato, e in qualche strana maniera persino consapevole di aver commesso atti così tremendi da meritare una punizione. La cosa da evidenziare, in questa sequenza, è che sebbene Abby sia l'esecutore materiale dell'atto la morte di Joel è cercata e causata da tutto il gruppo. Nonostante l'ira di Ellie (e quella dei giocatori) si sia rivolta specificatamente contro un singolo personaggio, la caccia a Joel Miller resta di fatto uno sforzo corale. Abby ha una priorità che gli viene riconosciuta anche dai compagni, dal momento che a causa di Joel ha perso il padre, ma la vendetta che viene inscenata è tutt'altro che privata. Non dobbiamo dimenticare che al termine del vecchio episodio Joel non ha semplicemente ucciso un innocente (prezioso per qualsiasi comunità in nome delle sue competenze mediche), ma ha pure negato all'umanità l'unica speranza di trovare una cura, condannando i sopravvissuti ad una vita di incertezza e dolore.

    In realtà si potrebbe aggiungere persino un'altra sfumatura: a seguito del suo assalto all'ospedale di Salt Lake e all'uccisione di Marlene, Joel ha condannato le Luci, estinguendo un gruppo che in qualche maniera sembrava incarnare un valore di resistenza positiva (se non altro per alcuni dei partecipanti alla caccia). Nella vendetta contro Joel si intrecciano insomma ragioni personali, comunitarie e - più generalmente - etiche, ed è per questo che anche personaggi insospettabili (come Mel) decidono di partecipare alla spedizione.

    Totalmente inconsapevoli di quello che c'è stato tra Joel ed Ellie, i Lupi partiti alla volta di Jackson sentono una legittimazione morale per un'azione così violenta (legittimazione che Ellie, di contro, non avrà mai), ed è proprio per questo che nonostante tutto decideranno di trattenersi, risparmiando la vita a Tommy e Ellie. Di fronte alla consapevolezza che la morte di Joel, nell'universo di The Last of Us, rappresenta qualcosa di molto più sfumato e complesso che una semplice rivalsa personale, viene comunque da chiedersi se l'errore più sciocco e più grave del vecchio protagonista sia stato quello di non sapersi controllare - dopo aver sterminato predoni e reietti, dopo aver massacrato comunità di cannibali e banditi - di fronte ad un uomo semplice, che non aveva nessuna colpa.

    Ellie

    Per quanto alcuni giocatori abbiano abbracciato senza riserve i propositi vendicativi di Ellie, la verità è che la sua scelta, all'inizio dell'avventura, appare estrema e istintiva. Al punto che non tutti l'hanno davvero capita fino in fondo: per quanto forte potesse essere il dolore di aver assistito ad una morte iniqua e senza gloria, la contropartita era rappresentata dalla stabilità di Jackson, dal brivido di un amore appena sbocciato, dalla promessa di sicurezza e stabilità.

    E la verità è che per quanto Naughty Dog abbia ripetuto che The Last of Us Part II racconta una storia di vendetta, il sentimento di rivalsa non è l'unico che spinge Ellie a partire. Ironicamente lo si capisce solo alla fine, durante il flashback con cui in pratica si chiude l'avventura. Il fatto che per spiegare quello che succede all'inizio del gioco si debba partire dalla conclusione, per altro, è indicativo della tecnica narrativa impiegata dal team di sviluppo, che parte da una trama piuttosto semplice ma lavora in maniera impeccabile sull'intreccio, alternando piani temporali e prospettive, per imbastire un racconto che svela i suoi elementi principali più tardi possibile. Pezzo dopo pezzo, Naughty Dog assembla un puzzle monumentale, celando però i frammenti che servono a dare un senso più profondo al grande disegno che si intravede. Solo quando questi ultimi tasselli sono finalmente collocati, l'utente è in grado di rileggere gli eventi sotto una nuova luce, di inquadrare i personaggi e le loro scelte da prospettive inedite.

    La scena dell'ultimo incontro tra Joel ed Ellie assolve esattamente questo compito: ci fa capire che il cuore della protagonista non è soltanto gonfio di odio nei confronti di chi le ha portato via una figura così importante, ma è traboccante di rimpianti. Ellie ha perso Joel nel momento esatto in cui aveva deciso di provare a perdonarlo, ad averlo nuovamente nella sua vita dopo un periodo di netta e amara separazione. Senza questo dettaglio non si può capire che Ellie è arrabbiata anche con sé stessa, e che le sue giornate sono diventate così asfissianti anche perché non riesce a perdonarsi. C'è inoltre un'ultima sfumatura, nella scelta della protagonista, e riguarda un sottile ma avvertibile desiderio di autodistruzione.

    Ellie lo dice a chiare lettere, che non riesce a trovare un senso alla sua vita, che ha colpevolizzato Joel perché le ha negato il sacrificio che avrebbe giustificato la sua esistenza. È anche per combattere questo senso di inadeguatezza tipicamente adolescenziale che Ellie decide di partire, sperando di trovare uno scopo nella vendetta. Sappiamo benissimo che non sarà così: che la sua rabbia crescerà fino a diventare ossessione, che il senso di colpa crescerà dopo la morte di Jesse, e per via delle cicatrici indelebili di Tommy.

    Quello raccontato nel "primo atto" di The Last of Us Part II è, a tutti gli effetti, un viaggio di dannazione, una lenta e inesorabile discesa agli inferi, una regressione istintiva. Che sia per calcolo o per incidente, la conta dei morti "illustri" (Nora, Owen, Mel) diventa soverchiante, al punto da oscurare ogni altra prospettiva.

    I momenti preziosi passati con Dina negli spazi aperti di Seattle vengono spazzati via dalla consapevolezza di averla messa in pericolo assieme alla nuova vita che cresce dentro di lei, e al termine dei tre lunghi giorni del primo atto quello che resta è solo dolore. In quel momento Ellie non ha ancora rinunciato alla vendetta per sua volontà: semplicemente non ha avuto scelta, ed è per questo che ancora non si sente libera. Servirà, molto tempo dopo, un'altra tappa inaspettata per poter finalmente voltare pagina.

    Abigail

    Agli occhi del giocatore il personaggio di Abby rimane un mistero fino a metà dell'avventura, quando le sue ragioni si svelano in un flashback letteralmente devastante per la consapevolezza del pubblico. Nel gioco di riverberi e riletture che Naughty Dog porta avanti, durante questa sequenza viene anche gettata una nuova luce sulla figura di Marlene, archiviata alla fine del primo The Last of Us e qui dipinta in maniera sensibilmente più umana di quanto non fosse apparsa agli occhi del giocatore (o erano quelli di Joel?).

    Il punto focale della scena che segna il primo passaggio di consegne è però il palesarsi della prospettiva di Abigail Anderson, in un momento che porta con sé un messaggio così potente che sembra letteralmente impossibile non sia stato colto da una parte dei videogiocatori. Nell'attimo in cui l'ospedale di Salt Lake compare di fronte allo schermo, si capisce che Abby è di fatto il "doppio" di Ellie, un personaggio a lei esattamente speculare. Entrambe cercando vendetta per lo stesso identico motivo: la morte violenta ed ingiusta di una figura paterna. Nessuna delle due può dirsi più legittimata dell'altra, e se c'è qualcuno che si trova in una condizione di "superiorità morale", quella è di sicuro Abby. Che il giocatore abbia speso sedici ore in compagnia di Joel ai tempi del primo capitolo, nel mondo di The Last of Us, non conta. Capire una storia, saper leggere una sceneggiatura, significa anche questo: comprendere che le ragioni dei personaggi sono indipendenti dal punto di vista del giocatore. Il dolore di Abby per la scomparsa del padre non è in alcun modo inferiore a quello di Ellie, la sua prospettiva non è subalterna o di minor valore. Insomma: o si accetta che la vendetta sia ingiusta di per sé, oppure non c'è un modo per giustificare le azioni di Ellie e al contempo condannare quelle di Abby.

    Almeno, non senza usare "due pesi e due misure", non senza risultare incoerenti e parziali (o, al limite, semplicemente un po' egoisti). Se è vero che Abby rappresenta l'alter ego di Ellie, bisogna anche dire che i percorsi interiori dei due personaggi sono evidentemente traslati. Ellie abbraccia un proposito di vendetta all'inizio del gioco e lo abbandona solo alla fine, così da poter finalmente ripartire con la sua vita. Abby ottiene la sua vendetta nell'incipit del gioco, e può quindi andare avanti, pur convivendo con le conseguenze delle sue azioni.

    All'inizio di The Last of Us Part II Abby ci viene presentata come una figura tormentata, privata di ogni cosa che conta nella vita (non ha più l'amore di un padre, non ha più quello di Owen, non ha più i valori positivi delle luci, bensì quelli predatori dei Lupi). Ma se la parabola di Ellie tratteggia indubitabilmente un percorso di dannazione, quella di Abby non può che dirsi una strada di integrale redenzione. Questo riscatto viene innescato da due elementi: da una parte l'amore per Owen (il vero motore del viaggio di Abby, che si allontana dal campo per cercare il suo vecchio compagno), dall'altra l'incontro con Yara e Lev.

    Se Abby si sente così vicina a questi due personaggi il motivo è che essi rappresentano un ideale di libertà, di ribellione, di fratellanza che la nuova protagonista aveva smarrito assieme alle ultime Luci. La zona militarizzata del Washington Liberation Front, la guerra logorante con le Iene portata avanti dalla tetra volontà di Isaac, non hanno fatto dimenticare ad Abby i valori del gruppo in cui è cresciuta, quelli che le ha trasmesso suo padre. Owen è stato il primo a stancarsi della prospettiva feroce del branco, dicendosi pronto a fuggire verso Santa Barbara. Abby farà la stessa scelta di lì a poco, dopo aver ritrovato il suo partner, non solo eticamente ma anche fisicamente.

    Conosciamo tutti la piega che prenderanno poi le cose: la fuga di Lev, la morte atroce di Yara, la fine ingloriosa di Owen e Mel. Quanto basta per riaccendere nel cuore di Abby un'ultima scintilla d'odio, sopita soltanto dallo sguardo del suo nuovo compagno di avventure di fronte ai corpi spezzati di Tommy, di Ellie, di Dina. Può darsi che sia stata proprio l'occhiata compassionevole di Lev a far cambiare idea ad Abby, ma in fondo quello che conta è proprio questo: che nella vita di Abigail ci sia di nuovo qualcuno che conti davvero.

    La verità

    Non si può capire fino in fondo la struttura narrativa di The Last of Us Part II se non si prendono in esame i processi della dialettica come furono teorizzati da Hegel. Secondo la filosofia hegeliana lo schema secondo cui procede il pensiero è tripartito, e avanza in tre momenti distinti, denominati: tesi, antitesi, sintesi.

    - La tesi è una proposta intellettuale, un'affermazione che all'inizio del processo viene data per assodata.
    - L'antitesi è una prospettiva critica sulla tesi, una seconda enunciazione che la nega e ne ribalta i precetti.
    - La sintesi risolve il conflitto tra tesi e antitesi, conciliando le loro verità comuni e formando una nuova proposta.

    Non è difficile accorgersi che questi tre momenti sono rappresentati perfettamente dai tre atti di The Last of Us Part II. Nel primo, la prospettiva di Ellie è sembra giusta e legittima, la sua vendetta appare naturale e necessaria. Nel secondo atto la prospettiva di Abby stravolge le cose, nega che ci sia una vendetta giusta "per diritto divino", ribadisce che esistono altri punti di vista.

    L'ultimo atto (quello ambientato a Santa Barbara) supera le due prospettive, ne esplicita appunto gli insegnamenti comuni: che la vendetta è sempre logorante, che le sue conseguenze sono desolanti, e che è meglio concentrarsi sulla speranza futura piuttosto che sul dolore del passato. È questa la verità ultima di The Last of Us Part II, il suo messaggio positivo: quello che dovrebbe rimanere nel cuore dei giocatori, al posto della rabbia futile per la dipartita di un personaggio di fantasia.

    C'è comunque da dire che le ultime ore del gioco sono caratterizzate da una potenza comunicativa ed espressiva quasi senza pari. Dal momento in cui Naughty Dog decide di andare "oltre l'idillio", rifiutandosi di appiccicare i titoli di coda dopo il tramonto alla fattoria, è impossibile non sentirsi costantemente spiazzati. Il ritorno di Tommy, ad esempio, "redivivo" eppure cambiato per sempre, colmo di risentimento e trasformato in uno dei personaggi più negativi della produzione, comunica in un attimo il peso esistenziale di quello che sta per succedere. Così come lo fanno gli incubi di Ellie, i suoi attacchi di panico, l'immagine del volto gonfio e martoriato di Joel che proprio non riesce a dimenticare. Le scene si susseguono quasi senza sosta, e ben presto ci ritroviamo a controllare Abby.

    Una parentesi breve e crudele, in cui osserviamo la sua speranza, di ritrovare finalmente gli ultimi resti delle Luci, mandata in frantumi dagli squallidi rastrellamenti delle Serpi. Quando torniamo a controllare Ellie comincia per davvero l'ultimo slancio narrativo di The Last of Us Part II. Un movimento apparentemente lento e compassato, acquattato nella sterpaglia riarsa di Santa Barbara, ma capace di farsi imperioso e tonante. Lo scontro finale fra Ellie ed Abby è, senza ombra di dubbio, uno dei momenti più potenti della narrazione videoludica moderna. È il culmine della poetica tragica, l'attimo in cui il videogioco genera emozioni attraverso il suo strumento più rappresentativo, ovvero quello dell'interazione.

    Di fronte alla figura afflitta di una donna consumata, lacerata dalla schiavitù, malnutrita, e di fronte alla rabbia scellerata di Ellie, che trasferisce le colpe del suo "nemico" su chi gli sta vicino, l'impulso più naturale è quello di abbandonare il pad: di fermare questa spirale di odio che conduce soltanto alla morte o alla perdita di sé stessi. E invece il gioco non ci concede questa possibilità, e rilancia un'ultima volta. Mette in mostra il sangue, i muscoli tesi, i denti e le ossa, e i frammenti di due corpi rovinati, spaccati, che si mescolano con l'acqua e la nebbia e i ricordi. Mette in scena il pianto di Ellie, l'ultimo sfogo prima della realizzazione. Poi, proprio ad un passo dalla fine, Ellie compie la scelta che le concede la salvezza.

    Lo fa nel momento in cui l'immagine dolorosa della morte di Joel viene sostituita da quella di un istante prezioso, l'attimo in cui il rapporto fra i due ha ricominciato ad esistere. Una chitarra, qualche accordo solitario, la luce tenue sotto un portico, il freddo dell'inverno. È un momento di disperata e banale intimità, in cui Joel ed Ellie si rendono conto che hanno bisogno l'uno dell'altra, che non possono sfuggirsi. È l'attimo che ha innescato tutto quanto e, paradossalmente, quello che pone fine a ogni cosa.

    Accordi e approdi

    Credo che sia importante sottolineare il fatto che Ellie, alla fine, non si ferma per pietà. Compie una scelta razionale, decide "in che direzione guardare": focalizzandosi non più sulle memorie dolenti e spietate, ma su quelle dolci e malinconiche che si spera possano accompagnarla per tutta la vita. Per arrivare a capire l'importanza di questa scelta, Ellie ha perso molto. Ha perso qualche amico, e forse la fiducia di Jackson. Ha perso, se non la speranza di una vita tranquilla, almeno un delicato equilibrio che aveva trovato alla fattoria.

    Difficile dire se abbia perso l'amore di Dina, la possibilità di crescere JJ, ma forse sembra una prospettiva eccessiva: quando tornerà in città, con una cicatrice sul fianco e un'altra sul cuore, magari la sua nuova famiglia sarà ben felice di riabbracciarla, e il tempo guarirà gli ultimi strappi. C'è però una cosa che Ellie ha perso per sempre: la sua musica.

    Quegli accordi che rappresentavano l'eredità più preziosa di Joel oltre al dono inestimabile della vita. Un tocco di poesia in un mondo tormentato, e forse persino una connessione con ciò che esisteva "prima della catastrofe". Ecco: quella musica non tornerà più.

    The Last of Us Part II ci lascia con una nota amara, per ricordarci quali siano le conseguenze dell'odio e riaffermare che non tutte le ferite si possono rimarginare. Ma The Last of Us Part II si chiude anche con un tocco di speranza: con Ellie che si perde nel verde e può iniziare una nuova vita, con la barca di Abby ferma sulle spiagge di Catalina Island. Lì, dove una voce amica, alla radio, le aveva detto di aver avvistato nuovi orizzonti, nuove Luci.

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