The Legend of Zelda Breath of the Wild: Walking Simulator e psicogeografia

Il sistema di gioco di Breath of the Wild presenta alcune analogie con la concezione dello spazio dei walking simulator: scopriamole insieme.

The Legend of Zelda Breath of the Wild: Walking Simulator e psicogeografia
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Disponibile per
  • Wii U
  • Switch
  • C'è una ragione per la quale The Legend of Zelda: Breath of the Wild è stato eletto il miglior gioco del 2017 praticamente ovunque. Anche dopo nove mesi dalla sua uscita, d'altronde, si continua a parlare dell'ultimo capolavoro di Nintendo. Il motivo è presto detto: siamo convinti che, nel tempo, i ricordi di Hyrule diventeranno anche i nostri ricordi.
    Tutti coloro che sono nati negli anni Ottanta sanno che le esperienze videoludiche, per quanto il mercato sia oggi frenetico e appetibile, iniziano a divenire sempre meno "impattanti". Tuttavia, quando si diventa grandi, i videogiochi della gioventù conservano una certa, irripetibile magia che torna a galla nella nostra mente.
    D'altronde è una delle cause e conseguenze della retromania, un trucco nostalgico tramite il quale gli artefatti del passato ci sembrano migliori di quelli di oggi. E' un incantesimo della mente, tutto qui.
    Quando ho messo mano su Breath of the Wild, però, la farfalla è tornata a volare tra le pareti del mio stomaco.

    Il risveglio del mito

    L'ultima avventura di Link delizia sotto l'aspetto emotivo, ed innesca una danza con i nostri sentimenti e con i desideri sopiti in noi. Si potrebbe, a tal proposito, tirare in ballo persino Jung e le sue interminabili ricerche sugli archetipi e sull'inconscio collettivo. Secondo Jung esiste un sostrato psichico, fatto di un mitico passato, quello delle leggende, che vive negli anfratti delle coscienze dei popoli.

    Nella vita di tutti i giorni siamo sempre vigili, dal momento in cui ci alziamo per fare colazione, fino all'istante in cui andiamo a dormire: eppure ci sono attimi in cui qualcosa sveglia la mente mitica, che spunta come un rigurgito nella vita quotidiana. Quello contemporaneo è un mondo strano, apparentemente senza miti (in realtà si stanno solo rinnovando, un po' come gli dei in American Gods di Neil Gaiman). Ci emozioniamo con i film di supereroi e qualche prodotto fantasy. Ma non è abbastanza. Almeno, non per il sottoscritto.
    A volte è il videogioco che ti permette di fare i conti con il mito.
    Giocare a Zelda stuzzica maledettamente quel complesso sistema di sogni ancestrali, fatto di maghi, cavalieri, tesori nascosti, regni da salvare ma, soprattutto, di "spazi".Lo spazio e la possibilità, da parte di chi lo osserva, di percorrerlo. Esplorare per esplorare. In Zelda si passeggia per il puro piacere di farlo, Un'azione del movimento che dentro di sé, intrinsecamente, porta nel fenomeno cognitivo una parola che noi videogiocatori conosciamo bene: scoperta.

    Come se non bastasse, per gli amanti della serie, l'ultima Hyrule fa uno strano effetto. E' un continente devastato, invecchiato male. La calamità di Ganon ha annichilito la civilizzazione, rimasta ingabbiata in una sorta di medioevo che si poggia sui resti di una fiorente tecnologia ormai corrotta. Il giocatore un po' più attento sa che quello di Link è un viaggio tra i ruderi dei vecchi capitoli. A giocare un po' con la speculazione, per chi è più grande di età il risveglio del protagonista si accompagna al risveglio del fanciullo che gli sta dentro. Quello mitico e collettivo, junghiano. Gli anni di Ocarina of Time sono lontanissimi, nel gioco come nella vita reale: e se quei luoghi ora sono cumuli di macerie, nulla ci impedisce comunque di meravigliarci ancora una volta.

    Dal Walking Simulator all'Internazionale Situazionista

    Breath of the Wild, insomma, è un grande gioco perché coglie la lezione dei Walking Simulator. Prodotti come Virginia o What Remains of Edith Finch fanno parte di un genere che focalizza il proprio appeal sulla narrazione e l'esplorazione.

    Il walking simulator ha, probabilmente in modo sintomatico, delle radici sociologiche importanti. Negli anni ‘50, periodo caldo per la cultura umanistica, in piena fase ormonale dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, un gruppo di sociologi, filosofi e artisti fonda il Situazionismo, un complesso movimento politico che faceva proprio e dava vita al termine psicogeografia, ovvero un nuovo modo di attraversare lo spazio, lasciandosi andare alla deriva. Alla deriva di cosa? Dipende da noi.
    La nozione di fondo è quella di un manipolo di persone che deambula nello spazio rinunciando ad uno scopo Non uscire di casa con un obiettivo preciso, come può essere quello di dover andare a lavoro, ma farsi guidare da sensazioni estemporanee.
    Dove si fermano i Walking Simulator arriva Breath of The Wild. La deriva nei Walking Simulator non può esistere nella sua completezza, perché in quel contesto si parla di non-mondi, di contesti spaziali contenuti. Per di più in giochi come Gone Home si è dominati da un indice narrativo che guida inevitabilmente il giocatore.
    In Zelda invece, la libertà di movimento è totale.
    Il modo migliore per apprezzare l'avventura di Link è girovagare per la sua Hyrule mettendo in pausa l'idea di essere rinati con lo scopo di dover liberare il mondo dalla maledizione di Ganon. Nel momento in cui ci si abbandona alla deriva si scopre il respiro di uno spazio tutto da scoprire. Fin da subito sappiamo dove il percorso si conclude: uscendo dal Sacrario della Rinascita, infatti, sullo sfondo già ci appare il luogo finale delle nostre peregrinazioni, il castello maledetto. La potenza di sapere già dove terminerà il viaggio risiede proprio nella facoltà di cristallizzare il tempo, annullare la necessità di dover completare l'impresa e godersi il gusto del cammino fine a se stesso.
    Abbandonare la trama vuol dire seguire la poetica dell'ambiente e tutto questo può concretizzarsi solo se lo spazio diviene pienamente conquistabile.

    Un esempio pratico è capitata un paio di giorni fa, quando per puro piacere dell'esplorazione ho deciso di andare a nord del Monte Morte, per scoprire il punto più estremo della mappa. Dopo qualche minuto di corsa e di volo in paravela mi ritrovo ad ammirare il profilo scheletro di qualche animale, molto simile ad un drago, tramutato in accampamento da un gruppo di goblin. Una vera e propria delizia per gli occhi, anche perché sotto quell'ammasso di vertebre e scapole di grandezza mastodontica ho trovato uno spadone infuocato. La meraviglia di Hyrule è che nessuno ti dice come arrivare "laggiù" (qualsiasi orizzonte esso sia) se non il disinibito senso dell'esplorazione.

    Affinità e divergenze con Guy Debord

    Una delle figure più importanti del Situazionismo è quella di Guy Debord, filosofo e scrittore francese del secolo scorso.
    Quello che ha scritto sulla psicografia è ancora oggi attuale e applicabile nel campo videoludico. Nel 1956 su Internazionale Situazionista (edito da Nautilus) egli sostiene:
    "Ci si può lasciar andare alla deriva da soli, ma tutto mostra che la suddivisione numerica più fruttuosa consiste nella formazione di parecchi piccoli gruppi di due o tre persone giunte ad una stessa presa di coscienza, poiché il confronto tra le impressioni di questi differenti gruppi deve consentire di arrivare a delle conclusioni oggettive".
    In Zelda siamo soli e non esiste nessuna possibilità di viaggiare in compagnia, ma quanta è la soddisfazione di parlare di Hyrule con altri avventurieri al di fuori del gioco stesso? Diventa quasi un'esigenza mentale quella di poter raccontare ad altri i propri percorsi: una presa di coscienza, per l'appunto.
    "La durata media di una deriva è di una giornata, considerata come l'intervallo di tempo compreso tra due periodi di sonno. I punti di partenza e di arrivo, nel tempo, in rapporto al giorno solare sono indifferenti, tuttavia bisogna notare che in genere le ultime ore della notte sono poco adatte alla deriva."
    E anche qui i giocatori di Breath of the Wild possono capire cosa significhi esplorare di notte piuttosto che di giorno. Come nelle parole di Debord, il viaggio notturno è fisiologicamente sconsigliato, a causa delle numerose e fastidiose apparizioni di creature non-morte e pipistrelli elettrici. Nelle ore più buie veniamo assaliti dalla tentazione di salire su di un cucuzzolo e accenderci un fuoco rilassante con una pietra focaia, per poi aspettare le prime luci dell'alba, magari abbandonandoci ad un bel sonnellino ristoratore.

    "L'influenza sulla deriva delle variazioni climatiche, benché reale, non è determinante se non nel caso di piogge prolungate, che la impediscono quasi del tutto. Ma i temporali o altri generi di precipitazioni le sono piuttosto propizie".
    E anche qui Breath of the Wild stupisce, inculcando nel giocatore un rapporto di odio e amore con il fattore metereologico. Il mondo è tanto bello e affascinante nelle giornate di sole, quanto odioso e infausto nei momenti in cui predominano piogge sempre incessanti. Come nella psicogeografia, i temporali interrompono il nostro viaggio: non siamo obbligati a fermarci, ma il tutto diviene meno godibile, soprattutto se giriamo con un equipaggiamento a base di metallo.
    "L'esplorazione di un campo spaziale prefissato presuppone, dunque, l'aver stabilito delle basi e l'aver calcolato le direzioni di penetrazione. E qui che interviene lo studio delle mappe, siano esse normali o ecologiche o psicogeografiche, la loro rettifica ed il loro miglioramento".
    La mappa in Zelda è tutta da scoprire, e per farlo si possono seguire due approcci diversi: il primo è quello di concentrarsi sulla trama; il secondo è quello di farsi guidare dall'ambiente, attivare la prima Torre vista ed esplorare ogni luogo che possa sembrarci interessante.
    Girovagando per Youtube ho scoperto che già qualcuno ha notato l'evidente possibilità di applicare la metodologia psicogeografica in Breath of the Wild. Lo youtuber Gekigemu addirittura ne fa una videorecensione in pieno stile: se vi interessa la questione, è un video che vi consigliamo fortemente.
    Sul rapporto Psicogeografia e Videogiochi si potrebbe dire tanto, ma lo scopo di questo articolo era quello di suggerire qualche indizio che aiuti ad inquadrare l'origine della "meraviglia" trasmessa dall'ultimo capolavoro della Grande N. Se ci sembra di provare qualcosa di magico, giocando a Zelda, tutto sommato se ne possono dare delle spiegazioni sociologiche molto significative.

    Così come oggi la nostra generazione non dimentica il nodo emotivo del primo amore videoludico, che sia stato un Super Mario o uno Zelda, sarebbe bello sapere che qualche ragazzino fra vent'anni si ricorderà di quando si è innamorato dei videogiochi passeggiando per quel continente martoriato dal tempo che l'Hyrule di Breath of the Wild. O, male che va, ce ne ricorderemo noi.

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