Uncharted 4 - Essere Nathan Drake

Sotto di me c'è un abisso spaventoso. Circondato da un panorama di ruderi, la natura dall'indifferente e crudele bellezza mi sconvolge

Uncharted 4 - Essere Nathan Drake
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  • PS4
  • PS4 Pro
  • Nota: L'articolo discute di elementi narrativi importanti (anche se molti dettagli sono generalmente risaputi), e quindi non è consigliata la lettura a chi non voglia incappare in spoiler di alcun tipo.
    Sotto di me c'è un abisso spaventoso. Circondato da un panorama di ruderi, la natura dall'indifferente e crudele bellezza mi sconvolge, quanto il vuoto verso cui vuole trascinarmi la gravità. Devo lanciare il rampino per superare quel nulla vertiginoso e ho paura. Ma non è il timore per un eventuale "game over" da caduta, dal momento che mi ritroverei, in pochi secondi, pronto per ritentare il salto; né temo l'ignoto oltre le rocce a strapiombo, che potrebbe celare un avamposto di cecchini nemici. La mia paura è (se la analizzo con freddezza per quanto possa essere possibile) sciocca ai limiti della follia; mi chiedo: "ma se morissi adesso, precipitando verso gli scogli che forano la superficie del mare, che cosa direbbe Elena? Cosa penserebbe di me e della mia menzogna"? E le ipotesi formulate da queste domande mi spingono proseguire. Solo successivamente, quando spengo la console, rifletto sulla portata della mia reazione, sul suo significato per ciò che concerne l'immedesimazione in un ruolo. E' l'umanità di Nathan Drake che interagisce con la mia di giocatore, formando un insieme emozionale di rara intensità. Com'è possibile che questo simulacro elettronico sia penetrato così a fondo nella mia coscienza da indurmi a pensare come potrebbe pensare "lui"? E' successo qualcosa, prima.

    L'eroismo della rinuncia

    E' nella solitudine della sua soffitta, dopo avere ammirato con nostalgia i cimeli recuperati durante le imprese ormai remote, che Nathan Drake dimostra il suo eroismo come mai prima. Proprio nel momento in cui sente il richiamo della moglie e decide di discendere dal personale antro dei ricordi, per tornare all'autoimposta "normalità" della sua vita nuova. Il coraggio di Nathan mi ricorda quello del vecchio Bilbo Baggins dopo la celebrazione del suo centoundicesimo compleanno, quando rinuncia all'anello e si avvia sereno nella notte, verso un futuro in cui egli avrebbe potuto "vivere felice e contento per il resto dei suoi giorni". Ma il ricordo dell'anello permarrà doloroso nell'anima dell'hobbit, così come in Nathan si agita il fantasma dell'avventura, a cui ha rinunciato per il quieto vivere amoroso e domestico. L'accettazione della normalità è l'impresa più epica che l'indomito avventuriero abbia mai compiuto perché, lo percepiamo, qualcosa dal suo passato lo richiama tentando di corrompere la sua alta abnegazione, tentando con violenza di riportarlo indietro. E Nathan, alcolizzato di emozioni forti, cederà ancora una volta al suo travolgente vizio. Per fortuna: perché altrimenti non ci sarebbe stata questa meravigliosa ultima avventura. Eppure l'eroe risulta sconfitto in partenza poiché perde la più grande sfida che la vita gli ha posto, quella di restare se stesso in una quotidianità che gli nega l'antica ebbrezza dell'impresa disperata e impossibile. Forse anche Ulisse, dopo la strage dei Proci e la ritrovata tranquillità di Itaca, provò le stesse emozioni contrastanti di Nathan mentre dormiva a fianco di Penelope; e anche lui risultò infine inevitabilmente sconfitto, imbarcandosi ancora una volta per un viaggio definitivo, come ci ha raccontato Dante nella sua Commedia. E' questo essere perdenti a priori che alimenta l'epica del quarto Uncharted, l'urgenza di soccombere al proprio desiderio fino ad inventare una squallida e improbabile bugia. Identificarsi in Nathan, per la prima volta così umano, favorisce nel giocatore un senso di colpa empatico nei confronti di Elena, che rende l'impresa tormentata anche durante i momenti di scoperta più esaltanti. L'ombra del dubbio scivola così nella psiche di chi gioca, da sempre sospeso tra la grandiosità fittizia dell'epopea videoludica e la realtà quotidiana, e sorge una domanda spaventosa davanti allo schermo: "un giorno anche io smetterò di videogiocare, di vivere nell'altrove elettronico l'emozione di una grande impresa, per esistere appieno nel vero di tutti i giorni?". Perché il videogioco è una vita, un'altra magnifica esistenza che può entrare in conflitto con la realtà, e lo sanno bene quelli che come me vagano da decenni in questi favolosi mondi elettronici. Tuttavia i Naughty Dog ci consolano, poiché dopo quasi venti ore di gioco memorabile possiamo perdonare Nathan e giustificare la sua passione averla messa in crisi. Se è vero che c'è uno smisurato eroismo nella rinuncia ce n'è anche, sebbene sia di una qualità diversa, nell'accettazione di noi stessi e di ciò che davvero amiamo. La quarta (o quinta se consideriamo Golden Abyss) avventura di Nathan va quindi considerata un viaggio rivelatore, un'impresa alla scoperta del proprio essere di videogiocatore attraverso.

    Quest'inedita profondità in una serie così scanzonata è il vero miracolo del racconto interattivo operato da Naughty Dog. Uncharted 4 mi appare assai più letterario, nella maniera di Conrad, che assimilabile alla cinematografia avventurosa, a causa di un sottotesto con una complessità comparabile a quella di The Last of Us malgrado la minore gravità di tono e per il rapporto meno profondo con la coscienza di chi lo esperisce. Una riflessione sull'attività straordinaria del videogiocare, e su quanto questa influenzi il nostro tempo e le nostre emozioni.

    Il realismo dell'assoluta irrealtà

    C'è un'altra sequenza, nello stesso capitolo della scena ambientata in soffitta, che ragiona in maniera molto diretta sulla rappresentazione videoludica avventurosa. Mi spiacerebbe citarlo se questo segmento non fosse ormai arcinoto. Si tratta della sequenza durante la quale Nathan prova Crash Bandicoot e noi lo giochiamo tramite le sue mani. Non è una citazione autoreferenziale fine a sé stessa, perché è il ponte che orienta di nuovo il giocatore verso la dimensione squisitamente ludica di quest'opera. Dopo i momenti intimisti e domestici tra Elena e Nathan, il frammento di Crash ci fa quasi meditare: cosa fa di così diverso Nathan dalle azioni del "cagnaccio" che salta per superare mortali abissi in uno scenario di ruderi apparentemente sud-americani, ed evita trabocchetti correndo a perdifiato?

    Così Naughty Dog ribadisce l'idea che il suo prodotto sia prima di tutto un videogame, e non un surrogato interattivo del cinema, come in tanti hanno dichiarato. Tutti gli aspetti della giocabilità di Uncharted 4 che potrebbero sembrare finti, ingannevoli o fuorvianti acquistano invece un senso grazie alla "finzione totale" di un videogioco che non intende essere simulazione. Immaginate se Indiana Jones avesse trovato barili di benzina comodamente posizionati nei pressi di ostacoli da abbattere; il pubblico si sarebbe indignato e allontanato incredulo dalla sala. In Uncharted 4 invece i barili e altri artifici simili risultano del tutto giustificati, perché fanno parte di un canone culturalmente accettato: che poi è quello - specifico - del videogame. Lo stesso discorso vale per le ferite subite da Nathan e il numero iperbolico di nemici eliminati (che neanche Commando), che renderebbero i personaggi principali, in un altro contesto mediatico, autori di stragi di massa. Il fatto che questi elementi funzionino, che siano accettati e accettabili in un contesto narrativo come quello di Uncharted 4, dimostra in maniera lampante quanto specifico e diverso e unico sia il videogame rispetto alle altre forme del racconto. Ovviamente, se questi elementi così esplicitamente ludici non fossero miscelati ad arte con lo svolgimento della trama, questa perderebbe ogni pretesa di umanità e risulterebbe frammentata e troppo diluita per emozionare. Se ciò non succede si deve ad una magistrale operazione "alchemica" eseguita sull'insieme del videogame: un'operazione di bilanciamento che riesce ad unire verosimile e fantastico, reale e virtuale: vita e gioco. Tutto parte insomma da quel segmento di Crash, testimone dell'artificio e insieme dell'universale valore narrativo dei mezzi a disposizione del videogame. In quel momento, Uncharted 4 conferma che il nostro medium ha davvero costruito una lingua nuova della rappresentazione, che utilizza iperboli come la letteratura epica, ma come questa è capace di scivolare, con efficacia estrema, in una credibile e illuminante introspezione psicologica.

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