Videogiochi per l'ambiente: immaginare nuovi mondi per agire sulla realtà

Cambiamento climatico. Deforestazione. Energie rinnovabili e non... se ne parla sempre più spesso anche nei videogiochi.

Videogiochi per l'ambiente: immaginare nuovi mondi per agire sulla realtà
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Cambiamento climatico. Deforestazione. Energie rinnovabili e non: sono alcuni argomenti di cui si parla sempre più spesso, con posizioni molto differenti che spesso si muovono tra negazionismi, disfattismi e, quando già va bene, proposte green piuttosto blande e confuse. Non a caso parleremo anche del cosiddetto greenwashing e del generale pessimismo cinico che accompagna molti discorsi sull'argomento.

Come collocare il medium videoludico all'interno di questo scenario a tinte fosche? È possibile che i videogiochi siano in grado di dare un contributo alla salvaguardia dell'ambiente? In questo articolo verranno lanciati alcuni spunti di riflessione in merito. Prima di arrivare a essi, però, è forse utile porsi un'altra domanda: quando e come i videogiochi parlano di ambiente? Come ovvio, ci sono casi specifici di videogiochi che pongono al centro questo tema e lo affrontano in maniera esplicita e dichiarata.

Soffermarsi solo su di essi sarebbe però alquanto limitante, la solita collezione di prodotti sparsi che si focalizzano su un determinato argomento. Si può tuttavia provare a impostare un approccio più ampio. E, per farlo, vale la pena iniziare dal mondo della ricerca e della critica.

Ecocritica ludica

Sul fronte accademico, infatti, si può ricordare l'apertura dell'ecocritica agli studi sul videogioco. Il termine ecocritica viene dall'inglese ecocriticism (fu coniato da William Rueckert nel 1978, nel suo articolo "Literature and Ecology: An Experiment in Ecocriticism") ed è una corrente di critica letteraria che si occupa di studiare i rapporti tra la letteratura e l'ambiente.

Una bella definizione dell'ecocritica è quella fornita dalla studiosa Serenella Iovino, secondo cui la disciplina ha il compito di: «proporre una lettura delle opere letterarie che possa essere il veicolo di una "educazione a vedere" le tensioni ecologiche del presente» (Ecologia letteraria. Una strategia di sopravvivenza, p. 16).

L'ecocritica è, come intuibile, immediatamente collegabile a certi testi letterari che pongono al centro il rapporto tra umanità e ambiente, oppure al cosiddetto nature writing. Tuttavia, come sottolineava già Scott Slovic nel 2000 (nel suo articolo "Ecocriticism: Containing Multitudes, Practising Doctrine"), in realtà qualsiasi opera letteraria può essere letta tramite un filtro ecocritico, perché essa veicola comunque una certa visione sul nostro rapporto con la natura e l'ambiente.

E non solo la letteratura. L'ASLE (Association for the Study of Literature and the Environment) ha esteso sempre più il suo campo di indagine, abbracciando nel corso degli anni media differenti. Il videogioco non fa eccezione. Ci sono letture ecocritiche di prodotti come Farmville (questo articolo di Alenda Chang del 2012); c'è chi ha analizzato Flower e Shadow of the Colossus (l'articolo "Videogames as Cultural Ecology: Flower and Shadow of the Colossus" di Alexander Lehner) e chi si è invece focalizzato su The Last of Us (Gerald Farca e Charlotte Ladevèze). Vista la nomination, ecco a voi la recensione di Shadow of the Colossus. Al fianco delle analisi su specifici videogiochi, inoltre, non mancano studi di carattere più generale, che osservano il mondo videoludico nel suo insieme. Anche qui mi limito a citare giusto un paio di esempi, come l'articolo "Pixelated nature: ecocriticism, animals, moral consideration, and degrowth in videogames" di Victor Navarro-Remesal o "Within the Mainstream: An Ecocritical Framework for Digital Game History" di Hans-Joachim Backe.

Come per i libri, anche nei videogiochi ci sono casi in cui il rapporto con l'ambiente è esplicitamente tematizzato e altri in cui è meno immediato, ma non per questo non rintracciabile. Il tema è evidentissimo, per esempio, in Horizon Zero Dawn: sono sufficienti un paio di immagini per cogliere il binomio di vicinanza e contrasto tra tecnologia e natura (avete letto la nostra recensione di Horizon Zero Dawn?). Allo stesso modo è palese quanto sia centrale il rapportarsi con l'ambiente in un videogioco come Walden, a game.

Ma se prendessimo un prodotto come NieR: Automata? Qui la storia non ci parla di natura e ambiente, ma anche solo il paesaggio ha moltissimo da raccontarci a riguardo. E Animal Crossing? Quante riflessioni si potrebbero fare sulle possibilità che abbiamo - e sono molto differenti, nei vari giochi della serie - di agire sull'ambiente circostante? Nel frattempo, ecco la nostra recensione di Animal Crossing New Horizons.

Dal pensiero all'azione

Fin qui siamo sul piano della riflessione e del pensiero, che non è comunque una componente da sottovalutare: analizzare un videogioco con questa prospettiva può aprirne molte altre. Il pensiero, tuttavia, in molti casi non è sufficiente. È necessario poter produrre uno sforzo attivo. Anche su questo fronte non sono mancati casi significativi. Un esempio è To The Last Tree Standing, realizzato da Ogilvy Poland per Greenpeace.

Il progetto ha il compito di portare all'attenzione del pubblico una questione: la tutela della foresta vergine di Bialowieza, di oltre 870 chilometri quadrati, che rappresenta l'ultima traccia dell'immensa foresta che un tempo ricopriva gran parte dell'Europa. Come attirare l'attenzione della Generazione Z (i nati tra il 1995 e il 2010) sulla preservazione di questo polmone verde europeo? Attraverso una ricostruzione in scala 1:1 della foresta di Bialowieza all'interno di Minecraft.

L'impatto di questa operazione di consapevolezza videoludica è stato dettagliatamente analizzato nella tesi che, lo scorso anno, ha vinto il primo premio dell'Archivio Videoludico della Cineteca di Bologna, che ogni anno incorona i migliori lavori di ricerca sui videogiochi. Pertanto, se questa ricostruzione di una foresta in Minecraft vi incuriosisce, potete leggere la tesi di sociologia di Gaia Amadori, che ha analizzato un ampio numero di post e commenti legati al progetto, oltre a intervistare le persone che lo hanno ideato e realizzato [nota di trasparenza: sono stato il correlatore di questa tesi].

Videogiochi per "cambiare il mondo"?

I videogiochi hanno l'effettiva capacità di insegnarci qualcosa, di renderci più consapevoli e di spingerci a fare (o a non fare) una determinata cosa. Un discorso completo sull'argomento sarebbe ovviamente molto ampio e accademico, ma si possono segnalare almeno un paio di spunti. Qualche anno fa è stato pubblicato il libro Reality Is Broken: Why Games Make Us Better and How They Can Change the World di Jane McGonigal.

Segnalo che esiste anche una traduzione italiana (La realtà in gioco. Perché i giochi ci rendono migliori e come possono cambiare il mondo, Apogeo 2011), per coloro che masticano poco l'inglese. È un libro che ha suscitato anche alcune critiche, perché propone una visione a detta di alcuni fin troppo positiva e senza problemi, ma il concetto di base che ci propone ha certamente il suo senso.

L'autrice ci dice che i (video)giochi possono migliorare in vario modo il nostro approccio a certi aspetti della vita, per esempio trovando maggiori soddisfazioni sul lavoro o imparando a cooperare meglio. E, se hanno effettivamente anche questo potere, potrebbero anche essere in grado di «cambiare il mondo», come recita il titolo. Quando giochiamo ai videogiochi noi ci sentiamo - se l'esperienza è ben strutturata - ingaggiati, catturati, siamo totalmente immersi in un "flusso" in cui ci dimentichiamo di tutto il resto e ci focalizziamo solo su quell'esperienza videoludica.

Ho semplificato qui la nota teoria del flow di Mihály Csíkszentmihályi, che riguarda un'esperienza riscontrabile in molti ambiti (si può essere nel flow anche mentre si studia, per dire), ma quando si sta (video)giocando è più facile che un simile stato vada ad attivarsi. Ed è la condizione ottimale per poter imparare qualcosa, per acquisire consapevolezza su un argomento, proprio perché in quel momento le nostre energie mentali sono totalmente incanalate su quell'attività. Ci sono quindi almeno due potenziali effetti che possiamo ricavarne, per «cambiare il mondo».

Il primo è immaginare di coinvolgere sempre più persone nella tutela dell'ambiente attraverso videogiochi che tematizzino esplicitamente l'ecologia la tutela del territorio e così via; il secondo è quello di imparare lezioni dai videogiochi. Jane McGonigal porta l'esempio degli strategici e dei god games, come Civilization. Il punto non è quello di usarli come modelli per risolvere problemi reali, perché sono ovviamente troppo semplificati rispetto alla complessità del nostro mondo.

Il loro effetto, piuttosto, riguarda la possibilità di modificare il modo con cui i giocatori pensano, a proposito del mondo e della loro possibilità di intervenire su di esso per cambiarlo. Questo è un punto estremamente importante, perché è ciò che maggiormente manca oggi, anche in numerosi movimenti che pur si battono per la tutela dell'ambiente. Si tende infatti ad avere un approccio cinico ai problemi (non solo ambientali, in realtà, ma restiamo su di essi). In certi casi prevale il semplice disfattismo, con l'idea che è inutile agire, perché tanto «è tutto inutile», perché «è già troppo tardi», perché «è meglio se ci estinguiamo», perché «a che serve se non uso la cannuccia di plastica, se poi la multinazionale X fa questo e quello?» e avanti così. Poi c'è il passaggio superiore, in cui si riconosce che una certa pratica è nociva per l'ambiente e ci si attiva per bloccarla, senza però avere il desiderio e il coraggio di proporre una soluzione che possa essere effettivamente differente.

Greenwashing

Forse vi sarà capitato di sentire il termine greenwashing, riferito a tutte quelle pratiche in cui si va a dare una riverniciatina in chiave "eco", "green", "bio" o simili a qualcosa che rimane poi quasi identico a prima, e lo si fa solamente per mantenere un pubblico o per acquisirne di nuovo. È un modo un po' cinico per scrollarsi di dosso un po' di potenziali critiche senza però immaginare nulla di nuovo. Non che siano per forza delle iniziative sbagliate, attenzione, in certi casi possono anche portare a un effettivo miglioramento, ma non si va (quasi) mai a immaginare una reale svolta in una pratica o in una attività.

E se il greenwashing è un qualcosa che cala dall'alto, da multinazionali e aziende, anche i movimenti dal basso degli attivisti soffrono spesso di cinismo: possono denunciare a gran voce una certa pratica, possono proporne una alternativa un po' più green, ma raramente formulano un reale cambio di paradigma. Proprio perché prevalgono rabbia, sconforto e senso di impotenza. Ecco perché potremmo aver bisogno dei videogiochi.

Perché in molti prodotti ludici noi abbiamo un ampio potere di azione sul mondo che ci circonda. Che quel mondo sia gestito come il nostro oppure no conta fino a un certo punto. Ciò che è davvero importante è che ci offrono la possibilità di ideare qualcosa di differente e di metterlo in atto; ci ricordano che noi abbiamo la capacità di agire, di metterci in gioco, per cambiare ciò che ci circonda. I videogiochi come possibile cura per il cinismo ecologico della contemporaneità, insomma.

Le tipologie di videogiochi più adatte

Detto questo, sarebbe anche interessante ragionare su quali siano le tipologie di videogiochi che meglio sembrano prestarsi a tutto ciò. Sicuramente, fra di loro, ci sono le varie forme di gestionali, strategici, god games e simili già citati da Jane McGonigal, a proposito della loro capacità di offrirci nuove prospettive sull'immaginare mondi differenti e sulla possibilità di intervenire su di essi.

Age of Empires II

Universe at War

Io stesso, qualche anno fa, scrissi un articolo accademico (ne «L'analisi linguistica e letteraria») in cui parlavo dell'immagine della natura in tre videogiochi strategici: uno ad ambientazione storica (Age of Empires II), uno fantascientifico (Universe at War) e uno fantasy (Il Signore degli Anelli: La Battaglia per la Terra di Mezzo 2).

Rimando alla lettura completa per chi fosse interessato, ma giusto per riportare qualche banale caso, è interessante osservare la correlazione tra maggiore/minore potenziale economico di una fazione e il suo maggiore/minore impatto sull'ambiente. Oppure riflettere sulla finitezza delle risorse in determinati contesti, e altro ancora. Lo riporto come esempio del discorso proprio perché contiene dei casi già molto meno immediati rispetto a un Civilization o ad altri gestionali in cui bisogna proprio gestire una civiltà (e talvolta anche un ambiente, con poteri divini).

Anche in videogiochi bellici come questi, in cui tutto è finalizzato al combattimento con le fazioni rivali e l'impatto sull'ambiente è un qualcosa che rimane sullo sfondo, si possono comunque imparare tante lezioni. Ed è giusto esplorare sempre più direzioni similari, perché - ovviamente - i prodotti che parlano esplicitamente del rapporto con la natura, o quelli che ci rendono effettivi artefici di nuovi mondi vanno benissimo, ma fermarsi solo a essi sarebbe limitante, per diverse ragioni.

Per riprendere quanto detto in precedenza, ogni videogioco può rappresentare un potenziale esercizio di ecocritica e, pertanto, una occasione per acquisire maggior consapevolezza sull'ambiente, e su come potremmo fare per preservarlo al meglio, vincendo la stasi del cinismo.