Videogiochi e Dintorni: Monster Hunter World, animalismo e il caso Forbes

Partiamo da un articolo pubblicato su Forbes per riflettere sulle emozioni contrastanti che Monster Hunter World suscita negli utenti più sensibili.

Videogiochi e Dintorni: Monster Hunter World, animalismo e il caso Forbes
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Il 30 Gennaio di quest'anno, sulle pagine della famosa rivista Forbes, Mitch Wallace ha scritto un articolo d'opinione relativo al modo in cui la nuova iterazione del brand Monster Hunter da parte di Capcom gli susciti certe riflessione e scateni specifiche emozioni, riguardanti soprattutto il discutibile trattamento inferto agli animali all'interno del gioco. In reazione alla pubblicazione, alcuni hanno sostenuto che i temi portati avanti fossero fuori luogo per svariate ragioni. Vediamo dunque nel concreto cosa emerge dall'articolo di Forbes, e cerchiamo di analizzare le tematiche proposte.

Le critiche poste all'articolo sostengono che:
1) sia viziato da una posizione animalista
2) sfrutti il tema per generare clickbait
3) sia stato realizzato per Monster Hunter ma non per altri titoli simili
4) provenga da chi non ha conoscenza della serie
5) siano complessivamente esagerati, perché si parla pur sempre di un videogioco.

I fatti

Cercando di affrontare in ordine le varie problematiche, possiamo innanzitutto smentire con una certa semplicità il valore delle critiche mosse a Mitch Wallace relative al suo essersi schierato a favore degli animali: come si può leggere dall'articolo, nell'arco della sua "carriera" di videogiocatore, Mitch Wallace ha ucciso, schiacciato ed eliminato decine di nemici, da quelli umani fino a quelli totalmente immaginari, passando dunque anche per il regno animale.

Il problema sollevato dall'autore dell'articolo non risiede dunque nel suo essere fazioso, ma nell'aver provato qualcosa di diverso rispetto al solito giocando a Monster Hunter: World, magari proprio per via dell'eccezionale realismo e per la qualità delle animazioni dei mostri, dei loro schemi di comportamento. Il paradosso sembra dunque essere che, al di là del dilemma morale, quello relativo alla straordinaria qualità dell'ecosistema di Monster Hunter: World potrebbe essere quasi un pregio, suggerimento che non è però stato accolto calorosamente da alcuni lettori. Il titolo non sfrutta in alcun modo le tecniche tipiche del clickbait: nel lancio troviamo infatti ciò che possiamo riscontrare all'interno dell'articolo, e il testo del pezzo di Forbes non si contraddice mai con quanto esposto nel titolo. Utilizzando termini come "potrebbe" e "dubbioso", inoltre, l'autore rende chiaro come ciò di cui sta parlando non è un fatto oggettivo, non fornisce un'informazione, ma cerca di instaurare un dialogo, partendo dalla volontà di esporre un'opinione. E' vero che Wallace non ha mai esposto simili riflessioni per altre opere, ma lui stesso afferma che il caso di Monster Hunter: World è alquanto peculiare, nella sua carriera videoludica. Sostenere però che la stampa e i media in generale non siano stati coerenti col coprire con la stessa "calorosità" questo genere di tematiche è errato: dal recente Far Cry 5 fino ai più classici GTA, ogni videogioco è quasi sempre destinato a scatenare qualche polemica, o a spaccare l'opinione del pubblico. Nell'anno appena trascorso, ci si è perfino scontrati sulla schiavitù degli orchi di Shadow of War, ad esempio. Il fatto che l'autore non abbia alcuna conoscenza della serie non sminuisce di una virgola quanto scritto nel pezzo: le idee esposte dal testo non si collegano in alcun modo alla tradizione della serie, non vengono né sminuite né rafforzate da teorici legami con i capitoli passati, ma riguardano solo ed esclusivamente il ruolo della caccia in questo capitolo.

Il tema del videogioco come fuga dalla realtà è decisamente complesso, e sarebbe impossibile affrontarlo in questa sede. L'importante è sottolineare come ogni genere di mezzo comunicativo con cui ci intratteniamo, dalla musica fino al videogioco, ci descrive modi di vedere e vivere il mondo che vanno a unirsi a quelli che il resto della società ci trasmette (famiglia, scuola, lavoro, ecc.), E quindi l'idea che il nostro cervello possa in qualche modo "staccarsi" da ciò che ci circonda, e giocare senza alcun pensiero, è errata. Di conseguenza, domandarsi e interrogarsi su quello che vediamo, leggiamo e giochiamo è non solo legittimo, ma anche doveroso.

L'opinione

Il caso di Mitch Wallace ha avuto una certa risonanza poiché proveniente da una fonte autorevole e da una realtà editoriale particolarmente famosa, ma non è stato l'unico: a partire dagli amici che lo stanno giocando per arrivare ad altri colleghi della stampa italiana, in molti trovano difficile uccidere e massacrare i vari mostri del gioco.

Sarà capitato anche a voi, probabilmente, di provare per un momento empatia nei confronti di qualche creatura, umana, animale o fantastica, nel corso delle vostre avventure. Il fatto che capiti in determinati casi significa semplicemente che alcuni elementi del gioco tendono a toccare le vostre corde emotive con più facilità rispetto ad altri. Ciò però non significa che ogni gioco sia in grado di stimolare chiunque, indifferentemente: ci sono specifiche caratteristiche, a partire dalle musiche e dall'estetica, che possono essere identificate generalmente come più valide, capaci, insomma, di catturare il cuore del giocatore. Le opere più immersive tendono ad esempio a ripulire l'HUD di gioco, per avvicinare il più possibile ciò che stiamo vedendo alla nostra realtà. Non mancano poi, ovviamente, elementi di realismo che possono farci sentire più coinvolti, e in questo caso di certo Monster Hunter fa un gran lavoro: tra un mostro zoppicante e urlante di dolore e un qualsiasi goomba di Super Mario, insomma, c'è davvero tanta, tanta differenza.
Si tratta, fondamentalmente, di una questione di realismo e credibilità: e questa è forse la prospettiva più importante da adottare per quanto concerne il caso specifico che stiamo trattando. Innanzitutto, gli animali, nel videogiochi, sono generalmente più credibili e quindi "commoventi" degli umani: essendo ancora ben distanti dal riuscire a ricreare donne e uomini in grado di rispondere in maniera intelligente e totalmente reattiva (Ellie, Elizabeth, ecc.), ci troveremo sempre dinanzi a qualche momento interattivo in cui ci sentiamo distanti dalla figura alla quale ci stiamo accompagnando. Senza dover per forza scomodare The Last Guardian, nel caso degli animali si può ovviamente soprassedere dinanzi a tutta una serie di fattori (dialoghi, intelligenza, complessità della relazione) che rendono più facile "credere" alla figura che si trova al nostro fianco.

Si consideri inoltre che la quasi totalità delle bestie presenti nel titolo Capcom richiama in un modo o nell'altro insetti, rettili o volatili, come la fantascienza e il fantasy hanno insegnato nel corso della storia: è per noi molto meno facile empatizzare con creature così distanti dai nostri canoni standard d'immagine. È dunque probabile che l'eccezionale unione tra animazioni fenomenali, resa visiva e brutalità estrema abbia portato alcuni giocatori a sentirsi particolarmente coinvolti dalle pur divertenti carneficine del nuovo titolo Capcom. Questo significa che il gioco non è riuscito fino in fondo? No. Questo significa che chi lo gioca sia equiparabile a un cacciatore? No. Questo significa semplicemente che il pubblico di videogiocatori è molto variegato: anche questa volta, quella che sembra una minoranza ha fatto sentire la sua voce, affermando semplicemente di ritenere legittimo discutere di certi argomenti relativi al mondo videoludico e alla nuova fatica di Capcom. Dunque, parliamone: a me, ad esempio, le creature di Monster Hunter: World inducono un forte sentimento di pietà. E a voi?