Videogiochi: giocare per vivere, e non vivere per giocare

Un viaggio sensoriale attraverso la storia dei videogiochi, dall'odore della plastica delle cartucce alle suggestioni evocate da un tramonto digitale.

Videogiochi: giocare per vivere, e non vivere per giocare
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Le cartucce profumavano di una bontà che solo un appassionato di videogiochi poteva davvero apprezzare. La loro plastica, durante l'uso, si scaldava a sufficienza per rilasciare, una volta estratte dalla console, un aroma "plastico/metallico" così familiare e unico, che si poteva oltre che sniffare anche "risucchiare", come imparammo quando le cartucce più vecchie iniziarono a riempirsi di polvere all'interno, e fummo costretti a inventarci un modo veloce e performante per pulirle. Il sapore di Crystal Castle per Atari 2600 era particolarmente delizioso, anche se I Puffi per Colecovision non era da meno. Le cassette dei primi home computer erano totalmente inodore, ma il polistirolo di quarta categoria delle "piratatissime" collection vendute in edicola poteva contare su una consistenza che creava una dipendenza impossibile da dimenticare.
Anche i floppy dell'Amiga, presi singolarmente, non trasmettevano grandi sensazioni sinestetiche, eppure, in gran numero, specialmente quando venivano stipati all'interno degli immancabili raccoglitori in plastica nera che tutti sembravano possedere, creavano una fragranza che nei miei ricordi sa di Monkey Island e Speedball II. Nemmeno i Cd-rom potevano offrire le stesse sensazioni delle cartuccione di un tempo, ma le serigrafie dei primi giochi erano coloratissime e per questo anche loro emanavano effluvi petroliferi alquanto interessanti, soprattutto se ascoltavi Angel's Egg dei Gong in sottofondo.
E poi l'interno delle scatole di cartone che facevano da scrigni ai videogiochi degli anni '90: chi non ci ha infilato mai il naso dentro per una lunga boccata? Sensazioni comuni a tutti gli amanti dei videogiochi, a cui si affiancano ricordi di miscele personali proprio come quella che tuttora permane nel box metallico del mio Quake III Arena, dove un milione di anni fa nascosi ciò che andava nascosto. Ma come si fa, dico io, a rimanere indifferenti a contatto con il tipico profumo che impregna la stanza quando c'è un computer appena assemblato nei paraggi?
Viene subito voglia di sniffarlo a dovere, prima ancora che caricare un gioco.

Sinestetica Passione

Quando si vive a strettissimo contatto con la propria passione questa diventerà prima o poi parte di te, e nei ricordi si fonderà insieme ai bagliori di un'intera esistenza. È per questo che Zelda, per me, sarà sempre quel profumo per ambienti che mia madre utilizzava per casa mentre giocavo ad Ocarina of Time, che la colonna sonora del primo inimitabile Syndicate è composta in parte da All That She Wants degli Ace of Base, che Theme Park è anche e soprattutto il mio patrigno che butta un occhio in camera per vedere cosa sto combinando. Stunt Island? La mia bisnonna e la Stazione Termini dove andai a cambiare 100 Dollari trovati in casa per ridarle i soldi. Sapori, profumi, luoghi e non luoghi, come la Uno di Attilio con dentro F1 Grand Prix 2, volante e pedaliera nuovo di zecca e una copia di Fermo Posta di Tinto Brass. I videogiochi possono anche inquadrare intere stagioni, come l'estate in cui i New Order portarono Regret al Festivalbar e si giocava a Day of The Tentacle, o ancora meglio: l'estate totalmente priva di orari di Interstate '76, per un viaggio senza vento tra vita virtuale e reale che tanto ha contribuito a dare forma al mio io, permettendomi di creare la persona che sono oggi. E poi l'amore che a volte rovinava tutto. Ecco The Dolphin per Dreamcast mi trasmette ancora ansia, o rendeva tutto più piacevole, proprio come fare l'amore mentre si fa un doppio a Super Puzzle Fighter II Turbo. Il primo Metal Gear? Odore di camino, della sua pelle e dei suoi collant, proprio come Super Monkey Ball e l'olezzzo di sigarette e nebbia artificiale tra i capelli ricci, lunghissimi, di una donna cometa. A Shenmue va invece il merito di avermi in qualche modo purificato, levando via il dolore come anche ogni mia certezza.

I videogiochi hanno la forza di intrecciare le percezioni tra di loro, di incastrarsi nei ricordi diventandone parte integrante. A differenza di un film che dura poche ore, un singolo titolo può farti compagnia per talmente tante settimane da riuscire a caratterizzare in modo indelebile il tempo, infilandosi in ogni rivolo della vita, che poi è la stessa forza della musica che con i suoi peggiori tormentoni copre intere stagioni.

Nerd ci sarai

Una Pangea di percezioni in cui anche le emozioni sono colorate, in cui tutto è confortevole, ma che è possibile costruire in un unico modo: vivendo "anche con i videogiochi", e non "soltanto con i videogiochi".

È dura staccarsi da quel JRPG strappalacrime quando si è inciampati tre volte di seguito nella vita reale, lo capisco, ed è dura non reiterare il "tentativo di fuga" con un videogioco dietro l'altro, ma così facendo c'è il rischio di rinunciare a tutto il resto. Fatevelo dire da chi a volte c'è cascato: non ne vale davvero la pena. Non fate come chi, ascoltando i Pink Floyd, non si è più alzato da quel tappeto che dà un tono all'ambiente, come chi si è perso tra le maglie sempre più strette della propria mente, e agite. Sarà dura finire The Witcher 3 mentre preparate l'esame di statistica o di diritto privato, come lo sarà cercare di organizzare una battuta di caccia a Monster Hunter con gli amici mentre si è intenti a mettere in piedi una carriera, a raggiungere quelle labbra, o a tenere a bada i figli. Eppure, solo così i videogiochi potranno rappresentare il bello della nostra vita, che è proprio ciò che si meritano e ci meritiamo. Non soltanto, quindi, uno splendido paradiso artificiale che ci impedisce di vivere appieno un'esistenza che non presenta nessun "continue", ma un solo strafottutto "game over". Davanti a noi abbiamo un anno che videoludicamente promette faville: sfreghiamoci le mani e proviamo ad affiancare ai ricordi che ci fornirà il nostro amato passatempo quelli che sapremo costruirci da noi, vincendo e perdendo, piangendo e ridendo. Siete pronti a "giocare"? E allora press play on tape: pronti, partenza e via!