Quella odierna è stata la seconda ed ultima giornata a Montréal. Mentre stiamo sorvolando il Quebec in direzione Toronto, sentiamo la nostalgia di una città che avremmo volentieri esplorato più a fondo. Allo stesso tempo è l'entusiasmo per quella che siamo sicuri sarà una nuova avventura a tenerci svegli, a dispetto del jetlag che ancora ci tormenta in maniera prepotente. La giornata appena trascorsa è stata leggermente meno "vibrante" ed intensa per certi versi, ma ci ha dato senza dubbio un'ulteriore prospettiva sull'industry in Quebec. Solo quattro gli impegni odierni, complice un buco nella schedule all'ultimo minuto. Al mattino, dopo una "passeggiata sul ghiaccio", abbiamo incontrato i ragazzi di Game On Audio; a pranzo siamo stati gentilmente ospitati da Minority Media - un fantastico dev team indipendente. Nel pomeriggio abbiamo avuto modo di visitare Ubisoft e Eidos, rendendoci conto di molte differenze. Ancora una volta vogliamo ricordarvi che il focus di questo tour è quasi del tutto estraneo ai singoli prodotti, come gli stessi interpreti non mancano di ricordarci. "Niente Assassin's Creed 4 e niente Thief" è sicuramente le frase più amare della giornata. Ma qui su Everyeye.it ci sarà tempo anche per loro.
Il videogioco come espressione di se stessi
La prima tappa, nella mattinata, è Game Audio. Si tratta di una piccola compagnia di sedici impiegati, focalizzata su un aspetto molto molto particolare: il Full Perfrormance Capture. Quella in cui ci accolgono è la loro "volume capture", ovvero la struttura dove realizzano questo servizio per moltissimi videogiochi tripla A. Negli ultimi undici anni (ovvero dall'apertura) hanno servito ben centoquaranta clienti tra realizzazione dell'audio, doppiaggio e capture. Tra questi spicca Assassin's Creed. Parlandoci della struttura -un'enorme stanza dal pavimento ricoperto da una moquette blu e con pareti puntellate da cinquanta telecamere- ci fanno notare qualche recente upgrade tecnico. Si tratta perlopiù di miglioramenti software (nel "retro" della struttura una decina di MacPro pesantemente equipaggiati si occupa della computazione) che, stando a quanto ci dice il CEO e fondatore Samuel Girardin, gli consentono di essere pronti per la prossima generazione di console. Sulla quale stanno già lavorando, seguendo il Full Motion Capture per Thief. Il gioco, come possiamo immaginare, punterà dunque ad un realismo senza compromessi, considerando che grazie alle tecnologie più recenti Game On è in grado tenere traccia persino del movimento delle dita.
Riguardo al motion capture, senza scendere nei virtuosismi tecnici, non è possibile aggiungere molto altro. E così i ragazzi di Game On ci mettono a disposizione uno dei loro "attori" ed una telecamera virtuale per "giocare un po'". La possibilità di catturare movimenti, espressioni e audio in tempo reale è senza dubbio fantastica, ma solo tenendo in mano uno di questi aggeggi ci accorgiamo di quale libertà possa essere dotato un regista in ambiente 3D. La cosiddetta pre-visualizzazione consente di muovere l'inquadratura nello spazio, riprendendo la scena da qualsiasi punto. Comodità unita a flessibilità. L'esperienza è di quelle che "fanno colore" senza aggiungere più di tanto al nostro bagaglio culturale, ma dandoci senz'altro un interessante sneak peak su quello che effettivamente è il lavoro attorno al motion capture - e quanto può essere fondamentale.
Sensazioni diametralmente opposte ci restano invece dopo la visita nel piccolo ufficio di Minority Media, dove veniamo accolti come vecchi amici assenti da troppo tempo. I simpatici quindici membri del dev team ci ricevono con calore inusuale, chiedendoci di fare qualche foto tutti assieme e mostrandoci con orgoglio un open space modesto, dove posso stare a stretto contatto tra loro per scambiarsi continuamente le idee. Uno scambio molto prolifico, come dimostrano i numerosi premi vinti da Papo & Yo, il loro titolo di punta da tempo disponibile su Playstation Network.
Tutto parte dal fondatore e Creative Director di Minority Media -Vander Caballero- che, come diversi altri appartenenti al team, è "cresciuto" tra Ubisoft ed Electronic Arts, sviluppando a Montréal titoli del calibro di Army of Two e Splinter Cell. Poi è accaduto qualcosa di strano. Nonostante il successo (e i soldi), questi ragazzi si erano annoiati: stufi di un'industria capace di veicolare poche emozioni; logori dal giogo delle grandi software house e dalla loro totale sudditanza rispetto al marketing. Così hanno pensato di diventare indipendenti, e con l'aiuto di Revolution (uno studio di film making) sono riusciti a raccontare la storia che volevano. Ed è qualcosa di toccante, inusuale ed a suo modo affascinante nel Mondo dei videogiochi. E' la storia di un ragazzino (Kiko) della favela e dei suoi compagni di viaggio, in quello che è un puzzle platform molto molto particolare ed interattivo. Un piccolo robot-giocattolo ed un gigantesco rinoceronte chiamato Monster seguono sempre il protagonista, ma quando il mostro -ghiotto di rane- ne mangia una, cade in preda ad una violenza incontrollata. Il protagonista deve quindi scappare, quantomeno fino a trovare la sostanza magica che calma momentaneamente il mostro, con il quale nei momenti di normalità ha un rapporto molto intimo. Un'avventura dalle molteplici sfaccettature, colorata e senza troppo da invidiare alle produzioni di fascia media.
A coglierci veramente alla sprovvista e commuoverci è il significato dietro ai simboli di questa strana storia: si tratta del racconto dell'esperienza personale (e reale) di Vander rispetto all'alcolismo del padre. Un macigno che porta dentro sin dall'infanzia e che si è tolto dal cuore solo grazie alla terapia ed allo sfogo creativo espresso in Papo & Yo. Riguardare quelle immagini con gli occhi della consapevolezza è impressionante. Il ragazzino fugge impotente dal mostro ormai accecato dalla usa dipendenza; può sfruttare l'ambiente per nascondersi e ritagliarsi il tempo necessario per calmare momentaneamente la creatura - che comunque tornerà prima o poi violenta e distruttiva. Un'avventura emotivamente provante, commovente, bellissima, con diversi risvolti (personaggi con cui parlare, enigmi da risolvere) che puntano verso l'astrazione dalla realtà.
Trattenendo a stento un minimo di emotività, Vander ci mostra un video e parla delle testimonianze che riceve continuamente: da videogiocatori, persone che grazie a Papo & Yo sono state spinte ad affrontare i propri demoni, e addirittura scuole e terapeuti che lo usano nei loro programmi. Qualcosa di veramente fuori dal comune, che è potuto emergere solo da una realtà indipendente e coraggiosa come questa, finanziata dai vari programmi presenti in Quebec e in Canada e fortemente voluta da Sony per la sua piattaforma di distribuzione digitale. Un gioco da provare assolutamente - che vi darà l'idea di come questo medium può veramente maturare, al di là e oltre le logiche di mercato. A margine del tutto, i ragazzi di Minority chiariscono uno dei dubbi che ci frullavano in testa sin dal nostro articolo introduttivo: le meccaniche del CMF possono venire applicate a qualsiasi progetto, senza limiti annuali o per-azienda. Ammettono di avere in ballo ben dodici videogiochi, di cui uno, su cui pare contino molto, per OUYA. Vander ci mostra il particolare controller con touchpad frontale, decantandone le caratteristiche "rivoluzionarie"; purtroppo più di così non può fare e, almeno per quanto riguarda la nuova console Android non ci resta che scorgerne la figura sulla scrivania di uno sviluppatore - osservando il design molto "plasticoso" di una console dalle dimensioni microscopiche.
Dopo una prima parte piuttosto interessante, durante la quale veniamo a conoscenza di un'organizzazione sul modello di Google (orari flessibilissimi con apertura 24/7 dell'ufficio, aree relax e quant'altro), si passa ad una serie di diapositive in verità un po' noiose. Monsiuer D'Astous fa il suo lavoro e snocciola dati su dati... ma se ben oltre dieci anni fa Steve Jobs ci ha insegnato la prima regola per una presentazione con slide: non leggere esattamente quello che c'è scritto sopra!
Stephane conferma quanto avevamo già scritto: il rimborso delle tasse non è tutto - qui a Montréal a fare la differenza è sopratutto una cultura radicata nel visual desing e nell'effettistica, un supporto costante e sempre in crescita dell'Università, l'apprezzamento della comunità e delle istituzioni. Tutto per lavorare meglio e con grande sinergia.
Anche la giornata di oggi è stata leggermente diversa. Abbiamo voluto soffermarci sulla differenza tra piccole e gigantesche realtà, per vedere soprattutto come possano (e secondo noi debbano) convivere nella realizzazione di un’offerta videoludica quanto più varia possibile. Molto interessante il parallelismo tra massima espressione di se stessi e della creatività, e “sviluppo controllato” dalla logica della monetizzazione, indispensabile per avere successo quando gli investimenti sono altissimi. Cresce dunque in noi, ancora una volta e ancor di più, l’idea che questi modelli possano e debbano andare a braccetto. Allo scopo di ottenere sia l’esperienza totalmente emotiva e personale, sia il blockbuster senza troppe pretese di “maturità concettuale” ma dannatamente divertente e sopratutto curato all’inverosimile. Mentre stiamo per atterrare a Toronto, ed imbarcarci in un differente avventura, ci piacerebbe sapere cosa ne pensate voi dell’industria videoludica alla luce di quanto detto.