Videogiochi e Narrazione: l'importanza di What Remains of Edith Finch

What Remains of Edith Finch segna un passo fondamentale nell'evoluzione del medium videoludico: scopriamo insieme il perché...

Videogiochi e Narrazione: l'importanza di What Remains of Edith Finch
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  • Il 25 Aprile di quest'anno, il giorno dopo la pubblicazione su Steam e PlayStation 4 di What Remains of Edith Finch, i settori produttivi, critici e di consumo del mondo dell'intrattenimento interattivo si sono collettivamente scagliati contro un articolo di Ian Bogost su The Atlantic in cui, sfruttando l'uscita della nuova opera di Giant Sparrow, l'autore si soffermava sull'inutilità e sulla frequente stupidità delle storie videoludiche. Il risultato finale dell'analisi del rinomato critico è a mio parere illuminante: i videogiochi non sono pensati tanto per raccontare, quanto per esaltare il valore di luoghi, spazi, ambienti e oggetti.
    Le risposte della maggior parte della critica si sono arroccate in posizioni reazionarie prive di particolare spessore, lanciandosi ora in elenchi futili e banali, ora difendendo l'urgenza di avvicinare il videogioco agli altri media. Al contempo, molte delle realtà social più seguite si sono arricchite di decine e decine di commenti che sfruttavano la riflessione di Bogost per riaffermare la centralità del divertimento e del gameplay a scapito della trama. Il problema è che poche delle voci contrarie all'opinione di Bogost hanno risposto all'unica domanda importante presente nell'articolo: "perché questa storia (quella di What Remains of Edith Finch) deve essere raccontata tramite un videogioco?". L'assunto di Bogost, infatti, è che la dimensione interattiva del racconto, in What Remains of Edith Finch, sia assolutamente priva di caratterizzazione, e che potrebbe dunque essere esperita nella sua interezza in altri media, come il cinema o la letteratura. In quest'articolo, cercherò di illustrare i motivi per cui What Remains of Edith Finch rappresenta invece il culmine della narrazione interattiva.

    Innanzitutto, bisogna prendere atto che sì, è vero: i videogiochi non si prestano a raccontare certi tipi di storie. Ma questa è una peculiarità che caratterizza tutti i media, indistintamente, a seconda delle loro particolarità. Si pensi, ad esempio, alla frequente scelta di un autore come Tolkien di stordire i protagonisti in procinto di una grande battaglia, allontanandoli dallo scontro, per non dover ricostruire su carta eventi che è difficile riuscire a rappresentare nella mente del lettore. È evidente che ogni medium ha delle caratteristiche intrinseche che lo rendono più o meno adatto a stupirci ed emozionarci: come Bogost stesso sottolinea, la fotografia si lega al concetto di tempo tanto quanto il cinema fa con lo spazio, e dunque con il movimento. Allo stesso modo, le storie che il videogioco racconta servono a esaltare le caratteristiche che identificano il medium videoludico in quanto tale: parliamo, nello specifico, dell'"interattività", che ci permette di poter agire con spazi e oggetti ben definiti. Dunque, pur con dei limiti evidenti, il videogioco si caratterizza anche per peculiarità innegabili e costitutive. Al di là della qualità delle singole produzioni, un'opera videoludica spesso garantisce un legame straordinario col racconto, grazie al valore rappresentato proprio dal concetto dell'interazione, che ci rende interpreti di vicende sì spesso banali, scontate e mal scritte, ma che comunque percepiamo più vicine a noi proprio perché si assottiglia il divario tra protagonista e giocatore.

    Posto dunque che quello videoludico è un mezzo di comunicazione con dei limiti e dei pregi, bisogna chiedersi il motivo per cui un gioco fallisce nel concretizzare le propria ambizioni, se a causa di problemi strutturali o di limitazioni produttive. Come lo stesso Bogost intelligentemente sottolinea, la nascita della realtà 3D spinse ai tempi autori come Romero a liberare gli spazi da ogni genere di elemento superfluo, che non permettesse al giocatore di concentrarsi sull'interpretazione degli stessi. Ciò fu dovuto anche e soprattutto ai limiti tecnici dell'epoca, che imponevano giochi privi di fronzoli per poter girare sugli hardware disponibili ai tempi. Da quel momento in poi, l'industria videoludica ha però spinto eccessivamente sul fotorealismo e sulla credibilità visiva degli ambienti, senza però ricordarsi di renderli significativi per il giocatore. Di conseguenza, molte delle grandi storie raccontate dai videogiochi hanno dovuto fare i conti con intelligenze artificiali ridicole o carenti, con oggetti dettagliati ma irrilevanti a livello interattivo, e con un level design ricco di elementi superflui, se non irrealistici e fuori contesto. È dunque ovvio che, agli occhi di chi si nutre di una dieta equilibrata tra tutti i media esistenti, il videogioco risulti essere uno dei meno adatti a raccontare storyline complesse o mature.
    Inoltre, il settore del gaming si trova spesso a dover far fronte a due aspetti in violento contrasto tra di loro: progressione e narrazione. Quando uno scrittore si assume il compito di elaborare la sceneggiatura di un videogioco, generalmente si trova spesso a dover tenere conto di una serie di elementi limitanti e di scarso valore per la trama, ma fondamentali per la progressione ludica: potenziamenti, nuove armi, statistiche e nemici via via sempre più forti e potenti. Persino in un grande blockbuster cinematografico come Avengers, lo scrittore può permettersi di intervallare grandi battaglie a spezzoni dialogici di una certa lunghezza, necessari a descrivere i personaggi e renderli più vicini all'osservatore, che quindi sarà potato a vivere gli scontri finali con maggiore trasporto. Nel videogioco, generalmente, questo non è possibile, perché sebbene possa avere un senso a livello narrativo, l'introduzione di momenti "morti" e scarsamente interattivi rischia di innervosire o annoiare il giocatore, che invece ha bisogno di una curva d'apprendimento coerente e costante. Tutto ciò, ribadiamo, al netto di alcune eccezioni (è il caso - ad esempio - The Order: 1886) che confermano la regola.

    Infine, proprio a causa del ritmo e dei vincoli dettati dalla progressione, il videogioco spesso diventa parecchio limitante per le idee di uno scrittore, che è costretto ad adattare la propria ispirazione ad un preciso genere di riferimento, poiché il numero di interazioni deve rapportarsi con la mappatura dei comandi che viene appresa dal giocatore. Di conseguenza, le azioni che il protagonista può mettere in atto non sono limitate solo dalla fantasia, ma anche dalla necessità di essere pensabili e praticabili dall'utente, come- ad esempio - sparare, saltare, e lanciare granate. Ed ecco la straordinaria ed esplosiva innovazione che introdussero i cosiddetti Quick Time Event: interazioni a tempo che permettono al giocatore di attribuire ad azioni specifiche eventi particolari, impossibili da mettere in pratica con la mappatura classica appartenente ad uno specifico genere di riferimento.
    Tutte le caratteristiche del medium videoludico fin qui citate sono state tenute in piena considerazione dai ragazzi di Giant Sparrow durante lo sviluppo di What Remains of Edith Finch. Non esistono intelligenze artificiali con cui sviluppare interazioni complesse; non viene in alcun modo stimolata l'interazione con oggetti esterni al racconto; non sono presenti sequenze totalmente passive di fruizione della storia; le azioni esperibili dall'utente sono varie e numerose, e gli chiedono, inoltre, un'immediata capacità di leggerle e comprenderle appieno. What Remains of Edith Finch affronta ogni convenzione ludica rifiutandola e superandola, dando così all'interazione la stessa dignità che la lingua possiede nella letteratura, o il movimento nel cinema.

    Dopo questa prolissa ma necessaria introduzione, abbiamo dunque i mezzi per formulare una risposta alla domanda di Bogost: "perché questa storia deve essere raccontata con un videogioco?". Perché What Remains of Edith Finch sfrutta l'interazione e il linguaggio videoludico come ben poche altre opere sono riuscite a fare negli ultimi anni, attribuendo a ogni suo livello (integrato alla perfezione nel surreale racconto onirico che il gioco ci illustra) un significato, un tema e modalità d'uso che raramente si sono viste nella reame del gaming. La fluidità con cui Giant Sparrow alterna le suggestioni di Lovecraft al fumetto statunitense è strabiliante; l'uso di linguaggi specifici reinterpretati in chiave videoludica è magistrale, mentre la bellezza dei dialoghi, della sceneggiatura e del racconto si situa tra le vette più alte mai raggiunte dal medium. Probabilmente, l'analisi della qualità delle interazioni del capolavoro Giant Sparrow è sintetizzabile nell'episodio sulla ludopatia, dove la meccanicità dell'esperienza videoludica tradizionale si sposa con il lavoro industriale, ed in cui al giocatore viene richiesto di elaborare al contempo più significati e interpretare più eventi all'interno di un'unica sequenza. Il coraggio mostrato nell'affrontare uno dei temi più taciuti del settore proprio attraverso l'utilizzo del linguaggio videoludico è indubbiamente straordinario, ma ancora più encomiabili sono i metodi e la chiarezza con cui il messaggio viene trasmesso al fruitore. L'interazione potenzia i simbolismi dell'esperienza, li lega al nostro agire, li esalta e ci permette di interiorizzarli, lentamente o velocemente, durante il percorso, rispettando la nostra capacità o la nostra voglia di scoprirli e affrontarli.

    Nel suo articolo, Bogost dice che le vette raggiunte dalla narrativa videoludica sono spesso paragonabili ai lavori più mediocri e infantili degli altri media, ed è difficile negare che effettivamente le percentuali a suo favore sono molto, molto alte. La conclusione delle sue riflessioni, però, risulta generalizzante e incoerente: sebbene infatti sia vero che tutti i media hanno delle caratteristiche intrinseche, è altrettanto certo che né la fotografia, né il cinema, né la letteratura hanno mai rinunciato a raccontare - attraverso i propri mezzi - una storia. Non si intuisce dunque perché, a seguito dell'impossibilità di raccontare certi tipi di vicende, il videogioco dovrebbe ridurre le proprie ambizioni ed propri strumenti comunicativi, esentandosi dal narrare trame che ne esaltano di più le specificità. Soprattutto, l'esistenza di What Remains of Edith Finch dimostra che la fluidità e la velocità con cui il panorama ludico si sta evolvendo sono entusiasmanti: pertanto, tentare di porre dei confini artistici e concettuali a questa forma d'arte, dopo meno di mezzo secolo alla sua nascita, ci sembra sinceramente assurdo e privo di basi davvero concrete.

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