Videogiochi e pubblicità: l'importanza del marketing tra successi e flop

Una attenta analisi di alcune delle campagne pubblicitarie più significative della storia dei videogiochi, tra spot leggendari e altri meno riusciti

Videogiochi e pubblicità: l'importanza del marketing tra successi e flop
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C'è chi considera il videogioco semplice intrattenimento, chi lo eleva a forma d'arte, e infine chi lo declassa a mera perdita di tempo. Su un punto però possiamo essere tutti d'accordo: il videogioco è innanzitutto un prodotto. E come i suoi simili - che siano pacchi di pasta, noodles precotti o costosi trattamenti estetici - è fatto per vendere, alimentando un'industria multimiliardaria e in continua crescita, al cui interno si muovono sviluppatori, produttori, sceneggiatori e sì, anche esperti di marketing.

Perché per attirare l'attenzione del consumatore bisogna fare appello ai suoi sensi, soprattutto vista e udito. E alle sue emozioni, che sono la leva più preziosa per un acquisto. Pubblicità in TV e su Internet, trailer, murales, promoter, film, documentari, poster, e chi più ne ha più ne metta: nel corso degli anni gli esperti del settore ne hanno inventate di tutti i colori per far emergere il prodotto da loro promosso dalla confusa massa di videogiochi rilasciati ogni anno per i dispositivi più vari. A volte con grande successo, altre volte creando polemiche (vedasi il nostro recente speciale su Six Days in Fallujah). Di certo il modo in cui un prodotto viene pubblicizzato costituisce uno specchio per la nostra società: analizziamo insieme alcuni esempi di marketing videoludico, tutti famosi e importanti, nel bene e nel male.

L'arte di trasmettere emozioni

Non è un mistero per nessuno, e d'altronde ne parlava già Aristotele più di due millenni fa: le emozioni sono l'appiglio più importante per persuadere un essere umano. L'odio verso l'altro e il diverso è riuscito a convincere milioni di persone a rendersi complici del regime nazista e dei suoi orrori, trascinando il mondo nella spirale di distruzione che è stata la Seconda guerra Mondiale. La compassione per l'alta mortalità infantile in Africa spinge ogni anno molti medici provenienti da Paesi occidentali dotati di tutti i comfort a recarsi in villaggi remoti, piagati da malattie e pericoli di ogni genere, per salvare la vita di perfetti sconosciuti.

Le emozioni ci rendono così tanto umani che per "umanizzare" un animale cerchiamo proprio di trovare in lui tristezza, amore genitoriale, dolore: basti pensare alle immagini di una madre elefante che sembra compiangere la morte di un figlio con gli stessi gesti e la stessa partecipazione di una mamma umana. In sostanza, le emozioni ci spingono ad agire e reagire, ed esercitano un'influenza decisiva nelle nostre azioni. Compreso l'acquistare un prodotto. Gli esperti lo chiamano "marketing emozionale": si tratta dell'utilizzo intenzionale di messaggi che fanno appello alle nostre emozioni - paura, rabbia, gioia, e così via - per muovere lo spettatore verso il risultato desiderato. Che è, naturalmente, l'acquisto.

Una buona pubblicità rende il prodotto memorabile e apprezzato magari fin da prima della sua uscita, e sviluppa una fidelizzazione verso il brand in questione. Possiamo dire che il marketing videoludico si è evoluto insieme ai videogiochi: oggi non vogliamo ricostruirne la storia (è un lavoro ambizioso che lasciamo nelle mani degli studiosi della materia) ma proporvi alcuni spunti per riflettere su cosa rende una pubblicità indimenticabile, sull'evoluzione della nostra sensibilità riguardo determinati temi trattati nelle campagne di marketing, e su alcuni insuccessi dettati da un approccio a volte poco rispettoso nei confronti del pubblico.

Emozioni e musica

Cosa provate quando ascoltate la vostra canzone preferita? Ogni persona ricerca diverse sensazioni nella musica, un linguaggio universale che è nato insieme all'uomo. Entrando nello specifico, possiamo affermare con sicurezza che la scelta di un buon sottofondo musicale per un trailer videoludico è una delle chiavi per raggiungere il cuore del pubblico. Vi propongo di fare una prova: prendete il vostro video promozionale preferito e togliete l'audio. Il risultato vi sorprenderà - in negativo.

In appena un minuto di durata, il primo trailer di Gears of War (rilasciato nel 2006) è riuscito a veicolare tutta l'impotenza e la malinconia che si possono provare dinanzi ad un mondo ridotto in cenere... E il responsabile è uno solo: la memorabile cover di Mad World dei Tears for Fears cantata da Gary Jules, registrata come parte della colonna sonora del film Donnie Darko (2001). Perfetto il suo impiego come contrappunto sonoro alle strade tormentate dalla pioggia, sormontate da edifici semidistrutti, invase da alieni che sembrano usciti dal peggiore degli incubi.

Ancora oggi molti videogiocatori ricordano quel trailer. E la ragione è che, seppure per un breve minuto, sono stati invasi da una potente sensazione di tristezza, così forte da riecheggiare ancora da qualche parte nella loro testa. Il bello è che giocare Gears of War è proprio un'altra cosa, e forse deve ancora nascere il giocatore che provi lo stato meditativo e malinconico indotto da Mad World all'interno dell'apocalittico mondo di gioco. Perché ci troviamo in un viscerale sparatutto che ha definito i canoni del third person shooter, e nell'adrenalinico multiplayer è difficile trovare tempo per provare del nichilismo esistenziale - a meno che si voglia venire obliterati molto in fretta con un colpo di fucile Gnasher sparato in piena faccia.

Esistono anche casi in cui il trailer è stato migliore del gioco stesso. Certo, si tratta di un grande complimento per gli esperti di marketing che ci hanno lavorato, ma d'altro canto l'hype generato dalla pubblicità può essere di detrimento per un prodotto che genera delle forti aspettative, alla fine della fiera non del tutto mantenute. Un esempio perfetto ce lo fornisce Dante's Inferno, grazie al video promozionale andato in onda durante il Super Bowl del febbraio 2010. Anche qui è la musica ad essere protagonista, con la splendida Ain't no sunshine di Bill Withers: l'immagine paradisiaca di Beatrice, rapita dalle profondità dell'Inferno, ha convinto moltissimi spettatori ad acquistare il prodotto, purtroppo rivelatosi non all'altezza dell'eccelsa campagna pubblicitaria.

Anche il trailer di Dead Island, nel 2011, aveva suscitato nel pubblico un forte interesse: la sognante melodia di pianoforte e archi strideva con forza con le immagini di violenza mostrate, e al contempo accompagnava con dolcezza i momenti di gioia della sorridente famiglia catapultata nell'apocalisse zombie. La sequenza cinematica resta tutt'oggi di pregevole fattura, anche grazie al montaggio del tutto peculiare e alle originali scelte della regia. Dead Island, però - un po' come Gears of War, di cui abbiamo già parlato - non offriva al giocatore lo stesso coinvolgimento emotivo che il trailer aveva promesso.

Il valore umano

Alcuni personaggi, siano essi reali o virtuali, sono dotati di un potenziale espressivo non comune. Riescono ad entrare nel cuore dello spettatore, e magari anche del loro personale, se sono a capo di un'azienda. Possono spingere altri esseri umani a fare cose che essi stessi non credevano possibili: molti dipendenti della Apple parlano di Steve Jobs proprio in questi termini. Anche nel mondo videoludico esistono figure simili, e se chiedete a me chi sia il più grande vi risponderò senza dubbi con un nome e un cognome: Satoru Iwata (del quale vi abbiamo parlato nello speciale dedicato a Satoru Iwata).

Nato programmatore e morto Presidente di Nintendo a soli cinquantacinque anni, la sua parabola è stata, senza mezzi termini, totale. Come lui. "Sul mio biglietto da visita sono Presidente di una compagnia. Nella mia testa sono uno sviluppatore di videogiochi. Ma nel mio cuore, io sono un gamer": così dichiarava dal palco della Game Developers Conference nel 2005. Ma dobbiamo aggiungere un altro punto: è stato un rivoluzionario della comunicazione e del marketing videoludico, diventando egli stesso un'incredibile pubblicità per la casa di Kyoto. Protagonista dei meravigliosi Nintendo Direct (alzi la mano chi non ha riso pensando a quello con la banana!), ha portato al successo alcuni dei migliori prodotti dell'azienda, e partecipato in prima persona al suo più duro scivolone, tagliandosi lo stipendio del 50 % in seguito al tonfo di Wii U.

Anche questa è ottima pubblicità. A parere di chi scrive, però, la sua grandezza è stata quella di aver portato la malattia al centro della scena, con delicatezza e sensibilità. Siamo poco abituati ad avere intorno a noi persone in difficoltà per problemi di salute: dolore e morte sono stati relegati dalla contemporaneità nelle corsie degli ospedali, specialmente nel mondo occidentale. Satoru Iwata, malato di cancro al fegato, decise di dare rilievo ai cambiamenti nel suo corpo - notevolmente smagrito a causa delle cure - modificando il suo Mii, l'avatar virtuale di Nintendo. Non potendo il Presidente apparire all'E3 del 2015 (morì neanche un mese dopo), la compagnia rilasciò una meravigliosa presentazione in cui Iwata, Miyamoto e Reggie Fils-Aimé comparivano come dei Muppets. A dimostrazione di quanto una figura memorabile possa promuovere a tutto tondo l'immagine di una compagnia.

L'amore di Robin Williams per Zelda

Rimanendo in ambito Nintendo, nel 2011 è stata rilasciata una pubblicità decisamente particolare. Vi dirò di più: è unica del suo genere. È totalmente sincera e basata sull'amore di una superstar del cinema per uno dei personaggi più iconici creati dalla casa di Kyoto. "Papà... non mi starai scambiando per la principessa un'altra volta?" "Difficile da dire. Entrambe siete davvero magiche". Sono una figlia e un padre a parlare: Zelda Williams e il celebre attore Robin Williams.

Che ha voluto chiamare così la sua bambina proprio per augurarle di avere le qualità della Zelda virtuale. "Fan di Zelda dal 1987" recita la scritta finale: quale pubblicità poteva essere più perfetta per The Legend of Zelda: Ocarina of Time 3D? Non so voi, ma personalmente non riesco a trattenere le lacrime pensando al successivo suicidio di Robin Williams e al dolore che ha provato sua figlia: parliamo di un qualcosa di unico anche sotto questo aspetto.

GTA 4

Non sono mancati personaggi videoludici diventati iconici e riconoscibili fin da prima della release del loro gioco. Un buon esempio è Niko Bellic, protagonista di Grand Theft Auto IV. Tutti i trailer del titolo, sviluppato da Rockstar Games e uscito nel 2008, fanno leva sul desiderio di cambiamento di Niko, coinvolgendo lo spettatore nella sua travagliata storia prima ancora che questa inizi.

Memorabile la varietà di situazioni sviluppata nel video che mostra il volto accigliato di Bellic mentre cammina, e intorno a lui esplodono automobili, un aereo attraversa la pista di decollo, si svolgono sparatorie e sì, esplodono altre auto. Il trailer promette quello che il gioco mantiene, invogliando il giocatore a prendere in mano il destino di Niko.

L'errore è dietro l'angolo

Finora abbiamo parlato di marketing di successo. Non sempre, però, la pubblicità coglie nel segno. A volte le cose sono più complicate di così: magari all'epoca della sua uscita un trailer o un'immagine promozionale sono riusciti a spingere le vendite di un prodotto, ma oggi sarebbero considerati socialmente inaccettabili ed evitati come la peste da parte degli esperti. Vedremo diversi esempi in questo senso, ma possiamo iniziare da uno che ci troverà tutti d'accordo: si tratta di un disastro su tutta la linea. Di marketing, di produzione, di vendite.

La tempesta perfetta.Molti di voi avranno già indovinato: parlo di Daikatana, la macchia più consistente sulla sfolgorante carriera di John Romero, uno dei creatori dell'immortale DOOM.

Dopo essere stato cacciato da id Software, la compagnia che lui stesso aveva contribuito a fondare e a portare al successo, Romero fondò Ion Storm, una nuova casa di sviluppo. Fu quindi annunciata la loro opera prima: Daikatana. Le polemiche sui continui rinvii della release - inizialmente prevista per il 1997 e poi più volte spostata, fino ad arrivare al 2000 - e per le condizioni di lavoro in Ion Storm furono nulla in confronto allo sconcerto generato da una delle peggiori trovate pubblicitarie della storia del medium videoludico.

"John Romero's about to make you his bitch", recitava la locandina. La quale, per inciso, non menzionava neppure il titolo del gioco pubblicizzato. Chiudeva il tutto una frase di altrettanto immortale classe: "suck it down". Seguirono un gioco indubbiamente terribile e un clamoroso insuccesso commerciale. È raro trovare interviste di Romero in cui non venga tirata fuori la polemica per la locandina di Daikatana, proverbiale elefante della stanza; va detto che lo sviluppatore si è più volte distanziato dal linguaggio utilizzato nell'immagine promozionale, da lui non approvata ma comunque utilizzata per volontà del publisher.

Xbox e PlayStation: gli spot della discordia

Quella di Daikatana non è l'unica pubblicità ad essersi attirata un (quasi) unanime disgusto da parte del pubblico e della critica specializzata. È rimasto celebre un video andato in onda sulla TV inglese - e presto bannato dall'Independent Television Commission - per promuovere il lancio della primissima Xbox. Se non l'avete mai visto, guardatelo ora. Credetemi, sono cinquantatré secondi di puro orrore, dall'inizio alla fine. Una donna urlante dà alla luce un bambino... che viene proiettato ad una velocità supersonica fuori dalla finestra dell'ospedale.

Il bimbo continua a volare, cresce, diventa adolescente. Poi vediamo la sua pelle segnata dalle rughe, le sue gengive annerirsi, e bam, eccolo cadere nella tomba. Cinquantatré secondi. "Life is short. Play more": il video si chiude così e ci lascia con una sensazione di disagio mista a sconcerto. Non proprio quello che si potrebbe definire un successo del marketing. Abbiamo detto che le emozioni sono importanti, e far leva su tanta negatività non spinge lo spettatore all'acquisto di una Xbox nuova fiammante.

L'utilizzo di simboli religiosi è molto pericoloso - ovunque. E si tratta di una materia da maneggiare con cura. Così non ha fatto Sony, che con una locandina del 2005 per celebrare i dieci anni di PlayStation si è attirata le ire del mondo cattolico. La caption "10 anni di passione" era accompagnata dall'immagine di un ragazzo dal sorriso malizioso e con la testa contornata di spine. In seguito all'indignazione espressa da alcuni cardinali e dalla comunità degli utenti, Sony si è scusata e ha comunicato la cessione della campagna pubblicitaria.

Nudità: le controversie

Vi ho già parlato della pesante sessualizzazione subita dalle donne rappresentate nelle pubblicità di Hitman: Blood Money nel 2006 (potete recuperare qui lo speciale sull'evoluzione delle figure femminili nella storia dei videogiochi). Mentre le vittime di sesso maschile erano vestite in maniera del tutto ordinaria, non era così per le vittime femminili, colte dalla morte in lingerie sexy e in pose suggestive, incoraggianti per le peggiori fantasie di stupro e omicidio.

Di pubblicità dal sottotesto sessuale è piena la storia dei videogiochi, soprattutto nei decenni '80 e '90: basti pensare alla ragazza seccata dal fatto che ormai il suo uomo non pensa ad altro se non a giocare al Neo-Geo, oppure alle parole di una pubblicità di 3DFX che fa leva sull'elitismo dei giocatori di PC master race ("esistono due tipi di gamer al mondo. Quelli che giocano ancora su console. E quelli che hanno visto dei seni dal vivo").

Videogiochi e Dintorni Vi abbiamo proposto alcuni esempi, assolutamente non esaustivi, per riflettere sull'importanza del marketing, buono o cattivo che sia. L'obiettivo primario di una campagna pubblicitaria è la promozione delle vendite di un prodotto, ma allo stesso tempo un trailer o una (apparentemente) semplice locandina rappresentano degli spunti di riflessione sui nostri costumi e sull'evoluzione della sensibilità sociale a determinate tematiche. Siamo certi che avete in mente tantissimi esempi di marketing che considerate memorabili, sia nel bene che nel male: vi aspettiamo per parlarne nello spazio dedicato ai commenti!