Videogiochi e Zombie: storia dei non morti virtuali

Dopo l'arrivo del remake di Resident Evil 2, un'ondata di non-morti sta per travolgere il mercato videoludico...

Zombie e Videogiochi: storia dei non morti virtuali
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  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • Dopo un breve periodo di assenza, i morti viventi sono tornati con ondate pronte ad infestare ogni tipo di avventura videoludica. Basterebbe guardare a quest'anno, inaugurato sotto il segno di un grande classico del genere survival horror (avete letto la nostra recensione di Resident Evil 2 Remake?) per avere piena conferma di quanto appena detto, ma il futuro si prospetta altrettanto denso di felicità cadaverica. In vista dei vari Days Gone, Dying Light 2, World War Z e del potenzialmente incredibile The Last of Us Part II, abbiamo deciso quindi di fare un passo indietro, per ripercorrere la nascita della morte. Ricorderemo i primi zombi che hanno affondato i denti nei pixel altrui per nutrirsi, dai primi barcollanti passi alle orde più letali che il mondo videoludico abbia conosciuto. Oggi la casa consiglia fucili a pallettoni e motoseghe ben oliate: di carne al fuoco ce ne sarà tanta, letteralmente.

    I don't practice Santeria

    La creatura conosciuta oggi come zombi è figlia delle leggende nate attorno alle pratiche Voodoo, dove si narrava che particolari sciamani potessero annullare la personalità di un individuo, attraverso riti oscuri e magia nera. Parliamo quindi di una vittima di stregoneria, assoggettata alla volontà di uno stregone, ma ancora dotata del proprio aspetto naturale.
    Il passaggio dall'uomo reso schiavo della Santeria (una forma di religione basata sulla divinazione e la magia bianca, tipica delle zone africane) ai mostri conosciuti oggi arriva grazie a George A. Romero ed al suo classico horror La notte dei morti viventi del 1968.

    Nei toni acromatici di questo film troverete tutte le caratteristiche che un moderno esperto di apocalisse Z conosce a menadito: il ritorno dalla tomba della creatura, la fame di carne umana, il movimento claudicante e la pericolosità della massa. Romero non avrebbe potuto immaginarlo, ma in piena guerra fredda ci donò una vera e propria bibbia del genere. Con il film sessantottino sono stati definiti i tratti caratteristici dei morti viventi che tutt'oggi conosciamo, e le pellicole che ne seguirono l'esempio dovettero comunque rendere onore a Romero, compreso il più che degno filone italiano.

    Ci volle molto tempo per la diffusione del virus all'interno dei videogiochi: le primissime apparizioni dei mangiacervelli le ritroviamo esclusivamente in RPG, ed in questi casi i non morti sono sempre relegati al ruolo di semplici nemici base, presumibilmente a causa della loro scarsa intelligenza. C'è da dire che i cadaveri erano abbastanza pazienti da attendere il proprio turno d'azione, ma la loro esistenza era legata a potenti maghi, amuleti maledetti o spiriti dannati.

    In seguito, i morti viventi cambiarono genere grazie alla serie dei Castlevania lungo gli anni ottanta, ma essendo parte di un brand fortemente incentrato su Dracula e la sua stirpe, come la mitologia vuole, ricoprirono i panni di semplici sgherri al servizio di un'intelligenza millenaria (appunto quella dei vampiri).

    L'era dei "bit" non era riuscita a cogliere la minaccia di queste creature prive di vita, e forse le mandrie di mangiacervelli più celebri si erano viste nei balli di gruppo a fianco di Michael Jackson in Moonwalker, oppure in colorati attacchi in Zombies Ate My Neighbors. Per avere una soddisfacente rivoluzione serviva un genere inedito, sviluppato nelle zone più oscure del videogame. Qualcosa iniziò con l'apripista Alone in The Dark nel 1992, ma è con l'avvento di Capcom che i nostri peggiori incubi presero forma.

    Welcome to the Spencer Mansion

    Resident Evil nacque nel lontano 1996 sulla gloriosa Playstation: Shinji Mikami, ispirato dalle opere di Romero, ideò uno zombi "frutto dell'uomo", un incubo che radicava le sue radici nell'ingordigia umana, fatta di ricerche forsennate ed esperimenti genetici.

    Potrebbe quasi sembrar superfluo ricordare quanto sia fondamentale per l'industria il capostipite della serie, di come poggiasse le pietre angolari del brand, tracciando il profilo di una delle saghe più longeve del panorama videoludico. Era impossibile crescere senza parlarne tra i banchi di scuola, ne eravamo sommersi fino al collo, felici di provare una strizza primordiale. Le vicende della squadra tattica S.T.A.R.S. erano il tripudio di una paura incarnata in viscere virtuali, capace di farci impallidire al primo sguardo incrociato con una creatura che non aveva più vita, ma che era implacabilmente a caccia della nostra pelle.

    Le inquadrature statiche creavano un tripudio sinestetico, ed avvertire il rumore di una finestra in frantumi, senza sapere cosa l'avesse distrutta, rappresentava l'equivalente di una dose d'adrenalina endovena.
    L'immaginario di un virus che si diffonde, e di un morso equivalente ad una condanna certa rappresentavano una sadica sfida che accettavamo col pad tra le mani. Con questo spirito ci lanciavamo all'esplorazione prima di Villa Spencer e poi di Raccoon City.

    Certo, la perfida Umbrella aveva dato vita ad altri abomini, ma alla base c'era lui: l'unico e irreprensibile morto vivente. Non che fossero mancati altri tentativi come The House of the Dead del 1997, ma il genere degli shooter su binari restituiva un immaginario più arcade, meno incline all'orrore puro. Con l'avvento del capolavoro Capcom i non-morti stavano prendendo piede nella cultura pop a 360°, infestando ogni tipo di produzione.

    Everybody clap your hands

    C'è un momento preciso in cui cambia la percezione degli zombi nei videogiochi: è il 2006, l'anno di uscita di Dead Rising su Xbox 360. Nonostante un canovaccio in cui ritroviamo molte similitudini con Resident Evil e la cinematografia sui morti viventi, il ruolo dei mangia-cervelli muta radicalmente.

    Queste creature non incutono più timore: sono lente, stupide e ci permettono di fare qualsiasi cosa vogliamo, perfino mettergli in testa buffe maschere. L'avventura di Frank West non è stata di certo la sola a far intuire il "divertimento" di gettarsi a testa bassa nella mischia, e perfino brand come Call of duty iniziarono ad inserire modalità parallele in cui massacrare nemici putrefatti.

    Pochi anni prima, però, dal fronte cinematografico arrivarono delle evoluzioni non da poco: la pellicola di Danny Boyle 28 Giorni Dopo, seppur riprendendo il filone "scientifico" sulle origini dei mangia-carne umana, pittura degli abomini rapidi ed aggressivi, ben più lesti degli zombi classici. Questa caratteristica porta i sopravvissuti a comportamenti differenti, a temere perfino il singolo esemplare, rendendo i gruppi di mostri isolati delle minacce davvero letali.

    Se prima i ritmi erano gestiti su una tensione crescente ed un senso di terrore raggelante, ora il confine tra vita e morte può essere deciso in pochi istanti. 28 Giorni Dopo non è solo un grande film: è l'incipit di un filone alternativo di zombi che si svilupperà parallelamente alla ricetta di Romero.

    Queste particolarità, paradossalmente, si sono sempre prestate meglio al versante "ludico", ed è proprio da queste ispirazioni che Rockstar diede vita all'espansione Undead Nightmare per Read Dead Redemption. La fusione tra western e Z movie fu una trovata degna di marchiarsi a fuoco nella memoria collettiva, merito soprattutto dell'indiscutibile qualità di uno dei DLC migliori nella storia.

    Cambiando genere, Valve spinse al massimo la cooperazione tra i giocatori umani in Left 4 Dead: una serie di campagne apparentemente slegate tra loro, un gruppo di quattro sopravvissuti chiamati a farsi strada tra masnade di non morti, ed una serie di chicche da ricordare doverosamente. Il concetto stesso di "orda", richiamata da suoni troppo forti o fluidi odorosi, incarnava la meccanica principale del titolo.

    Come se non bastasse, il team doveva necessariamente restare in movimento, altrimenti la massa lo avrebbe raggiunto. In questo caso, lo zombi utilizzato era quello di 28 Giorni Dopo, e non quello di stampo "Romeriano". Oltre al suo perno fondamentale, questo shooter ci mise davanti ad un ulteriore tassello importante per il nostro discorso, ossia le mutazioni.

    Boom-Boom Boomer

    Lo zombi è sdoganato ovunque, lo ritroviamo in tutti i media esistenti ed ormai non ci spaventa più come ai suoi esordi. Per aumentare il tasso di sfida percepito dal giocatore, ecco quindi che diversi titoli hanno iniziato a presentare delle curiose "licenze poetiche" sul tema: Left 4 Dead intervallava le orde comuni ad esseri speciali, in grado di isolare singoli membri del team che, ormai immobilizzati, potevano solo sperare nel soccorso del compagno più vicino. Ed altri prodotti come Dead Island condivano l'esperienza con un approccio più ruolistico, fatto di elementi secondari per potenziare le armi ed abilità con cui sopravvivere all'invasione.

    L'espansione a macchia d'olio dello zombi raggiunge l'equivalente di un fiume in piena anche grazie al mercato indipendente, che trova nel morto vivente un'IA semplice da programmare e, soprattutto, carismatica e riconoscibile. Giungiamo pertanto ad una veloce saturazione del settore che deve necessariamente proporre variazioni legate all'immaginario orrorifico allo scopo di mantenerlo fresco e vendibile.

    Ad esempio, Dying Light punta sul parkour e sul concetto di preda e cacciatore, che varia a seconda del ciclo giorno/notte, mentre opere quali State of Decay accompagnano l'avventura ad una componente gestionale, fatta di rifugi e sopravvissuti da tenere sotto controllo.

    Quest'impronta survival, a cui ha dato gli albori DayZ, è diventata apripista di un nuovo sottogenere, generando una moltitudine di cloni. In questi casi l'accento è posto sulla resistenza vera e propria, la ricerca di risorse e, ben più importante, l'interazione con gli altri giocatori. Nel migliore dei casi possono nascere collaborazioni saltuarie, condivisioni delle preziose risorse, ma in tanti altri frangenti l'apparizione di un essere "vivo" può implicare un pericolo più grande di quello generato da un morto virtuale.

    Della morte dell'amore

    Arriviamo pertanto al punto cruciale di queste creature, ed alla loro caratteristica più pericolosa: la capacità di gettare il mondo nel caos totale. In una società senza regole, in cui solo il più forte (o il più subdolo) sopravvive, si mette in mostra la vera natura dell'animo umano. Non è un caso che le ultime produzioni legate agli zombi, in qualche modo abbiano posto l'accento sulle vicende di un gruppo di persone, sul decadimento della società e della morale dell'uomo.

    L'esempio più celebre lo troviamo in The Last of Us, in cui, oltre all'apprezzabile teoria sul fungo parassita, viviamo una storia di lutto, di perdita, di menzogna. Un'avventura fatta di egoismo e desiderio di sopravvivere "a qualsiasi costo". Nel capolavoro di Naughty Dog, in aggiunta, facciamo la conoscenza di creature che, pur legate iconograficamente agli zombie, incarnano un altro tipo di bestie fameliche, ossia gli infetti: non si tratta di creature risorte dalla morte, quando di mutazioni genetiche, che condividono con i mangia-cervelli il temperamento carnivoro ed assassino.

    Si aggiungono a questo taglio più intimo e sociale anche opere come The Walking Dead di Telltale che, rinunciando ad una componente ludica più action, poggiano le proprie fondamenta proprio sulle scelte morali. Eppure, nonostante non vengano pitturate le pareti di viscere decomposte, ai giocatori si cerca di trasmettere un messaggio: in un mondo privo di regole, i veri mostri possono essere quelli con un cuore che batte.

    Mantenere la propria umanità quotidianamente può rappresentare insomma una sfida ancora più ardua di uscire indenni da un'orda. Ed ecco che, seguendo questa visione, nell'atteso Dying Light 2 il focus verterà dunque più sui nuovi ordini sociali del mondo.

    Il futuro che ci attende offre un'ampia gamma di proposte, tra cui spicca un'altra interpretazione dello zombi, l'evoluzione vera e propria del runner visto in 28 Giorni Dopo. In Days Gone questi non-morti sono ancora più rapidi, e vengono simbolicamente chiamati "Furiosi": si ammassano con una forza tale da tramutarsi in fiumane di corpi pronte a trascinare qualsiasi cosa sul loro cammino. In tal senso il "quasi" tie-in World War Z pare essere il candidato migliore per trasportare questa visione all'interno di un videogioco. Ma come detto poc'anzi, lo zombi attualmente non incute quasi più timore, e non è capace di farsi carico di un orrore universale. Alla fine il vero mostro, oggigiorno, resta sempre l'uomo.

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